I plagi letterari sono spesso storie di basso cabotaggio. Coinvolgono personaggi molto diversi, in Italia negli ultimi anni Luttazzi, Galimberti, Augias, Sgarbi. Si tratta quasi sempre di persone più o meno note: simili racconti arrivano a noi sulle ali della piccola o grande fama dei plagiatori.

Vale per loro, come per chiunque si dedichi al copia-incolla del lavoro altrui, la doppia filigrana dell’operazione: quella truffaldina dell’intestarsi pensieri e parole che non sono nostri e quella amanuense della conservazione e circolazione del pensiero, specie quando – e accade quasi sempre – il pensiero sottratto è evidentemente migliore del nostro.

I racconti sul plagiarismo che potrete trovare in giro si occupano quasi sempre del primo aspetto, quello della sorpresa e della riprovazione morale. La sorpresa è l’elemento teatrale della storia, solleva la nostra curiosità: ma come, anche il grande filosofo copia? La riprovazione ne è invece il commento, perché se tutti copiassero senza citare la fonte – signora mia – dove andremmo a finire?


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Il controllo sui plagi, che da quando esiste Internet è diventato molto più semplice, è oggi una dogana intellettuale. Che riguardi le tesi di laurea o il lavoro degli accademici (per entrambi esistono oggi ottimi software che scrutano le tue parole alla ricerca di correlazioni con altre parole simili depositate altrove) o che colga in castagna il trombone televisivo o l’intellettuale insospettabile, tutti siamo pronti a sottolinearne subito gli aspetti meno rilevanti e da bassa portineria. Nessuno si cura invece del fatto che uno Sgarbi che ricopia su una prefazione a sua firma la Mina Bacci de “I maestri del Colore” degli anni 60, eleva la qualità del suo testo, per i tanti teledipendenti che lo leggeranno – di almeno un paio di tacche.

Immaginare il plagio come contributo comunque utile alla memoria documentale è un punto di osservazione scomodo: agita i santificatori del copyright oltre a corroborare indirettamente l’ego di molti cialtroni. Ma a parte questo, riprodurre le parole di altri spacciandole per nostre è da un lato un segnale di enorme debolezza ma dall’altro rappresenta il riconoscimento pubblico di un valore.


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Sarà forse per questo che mi sono invaghito di una storia di plagio italiana ed esemplare. Risale al 2010, è la storia di Fabio Filipuzzi, ingegnere e architetto di Udine che prima di essere scoperto, ha pubblicato 6 libri nell’arco di 4 anni con due editori italiani di discreta fama. Di questi testi almeno tre sono plagi anomali e grandiosi. Filipuzzi ha pubblicato a suo nome la traduzione italiana di due romanzi di autori noti, “Pomeriggio di uno scrittore” di Peter Handke e “Aurore” di Jean-Paul Enthoven. Non ha goffamente incollato singole parti o scimmiottato una storia: ha preso i romanzi nel loro complesso, ha cambiato i titoli ed un paio di nomi e li ha mandati all’editore così come stavano. Gli estimatori di Filipuzzi hanno così letto Handke e Enthoven a loro insaputa. È molto probabile che quei libri gli siano piaciuti.

L’altro plagio di genio di Filipuzzi riguarda una antologia di saggi di 486 pagine intitolata “Costruire, abitare, pensare”. I contributori della corposa opera sono firme prestigiose come Emanuele Severino o Pier Aldo Rovatti insieme ovviamente a Filipuzzi che, in quanto curatore della monografia, ha inserito all’interno anche un suo saggio dal titolo “La questione dello spazio e l’estetica decostruttivista di Bernard Tschumi”. Il titolo già da solo incute un certo timore reverenziale. Anche in questo caso il testo non è suo: è preso interamente da un saggio dell’architetto Claudio Nurzia intitolato “La piramide e il labirinto”. Se plagio deve essere che lo sia sul serio.

Io, che non ho (quasi) mai letto Handke e non ho mai sentito nominare Enthoven, forse avrei potuto leggerli per caso e senza saperlo nella versione di Filipuzzi: le loro parole e le loro storie ugualmente avrebbero aggiunto valore alla mia vita. I libri sono fatti così: conta quello che dicono, l’autore è in molti casi semplice burocrazia. Quando nel 2010 l’azione di copia-incolla integralista di Filipuzzi fu casualmente scoperta, raggiunto dal giornalista al telefono l’ingegnere rispose “non ho niente da dire”. L’editore lo ricorda nel suo blog come una persona elegante e raffinata.

Così ho iniziato a cercare le sue opere in rete. Il saggio “Costruire, abitare, pensare” per esempio, è tuttora in vendita su Amazon. Quando ho detto a mia moglie che volevo acquistarlo mi ha chiesto se per caso ero diventato scemo. Le altre 5 opere sono state in buona parte ritirate dal commercio per ovvie ragioni legali.



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Su eBay, fra i libri usati, ho trovato uno dei romanzi di Filipuzzi: si intitola “La donna di velluto”, secondo le cronache contiene molte parti copiate da Auster, Isherwood e Hart. Un plagio di second’ordine, per come la vedo io, non all’altezza dell’idea che mi sono fatto dell’autore, ma arricchito da un plus imperdibile: il volume è autografato con dedica. L’ho comprato, non vedo l’ora di riceverlo, arriverà a giorni. Mia moglie quando le ho raccontato con molta eccitazione dell’acquisto di un Filipuzzi autografato ha continuato a dire che sono scemo. Io credo che abbia torto: la conoscenza è una cosa seria, ci sono molti modi per occuparsene superando le apparenze.




A cosa serve Internet

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7 commenti a “Sul plagio (A cosa serve Internet 5)”

  1. Al dice:

    Diversi modi di trasmettere produzioni di autori precedenti. Alcuni sono plagi. Il modo di Luttazzi di richiamare altri autori però non lo chiamerei plagio, come mi pare sia spiegato bene qui: http://bit.ly/1cVdUxR

  2. zioluc dice:

    http://it.blurb.com/b/938408-joachim-schmid-is-martin-parr-martin-parr-is-joachi

  3. Luigi dice:

    Personaggi come Sgarbi, Augias o Galimberti, nonostante abbiano plagiato opere di altri (in malafede, aggiungo io), il loro corso professionale non sembra sia stato minimamente condizionato. Le case editrici continuano a pubblicarli (e noi lettori a comprarli). Come si spiega questa bizzarria?

  4. Giulio Mozzi dice:

    Domanda per tutti: qual è la differenza tra ciò che fa Filipuzzi e ciò che fa Nanni Balestrini quando produce romanzi o poesie combinando (eventualmente con sistemi automatici) frammenti di opere altrui?

    Qual è la differenza tra un’opera di Filipuzzi integralmente copiata e un barattolo di minestra pronta dipinto da Andy Warhol? (Dipinto, credo, ricalcando una fotografia).

    Si potrebbe sostenere che quella di Filipuzzi è una forma di “arte concettuale”? (Sospetto che sì, e che non sia un’impresa disperata).

    Notare che Campanotto è un editore che ha nel suo catalogo molte opere letterarie “sperimentali” (qualunque cosa questo aggettivo oggi possa significare), e che Mimesis è un editore che ha nel proprio catalogo diverse opere di autori illustri che hanno tutto l’aspetto del centone.

  5. Paolo dice:

    è come far di tutta l’erba un fascio

    Luttazzi non è un plagio letterario

    https://luttazzifans.wordpress.com/2013/08/17/labbaglio-wu-ming/

    “era stato Luttazzi stesso, ben cinque anni prima, sul suo blog, a raccontare lo stratagemma delle citazioni nascoste (“stratagemma di Lenny Bruce”).”

    Per chi vuole documentarsi c’è webarchive, straordinaria risorsa

  6. Sposerò Juliette Valduriez (A che serve Internet 6) - manteblog dice:

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