Sergio Maistrello è un amico. Una persona gentile e pacata. Due caratteristiche che gli invidio molto. Nel suo blog (uno di quelli che esiste ancora) propone una discussione. Quella discussione, una specie di richiamo per chi c’era e per chi c’è ancora, nasce da un lutto. La morte di Giuseppe Granieri, un nostro amico. Uno bravo.

Il tema, la domanda di Sergio, più o meno, suona così: ne è valsa la pena? Ha avuto senso quella ondata di elettrizzante progettualità sociale che è nata e rapidamente tramontata due decenni fa attorno ai primi blog italiani? Un’ondata della quale Granieri è stato – senza alcun dubbio – uno dei primi e più lucidi ispiratori.

Scrive Sergio a proposito di quella domanda:

La domanda è rimasta tra le righe della chat, ma mi ha lasciato stordito a lungo, anche perché risuona col senso di resa che confesso mi ha impressionato ritrovare in tante pur commoventi e affettuose dediche a Giuseppe, un senso di resa manifestato spesso proprio da chi più si è speso e ci ha creduto. È stato bello. Meraviglioso. Abbiamo dato forma insieme a questi spazi sociali. Abbiamo goduto della prossimità con menti purissime e beneficiato della spinta di talenti straordinari. Ma oggi è tutta un’altra cosa, questi spazi non ci somigliano più, non c’entriamo più nulla, se l’è presi il diavolo. Quasi un rimorso d’aver tifato il futuro sbagliato.


Io – dipendesse da me – non avrei risposto, non avrei scritto questo post, come non ho scritto nulla sulla morte di Giuseppe, ma il rimpianto per un mondo che non esiste più e che tanto mi ha arricchito alla fine ha prevalso. Vale qualcosa quello che leggerete qui? Pochissimo, probabilmente, ma ogni discussione negli ambienti sociali è fatta così: tanti puntini che valgono pochissimo uniti da fili invisibili che tracciano un disegno grande. Quando un tempo si diceva “ambiti collaborativi” si intendeva questo.

Ora a me pare che non esistano dubbi sul fatto che le nostre speranze legate a Internet siano naufragate velocemente molti anni fa, anche Sergio in fondo lo scrive. E sono naufragate per le solite ragioni di sempre di cui non varrà la pena di parlare. È il mondo che è fatto così, quando viene chiamato a scegliere sceglie macchinalmente il peggio per sé, altro che intelligenza collettiva.

Noi però allora non lo sapevamo o, se lo sapevamo, pensavamo che potesse comunque esistere uno spazio alternativo alla stupidità imperante; pensavamo che forse quello strumento ce lo avrebbe concesso e che noi in fondo lo avremmo saputo preservare. Le cazzate che ho scritto al riguardo a cavallo del cambio di secolo le so solo io ma erano cazzate molto facili da idenficare oggi, erano allora – in ogni caso – cazzate in buona fede.

Ecco se c’è una cosa che mi pare pacifica in tutta questa piccola vicenda culturale di vent’anni fa è la buona fede di molti, l’autentica ingenua voglia di cambiare il mondo o almeno di raddrizzarlo un po’, per quel poco che era possibile, per quel pochissimo che era consentito pigiando una tastiera da dietro le pagine di un blog che rimandava ad altri blog.

Eravamo ingenui e in buona fede dentro un enorme errore di prospettiva. Ecco forse questo mi allontana un po’ dalla ricostruzione di quei tempi scritta da Sergio: quella roba lì era la nicchia della nicchia, i nostri blog, gli aggregatori, i feed rss attraverso i quali restavamo in contatto, non influenzava altro se non noi stessi (oltre che i quattro gonzi dei media che sono sempre alla ricerca del nuovo fenomeno da raccontare) mentre gli strumenti di rete sociale che sono venuti dopo (in Italia quasi solo FB) quelli sì hanno modificato le prassi sociali dei cittadini. Certo a quel punto era tardi, la piattaforma perseguiva scopi totalmente differenti, gli utenti affluvano a milioni privi di qualsiasi cultura digitale, il disegno sociale di una società migliore si era rapidamente trasformato in uno scarabocchio che riproduceva la società come era allora. Ma era uno scarabocchio grande, per questo contava, per questo lo si vedeva perfino da Marte.

In ogni caso, rimanendo a noi, quanto fosse piccola e marginale l’esperienza sociale che tanto ci appassionava non era troppo chiaro. È pur vero che molto spesso movimenti culturali grandi nascono da piccole scintille, anzi diciamo che questa forse è la regola aurea, tu che una volta eri “il matto” cinquant’anni dopo ti trovi osannato da tutti come “il genio”. Nella grande maggioranza dei casi però il matto resta il matto, nel caso dei blog, di quel piccolo movimento di cultura digitale nato e rapidamente collassato vent’anni fa il puntino piccolissimo è rimasto un puntino molto piccolo. Bello quanto vi pare, allora come oggi, ma comunque piccolissimo.

Questo forse spiega molte delle cose che scrive Sergio, questo spiega come mai Granieri se ne sia rimasto tutta la vita ostinatamente nel suo paesino in Basilicata con la sua moto Guzzi e i suoi occhiali da sole. Non eravamo abbastanza grandi, non lo eravamo di molti ordini di grandezza, non eravamo nel posto giusto ma nella patria della conservazione e dello spirito familista e reazionario, non avevamo insomma – facile dirlo ora – alcuna possibilità.

Proprio per questo forse ne è valsa la pena, per mettere accanto ai molti inevitabili errori di gioventù anche alcuni orgogli di gioventù.


5 commenti a “Un puntino piccolo (una risposta a Sergio)”

  1. Eugenio Ciccone dice:

    Leggendo il testo di Sergio che hai citato mi venivano in mente le stesse cose che poi scendendo nella lettura ho trovato nel tuo commento. Concordo in pieno su tutto, grazie per la condivisione!

  2. Sergio Maistrello dice:

    Mante, la gioia di leggerti qui come fosse una discussione d’altri tempi. Proprio in questi giorni. Un regalo, grazie.

    Per risponderti: hai senz’altro ragione, puntini siamo e puntini resteremo. Lo eravamo anche prima. Ma la tecnologia, che non è neutra nel male, non è neutra nemmeno nel bene. Qualcosa passa, qualcosa scala. E certo serve fare tanta fatica, giorno dopo giorno, ma io resto convinto che l’esempio, il pensiero ripetuto di un mondo migliore opposto alla tendenza naturale di virare verso il peggio, facciano il loro. A livello molto micro, ma da lì parte ogni possibile cambiamento strutturale. Non ho mai pensato che sarebbe cambiato tutto in una volta, nemmeno quando i blog erano sovrastimati dai tritatutto mainstream, anzi.

    Diamine, Massimo, non scriveresti ancora qui se non lo pensassi in un fondo un po’ anche tu. E proprio tu sei tra quelli che non ha mai smesso. Hai cambiato tempi, stile, motivazioni forse, prospettive, aspettative certo, ma sei ancora qui che dici la tua. E magari sarai meno ottimista, ma a modo tuo ti spendi per quello che pensi e che pensi sia giusto.

    Non chiedo di più, a chi ha provato che si può fare la differenza nel proprio piccolo. Eppure anche a questo la maggior parte di noi reduci ha rinunciato, accontentandosi di perculare l’utonto di turno o sospirando signoramia sul peggio del giorno, col rancore di chi s’era fatto aspettative sul proprio futuro.

    Io ho scelto una direzione molto meno quotidiana. Mi autocensuro tantissimo, cerco di esprimermi soltanto quando posso farlo in positivo (anche per non dare visibilità al peggio, e sì lo so che ci sono ci sono pro e contro), ma soprattutto quando penso di poter dare un contributo aggiuntivo, quando penso che dire una cosa possa fare la differenza non tanto nel mondo, ma nel piccolo circondario di punti intorno a me. Basta? No. Però ci provo. Conta pochissimo? Senz’altro. Conservo in me la scintilla che accenderà la prossima rivoluzione dello spirito del mondo? Non credo.

    Ma magari il mio reiterare un tentativo impiegatizio di far prevalere un frammento di bene sulla naturale tendenza al peggio accenderà qualcun altro e qualcun altro ancora, fino magari ad arrivare alla persona giusta. O magari no. Magari tra un mese l’Europa sarà in guerra e avremo bello che smesso di farci pippe di principio. Ma perché smettere di provarci e provarci con un senso, con un’ispirazione, con una responsabilità morale?

  3. Samuele dice:

    Io rimango sempre orgoglioso di quel periodo, è un vanto personale che capisco e apprezzo solo io. Il tuo è stato uno dei primi blog che ho letto (forse il primissimo) e questo rimarrà una macchia indelebile nel mio scarso curriculum digitale. :-)

    Come sempre hai perfettamente spiegato il punto.

  4. brodo dice:

    come previsto

  5. melba dice:

    Quel che scrivo ti darà ragione, ancora più ragione. Quella breve stagione forse “puntinista” ha significato il mondo per me però, della qual cosa importa solo a me ovviamente, ma è pur un altro minuscolo, insignificante, puntino del tutto. Quel periodo ha permesso a me, signora già allora di mezza età da sempre chiusa in una periferia remota quasi quanto quella del gigante Granieri di entrare in contatto con un mondo di persone più brave di me, più giovani di me, più preparate di me, per mostrarmi un mondo meno chiuso, depresso e depressivo di puro immobilismo. Non fu rivoluzione, e nemmeno movimento consistente? Ok, ma il mio minuscolo blog durato solo 2 anni, insieme a quell’indimenticabile esperimento “fallito” che fu Little Italy MOO, aprì per me il cuore, la mente e letteralmente sbloccò la seconda parte della mia vita. La mia gratitudine, sempre, a Granieri e agli altri grandi compagni di quel per me breve viaggio, inclusi il padrone di casa.

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