A tutti voi sarà capitato di osservare un’immagine devozionale, un santino, dedicato a sant’Antonio abate, in cui questi fosse rappresentato in veste di protettore degli animali, ruolo che, nel corso del tempo, la devozione popolare gli ha attribuito. Forse non tutti sanno che in realtà Antonio fu, dal tardoantico in poi, un santo veneratissimo ed estremamente importante. Intanto era egiziano, copto per la precisione, e la sua prima Vita venne redatta in greco da Atanasio, vescovo di Alessandria, nella seconda metà del IV secolo, poco dopo cioè la morte del santo stesso.

La Vita racconta di un uomo che seguì un percorso ascetico verso la perfezione, allontanandosi sempre di più dal consorzio umano e procedendo in solitudine nell’impervio deserto egiziano. Egli viene presentato dal suo biografo come il primo uomo a tentare un’impresa di questo tipo e come il reale fondatore del monachesimo cristiano. Ovviamente la nascita del monachesimo cristiano, che ha comunque un’origine orientale, è storia ben più complessa, ma il messaggio venne colto dalle generazioni seguenti.

Anche Gerolamo (il santo della Vulgata per intenderci) volle dire la sua sull’argomento e, nella sua Vita Pauli, tolse il primato di primo monaco ad Antonio per consegnarlo al suo protagonista, Paolo di Tebe appunto, ma, con un coup de théâtre, fece incontrare i due personaggi nella sua storia. Gerolamo racconta di un arzillo Antonio che, a novant’anni, su ispirazione divina, si mette in cammino per cercare il più anziano, e più vicino di lui alla perfezione, Paolo, monaco di centotredici anni (ebbene sì, la solitudine, la vita senza peccato e una perfetta ascesi portavano a vivere in perfetta forma molto, molto a lungo. A qualcuno potrebbe interessare).

Nella sua strada Antonio incontra una serie di strani personaggi che gli indicano la via da seguire: un centauro, un satiro e una lupa. Infine giunge a destinazione dove finalmente può fare conversazione con l’anziano uomo di Dio e condividere un frugale pasto, vale a dire un pane portato miracolosamente da un corvo. Paolo aspettava solo l’incontro con Antonio per morire in pace dopo il passaggio della paternità spirituale dall’uno all’altro simboleggiata dal dono della tunica di foglie intrecciate dell’anziano al più “giovane”. Saranno due mansueti leoni, materializzatisi all’occorrenza, ad aiutare Antonio a scavare una tomba per Paolo.





I due racconti, quello di Atanasio e di Gerolamo, seppur in parte in contraddizione tra loro (ma la contraddizione non pare essere stata considerata), viaggiarono affiancati per tutto il Medioevo e vennero letti, volgarizzati e poi rappresentati in innumerevoli cicli pittorici. Alcuni episodi divennero topici, come quello di Antonio battutto dai demoni nel deserto, di estrazione atanasiana, o il momento della condivisione del pane tra Antonio e Paolo, o del seppellimento di quest’ultimo. Spesso li ritroviamo nelle Tebaidi, cioè le rappresentazioni pittoriche di alcuni episodi tratte dalle Vite dei padri del deserto: ne abbiamo uno splendido esempio in quella del Camposanto di Pisa.

Più un santo è famoso, più di lui si parla e si scrive. Sono innumerevoli le leggende che successivamente ebbero come protagonista Antonio. Alcune servirono a giustificare la comparsa, improvvisamente e nell’XI secolo, del suo corpo in Francia, nel Delfinato, nonostante nella leggenda atanasiana venisse specificato che Antonio non volle fare conoscere a nessuno il luogo della sua sepoltura (ad esclusione dei due discepoli che materialmente dovettero seppellirlo) volendo evitare l’abitudine ancestrale, e all’epoca ancora praticata in Egitto, alla conservazione, nella propria casa, del corpo mummificato di santi uomini. Non è possibile ora entrare nel merito dei diversi filoni leggendari legati alla traslazione del corpo del santo dall’oriente all’occidente ma quello che è certo è che, da un certo momento in poi, tre distinti corpi vennero venerati come spoglie antoniane in tre luoghi non troppo distanti tra loro nella Francia del sud (quello della moltiplicazione delle reliquie è un fenomeno noto a chi si occupa dell’argomento).

Nel XIV secolo un domenicano di origine galiziana, tal Alphonse Bonhomme, redige una lunga narrazione che, a detta dell’autore, sarebbe stata tradotta direttamente da un testo arabo mai più rintracciato in seguito. Non è escluso che Alphonse abbia inventato di sana pianta la gustosa leggenda in cui il povero Antonio si trova alle prese con una sedicente e bella regina (in realtà il diavolo travestito) che gli si presenta nuda mentre fa il bagno in uno stagno con le sue ancelle, anch’esse completamente nude. Quanta fatica deve compiere il povero asceta per non rimanere irretito, oltre che dalle conturbanti grazie muliebri, dalla sagace facondia della donna!

Ma ancor più originale risulta essere la cosidetta Leggenda di Patras o Leggenda Breviarii composta da un anonimo autore attorno al X secolo. Creando come sfondo un coacervo di grossolane incongruenze geografiche e storiche, l’autore riprende i temi della narrazione di Gerolamo, apportando però alcune aggiunte e qualche significativo cambiamento. Particolarmente singolare risulta colui che indica ad Antonio la via verso Paolo: non più il centauro o il satiro, ibridi di un mondo classico ormai lontano e sfuocato, ma un essere che, se pur ancora metà uomo e metà bestia (con lunghe corna di cervo e piedi di cammello), si ritrova in quelle condizioni perché punito per il suo ferale comportamento. Nella sua solitudine di monaco aveva ceduto al demonio peccando con una cerva.




L’anonimo monaco autore della leggenda doveva avere un certo prurito per le vicende sessuali, dato dimostrabile in altri passi del racconto, ma il peccato di zoofilia doveva comunque essere sentito come una reale preoccupazione in quei secoli dal momento che viene ricordato in alcuni penitenziali nei quali spesso ci si preoccupa anche dell’opportunità o meno di consumare la carne degli animali resa impura dal contatto sessuale con l’uomo. Comunque sia il povero uomo-cervo della leggenda riesce a recuperare l’aspetto umano solo dopo aver confessato, con sincero pentimento, il suo terribile peccato ad Antonio.




Un altro interessante aspetto della leggenda di Patras, che mi piace sottolineare, riguarda il momento in cui Antonio, accompagnato dai suoi discepoli, si imbatte in una fonte occupata da un enorme serpente-drago a cui il santo, dopo la recita degli opportuni salmi, comanda di andarsene repentinamente. E qui arriviamo al drago.

La settimana scorsa eravamo in viaggio in Scozia e abbiamo costeggiato per un po’ il lago di Lochness. Quello della famosa foto del mostro scattata nel 1934 poi rivelatasi un falso.





Le guide raccontano che il mostro del lago (attorno al quale è stato costruito un forrmidabile merchandising) sarebbe rintracciabile già nel racconto della vita di santa Colomba, monaco irlandese, evangelizzatore dell’isola e vissuto nel VI secolo. In effetti nel racconto della sua vita, scritto nel VII secolo dal monaco Adamnano di Iona, compare un gustoso capitoletto in cui il santo si impegna a cacciare l’immonda bestia acquatica. Tralasciando il legame fonte-serpente di ascendenza classica, va detto che il motivo del santo addomesticatore del genius loci, sostituto cristiano dell’eroe sauroctono classico, protagonista di miti di fondazione e di vittoria sul paganesimo, rientra abbondantemente nella topica agiografica. Sono innumerevoli i santi che combattono contro il serpente-drago: spesso si tratta di monaci, nella maggior parte dei casi di vescovi. Il drago prefigura quasi sempre il demonio, come nel caso della leggenda antoniana o di santa Colomba, ma può anche essere interpretabile, in ottemperanza alle teorie miasmatiche, come il corruttore ed ammorbatore delle acque e dell’aria.





La famosa pestilenza romana, che venne fermata da Gregorio Magno quando era ancora vescovo della città, sarebbe stata causata dallo spiaggiamento dal Tevere di serpenti acquatici e, come ha dimostrato Mario Sensi, il culto di santi sauroctoni trova un legame con le epidemie di malaria nell’area umbra.

A Lochness tutto sommato in origine non accadde nulla di speciale. Potete riporre il binocolo e la fotocamera e andarvene tranquillamente da un’altra parte.

[Alessandra]

p.s. chi volesse ammirare le storie della vita di Antonio, in minima parte descritte in questo post, potrebbe recarsi ad esempio nella piccola chiesa di Sant’Antonio a Cascia, nella meravigliosa e ben più famosa chiesa di San Francesco a Montefalco oppure nella chiesa del Tau a Pistoia.

12 commenti a “Da Atanasio a Lochness”

  1. roberto dadda dice:

    MOLTO interessante e ben scritto.

    grazie

    bob

  2. Razmataz dice:

    Grazie Alessandra.

  3. Aubrey dice:

    Non mi ricordavo dell’episodio di Antonio, e sono andato a riprendere ”Vite di Paolo, Ilarione e Malco” (dove immagino l’abbia preso tu…). Non ricordavo neppure che il tutto accadesse a mezzogiorno, l’ora del ”demone meridiano”! Ho appena finito il libro di Callois e non credo nomini questo straordinario episodio, e mi stupisce. Ne sai di più, per caso?

  4. alessandra dice:

    @Aubrey, in realtà ho lavorato moltissimo sulle leggende antoniane latine e ne ho tratto anche una lunga pubblicazione (però accademica). Credo che tu faccia riferimento al volume curato da G. Lanata in cui sono tradotte dal latino le Vite dei padri del deserto redatte da Gerolamo. Se vuoi leggere un bellissimo commento ad esse devi procurarti l’edizione del volgarizzamento cavalchiano curato da C. Delcorno (Cinque vite di eremiti dalle vite dei santi padri, Venezia 1992) che è un maestro sull’argomento. Comunque Gerolamo fa riferimento allo spirito accediae, cioè a quella sorta di scoramento, noia e sconforto che assale chi cerca Dio nella solitudine: uno degli otto peccati capitali secondo la più antica classificazione (Evagrio). La lotta contro l’accidia è particolarmente aspra all’ora sesta (mezzogiorno appunto), quando il sole è alto nel cielo (ecco perché Gerolamo si preoccupa di dire che, nonostante l’ora, Antonio è speranzoso dell’aiuto di Dio). Come hai ben specificato tu si tratta del demone meridiano che è ben presente nella letteratura monastica e fa riferimento al Salmo 90,6. Se vuoi puoi leggerti G. Penco, Sopravvivenza della demonologia antica nel monachesimo medievale, in Studia Monastica, XIII, I, 1971, pp. 31-36.
    Saluti
    Alessandra

  5. Marcello Semboli dice:

    Grazie. L’ho letto con piacere.

  6. jan dice:

    santa Colomba non è semplicemente san Colombano? Bello e ben documentato, grazie!

  7. juhan dice:

    Jan mi ha rubato quello che volevo dire. Saluti a Jan, ti perdono :-)
    Bel post, anche se inaspettato, grazie Alessandra, grazie Mante.
    Se poi ci fosse anche FSM sarebbe perfetto.

  8. Paolo Galloni dice:

    Per l’esattezza il san Colomba di Lochness corrisponde a Colum Cille, fondatore dell’abbazia di Iona, personaggio omonimo ma diverso dal Colombano che sembra dall’Irlanda giunse in Italia e fondò il monastero di Bobbio. E’ curioso che dopo Colum Cille la leggenda di Lochness conobbe una lunga eclissi, tanto che i viaggiatori del XIX secolo che transitano dalla località non ne parlano mai.
    L’uomo-cervo ha una storia lunga e complessa, che probabilmente parte dalla preistoria e nei millenni si modifica e si adatta a nuovi contesti.
    a presto
    Paolo

  9. Gigi Tagliapietra dice:

    Magnifico post. Una bella lettura che porta lontano lontano. Lontano dai blog, lontano dai berlusca, lontano dai tg, lontano, lontano nel tempo.

    Pura magia.

    Grazie

  10. Gianluca dice:

    Madonna che trituramento di maroni.

  11. Aubrey dice:

    Grazie Alessandra per le precisazioni.
    Io in realtà sono un profano, ho solo letto un libretto di San Girolamo, ”Vite di Paolo, Ilarione e Malco”, Adelphi 1975.
    Poi mi sono imbattuto ne ”Il demone meridiano” di Roger Callois Bollati Boringhieri 1998.
    E poi nel tuo post :-). Quindi ringrazio te e la musa della serendipity, proverò ad approfondire con i testi che mi hai suggerito.

  12. vite di santi e nuovi blog | Simone Weil dice:

    […] post a sorpresa molto bello di sul blog di Mantellini, ma scritto dalla moglie. E poi per Serendipity la […]