Qualche impressione sul Digital Music Forum a cui ho partecipato a Milano ieri. Intanto ringrazio Enzo Mazza presidente della FIMI per l’invito, per me è stata una esperienza molto utile ed interessante. Si doveva parlare di modelli di business per la musica digitale e abbiamo invece finito un po’ tutti per accennare a mille argomenti diversi.

La grande maggioranza dei molti intervenuti era composta da rappresentanti della industria musicale, poi c’era Paolo Barberis presidente di Dada, Montagnini di Nokia e Riccardo Usuelli di Downlovers. In ogni caso fra molte chiacchiere, dichiarazioni di principio e qualche minima spiacevolezza, torno con l’impressione che la considerazione che l’industria musicale ha della musica e della tecnologia sia oggi molto simile a quella di qualche anno fa.

I discografici mi paiono molto concentrati su un unico aspetto della intera questione, l’unico che forse li interessa davvero, quello economico. Non si può ovviamente dar loro torto ma la chiusura di visuale che un simile approccio comporta è la ragione stessa del declino delle case discografiche in tutto il mondo.

La lamentazione più recente è quella relativa ai tanti nuovi soggetti non autorizzati che rubano il “loro” denaro nella filiera digitale della musica. I Provider, Telecom Italia davanti a tutti, sono percepiti e dichiarati come i principali “ladri di valore” (con annessa non troppo velata richiesta di trovare la maniera di fargli restituire il maltolto) e dopo di loro Google e dopo Google i servizi web tipo RapidShare giu’ fino all’ultima piattaforma che consente di distribuire mp3 fuori dal loro controllo.

La comprensione della distanza fra le parole “condivisione” e “pirateria” sembra non aver fatto un solo passo avanti negli ultimi anni ed anche ieri, rispondendo ad una domanda di Riccardo Luna di Wired, per molti di costoro resta plausibile e normale che vengano applicate pene pecuniarie piu’ o meno eque per chi condivide musica online. In alternativa alcuni mostravano considerazione per la (pessima) dottrina Sarkozy che sbatte semplicemente fuori dal web i pirati recidivi. Steve Jobs infine è un innovatore furbetto (con la nostra musica vende i suoi ipod) e un po’ rompicoglioni (strano che a nessuno dei presenti sia venuto in mente che il modello di business di iTunes, ampiamente percepito come l’ultima frontiera dell’innovazione, non sarà probabilmente per nulla adatto alle logiche di rete nei prossimi anni).

Insomma il mondo dell’industria musicale continua ad osservare un fenomeno ampio e complesso, denso di implicazioni culturali e sociali, mediato da nuove tecnologie abilitanti, attraverso la lente unica del proprio business: in questa ottica l’accesso a Internet è una vanga, un banale sistema per riempire gli hard disk degli utenti di musica, film ed altri contenuti sotto copyright, senza spendere un soldo.

Si intravede insomma un respiro ideale modesto e francamente un po’ deprimente: il mondo, tutto il mondo che cambia sotto i nostri occhi, viene filtrato attraverso una sola chiave di lettura. Per questa ragione non sarebbe male che i discografici iniziassero a parlare con maggior frequenza con persone da loro molto differenti. Magari con quella voglia minima di ascoltare ed incuriosirsi verso le tante implicazioni misconosciute del loro lavoro, che è indispensabile per non fare la fine, oggi così prevedibile, dei pesci in barile.

11 commenti a “Pesci in barile”

  1. Salvatore Mulliri dice:

    i trilobiti guardavano così l’avvento dei pesci cartilaginei (che ci sono ancora)

  2. Camillo dice:

    Ovvero com’è difficile – oggigiorno – trovare dei buoni acciarini od un cerusico di quelli bravi!

  3. Sascha dice:

    Giusto per ripetermi, sto ancora aspettando la nuova, sconvolgente fioritura di grande musica propiziata dalle nuove tecnologie, da ITunes, p2p, filesharing e quant’altro. Ora che le case discografiche sono deboli, anzi moribonde, dovrebbero esserci vagonate di musica fresca e originale che prima non aveva modo di esprimersi…

    (il fatto che le nuove tecnologie, almeno in questo campo, mettano il potere davvero nelle mani del consumatore è la causa del loop (stallo, stagnazione, eterno ritorno…) in cui si trova oggi la popular music. Per il grande pubblico le cover bastano e avanzano; erano le major e gli indipendenti che avevano bisogno di lanciare e sviluppare nuovi personaggi, nuovi stili, nuove mode, nuove tendenze…

    L’altro giorno un promo su Mtv in cui dei giovani graffitari tatuati e skatemuniti rappresentavano la ribellione e l’individualismo – insomma, da una quindicina d’anni non si muove foglia…

  4. michela dice:

    chiusa fantastica.
    mi domando se sono state avanzate, in quella sede, delle soluzioni alternative al modello “elefante” dei discografici.

  5. Leon dice:

    Una domanda: per quale motivo pensi che il modello di business di iTunes non sarà adatto alle logiche di rete dei prossimi anni? Cosa intendi con logiche di rete e per quale motivo un modello così florido e basato tutto sommato su un ecosistema – dunque particolarmente efficace e completo per l’utente – dovrebbe trovarsi inadeguato in futuro?

  6. Luca dice:

    Sascha, il tuo discorso avrebbe senso – in parte – fino agli anni Settanta, forse gli Ottanta. Negli anni Novanta, soprattutto nella seconda metà del decennio (e comunque, PRIMA dell’impatto di Internet), le major avevano praticamente abbandonato quell’approccio. Le sperimentazioni sulle novità erano di gran lunga inferiori alla ricerca di artisti in grado di stuzzicare il pubblico per ragioni ben lontane dalla qualità musicale (le boyband su cui tutti investirono in massa nella seconda metà dei ’90…) o nella riproposizione di cloni e di modelli già visti. Tutto era già molto superficiale. Lo scrivi anche tu: si trattava ormai solo più di lanciare “nuovi personaggi, nuovi stili, nuove mode, nuove tendenze”. E poi ripeterli fino ad esaurirli. Non “nuova musica”. Più fashion che sentimento. La stagnazione artistica è iniziata lì, non con Internet. E i graffitari tatuati, ribelli e skatemuniti me li ricordo benissimo su MTV già in quegli anni. Forse è stata proprio a MTV a inventarli.
    Credo che ben pochi rappresentanti della grande industria verso la fine del millennio fossero davvero così assorbiti dall’idea di produrre buona musica. Io sono radioheadiano fino al piloro, quindi molto di parte, però a parte “Ok Computer” non vedo tutti questi capolavori originali, freschi e inediti prodotti nel periodo subito precedente a Napster (quello in cui le major guadagnavano di più in assoluto, e cioè in cui – teoricamente – avrebbero avuto un sacco di soldi da investire nei “giovani talenti”).
    Poi, su una cosa siamo d’accordo. Oggi non c’è “grande musica”, artisti eccezionali in grado di smuovere le coscienze e lasciare il segno nella società come era accaduto nei decenni precedenti (forse gli ultimi sono stati i Nirvana, e il rap, per quanto personalmente non mi dica niente). C’è tanta buona musica in circolazione, ma niente di superlativo. Ma sei sicuro che sia “colpa” di Internet e non di un fisiologico inaridimento nella vena espressiva della musica popolare? E soprattutto, della sua capacità di catturare l’immaginario collettivo? Può anche darsi che quella stagione della musica popolare sia finita… La società è molto cambiata rispetto anche solo a un decennio fa, così come sono cambiate abitudini e passioni.
    Per recuperare quel ruolo, secondo me la musica avrebbe bisogno di reinventarsi completamente, magari grazie all’ispirazione e al talento di un Artista Enorme, del livello e dell’impatto di Beethoven o dei Beatles, uno di quelli che nasce una volta ogni cento anni.
    In che direzione? Non chiedermelo, non ne ho la più pallida idea, purtroppo non sono io quell’Artista. Ma in questo dubito che c’entri o abbia una qualche priorità obbligata il ruolo dell’etichette discografiche. Internet, invece, al massimo c’entrerà in modo indiretto: perchè permetterà ai futuri artisti, magari anche a quello Enorme, di avere una panoramica completa dell’esistente, di migliorare il proprio bagaglio di conoscenze e di comprendere le dinamiche del nostro tempo, anche quelle del network. Di vivere nel presente, insomma. Ecco, l’Artista Enorme del ventunesimo secolo, se mai arriverà, dovrà parlare la lingua del nostro tempo, non quella degli anni ’60. E dalla lingua di oggi non puoi cancellare o limitare artificialmente il significato delle reti digitali. C’è poco da fare. Se nascerà qualcosa di nuovo anche nella musica, è da lì che nascerà.

  7. a. dice:

    forse sono gli artisti a non venir più fuori grandi, o forse è il mondo che è cambiato e non è più un posto per assolutismi, neanche in musica. poi c’è da chiedersi se ciascuno di noi ha ancora voglia di cercarli questi artisti. io personalmente si.

  8. Sascha dice:

    Io parto da due assiomi: la quantità di talento circolante al mondo è sempre la stessa; i mutamenti nei mezzi di comunicazione strutturano la ricezione del pubblico.
    Delle varie forme d’arte la musica è quella che si distribuisce digitalmente nella maniera più fedele e comoda (i libri, deo gratias, molto meno) e l’aumento esponenziale della sua disponibilità ne azzera sia il prezzo che il valore. Quel che è già stato schiaccia inesorabilmente il nuovo che non nascerà più.
    Sì, non si può prescindere dalle nuove tecnologie ma non si può nemmeno pretendere che queste non influenzino il prodotto.
    Lei pare ritenere che la funzione delle case discografiche nello scovare, inventare, proporre, sostenere nuovi artisti si fosse esaurita; inoltre che la creatività musicale stessa si fosse inaridita anche prima dell’avvento di Internet: ma com’è che Internet non l’ha fatta rivivere? e chi si deve occupare dell’opera di valorizzazione dei nuovi talenti se la Rete è strutturalmente incapace di farlo, visto che dove prima si era sconosciuti in ambienti ristretti oggi si è sconosciuti davanti a una potenziale platea di miliardi di persone?
    Ogni volta che un qualche artista si azzarda a suggerire che sta diventando difficile vivere come musicisti senza i guadagni più o meno garantiti dalle case e che i nuovi modelli di business semplicemente non esistono il ‘popolo del Web’ scatena tutto il suo moralismo feroce a difesa del privilegio di aver gratis quel che un tempo doveva pagare: si trova sempre qualche ‘grande’ che i soldi li ha fatti o qualche giovanotto di belle speranze a proclamare che no, la Rete è Dio e il p2p è il suo profeta e che fare musica per soldi è una cosa schifosa.
    Come se Beethoven e Wagner lavorassero gratis…

  9. Abesibé dice:

    Non sarà che prima erano le radio, le riviste o altri mezzi di comunicazione “attennativi” conclamati e autorizzati che “sancivano” la grandezza di un artista o di un disco, garantivano il passaparola ecc.? I tempi sono cambiati, forse ascoltate qualche webradio di cui vi fidate, per scoprire nuove musiche? Gli artisti in gamba ci saranno di sicuro, ma tra che le radio attennative praticamente non esistono più, i negozi di dischi non ne parliamo, riviste velo pietoso, cosa è arrivato al loro posto per farvi alzare il culo e farvi venire a un concerto di una band nuova (scherzo)? O per farvi scaricare a pagamento/ordinare online l’album di una band che dite “questi li voglio sostenere”?

  10. Sascha dice:

    Appunto: nulla.
    Lo credo che poi i talent show della tivù sbancano – ma da lì non ci possiamo certo aspettare originalità.

  11. Gaetano dice:

    Eh lo so, i rapporti economici sono regolati dalla forza.
    Ci sono paesi che sfruttano le materie prime di altri paesi meno evoluti tecnologicamente, ci sono datori di lavoro che non pagano straordinari ai dipendenti, ci sono lobby che fanno approvare dai governi estensioni illimitate dei diritti di proprietà intellettuale, ci sono pirati che si appropriano di file musicali presenti in rete.
    Lo stesso libero mercato è una convenzione imposta da rapporti di forza politici, così come il sistema democratico, per nostra fortuna. Nulla è scontato, le cose cambiano, come sono sempre cambiate. La cosa rilevante è che oggi le cose cambiano molto in fretta a causa dell’enorme progresso tecnologico.