Contrappunti su Punto Informatico di domani.


Nella giornata di sabato, quando in Italia era primo pomeriggio, è andato in onda l’interessante esperimento sociologico dal titolo: “Mezzoretta senza Google”. Come quasi tutti sanno, visto che la notizia è stata drammatizzata ed urlata a squarciagola da ogni media possibile, per una manciata di minuti il motore di Mountain View ha restituito per ogni ricerca, in tutto il mondo, un unico bizzarro consiglio: “Vuoi andare su questo sito? Lascia perdere, potrebbe essere pericoloso”. Il sistema di segnalazione del malware di Google, improvvisamente ipertrofico, ha di fatto azzerato l’attività di ricerca di centinaia di migliaia di persone in tutto il pianeta, pur se per lo spazio temporale di una breve passeggiata al parco.
Nulla di drammatico ovviamente, ma un episodio capace di segnalare gli straordinari imbambolamenti di una generazione che senza Google si ritrova improvvisamente perduta.
Ed è proprio in occasione di simili inconsueti episodi che la normalità delle nostre vite legate a doppio filo con spiccioli di tecnologia del genere si rivela nei suoi aspetti più imbarazzanti.

Un numero consistente di utenti della rete in tutto il mondo non sente più nemmeno la necessità di utilizzare i bookmark. Recuperare un indirizzo web dalla form di google è una operazione velocissima e automatica, i bookmark vanno invece mantenuti, organizzati, ripuliti, trasferiti da un computer all’altro. Tutto troppo complicato, semplicemente per una vasta fascia di utenza internet non c’è partita: con Google si fa prima. Almeno fino al momento in cui Google non funziona più, anche solo per mezzora.

Poco importa che Google non sia l’unico motore di ricerca, che esistano alternative forse altrettanto efficaci o comunque certamente in grado di sostituirlo per un breve periodo. Con l’abitudine è difficile combattere. Non ci aiuta nemmeno sapere che Google rappresenti un potenziale pericolo per la nostra privacy, data l’ampia messe di informazioni che è in grado di raccogliere. Esiste una soglia di normalità molto difficile da raggiungere ma superata la quale, e nel caso di Google tale soglia è stata ampliamente oltrepassata, l’identità fra strumento e suo utilizzo non può più essere ragionevolmente discussa.

Noi pensiamo intimamente che Google non possa “rompersi”. Ce lo dicono intanto anni di onorato ininterrotto servizio, lo raccontano le storie epiche della ridondanza fantascientifica dei data server di Mountain View, centinaia di migliaia di computer collegati uno all’altro all’interno di enormi misteriosi capannoni in regioni sperdute del midwest americano, ce lo spiega, soprattutto, il nostro intimo bisogno di sicurezza nel momento in cui un numero di persone impressionante in tutto il mondo ha incaricato Google di cercare per loro il numero della pizzeria all’angolo, un antico testo medioevale, una foto per la ricerca scolastica dei figli.

L’errore umano di un dipendente di Google (difficile essere nei suoi panni oggi) è servito a ricordarci questa nostra nuova dipendenza, che si aggiunge ad altre misconosciute abitudini alle quali non facciamo più caso da tempo. Ci ha anche consentito di osservare una certa velocità di Google stessa, capace di riparare il danno nel giro di poche decine di minuti e di postare sul suo blog la spiegazione di quanto accaduto a firma di uno dei suoi più alti dirigenti, Marissa Mayer, circa un’ora e mezzo dopo. Questo ha limitato fortemente la ridda di speculazioni su ipotetici attacchi informatici a Google, virus e cedimenti improvvisi del pagerank che da subito sono iniziati a circolare in rete.

Ma in un enorme sistema informativo i cui fili avvolgono ormai il pianeta intero basta una slash di troppo, digitata un sabato mattina presto durante uno sbadiglio, per spegnere il giocattolo di tutti. E questa, tutto sommato, è oggi la notizia.

11 commenti a “Anteprima Punto Informatico”

  1. Atos dice:

    Massimo, sono le stesse identiche considerazioni che facevo stamattina con mia moglie, che d’Internet s’interessa poco, e lo usa per quello che le serve (le donne sono pratiche nelle cose materiali e teoriche nelle cose sentimentali, l’uomo è il contrario esatto).
    Semplificando le raccontavo il fatto del blocco di Google semplificandolo così: pensa che quello che tutti credono di una complessità e ridondanza tale da impedire che possa collassare per il semplice fatto che è struttura complessa (come la Rete, costruita per non essere mai interrotta grazie ai “nodi”) si è dimostrata vulnerabile come il ciclope, basta colpire “l’occhio”.

    Ho aggiunto poi, esattamente come da te indicato, che io stesso , per pigrizia, abitudine e assefuazione alle facilitazioni che offre lo strumento, ho smesso di tenere tracci di quello che faccio e che mi serve in Rete, tanto “c’è Google” e che anche per i documenti (ad esclusione, per ora, di quelli con dati veramente sensibili) ho preso la brutta abitudione di creare e gestire tutto sui server di Google, assicurato del fatto che il mio pc si può rompere, lo possono rubare ma “tanto io da qualsiasi Internet Point, ritrovo tutto in un secondo”.

    E se non fosse così ?

    Hai ragione, il giocattolo è delicato, e la cosa preoccupante è che sta diventando l’unico giocattolo con cui ci divertiamo.
    Un pò rischioso, non trovi?

  2. spider dice:

    Ti sei scordato di dire che l’iniziale spiegazione di Google consisteva nel dare la colpa a StopBadWare.org, che invece ha spiegato che non c’entrava nulla obbligando la Mayer a rettificare il post iniziale.
    Sono davvero stati così bravi quindi?

    Comunque, per quanto riguarda l’errore, il problema non è il dipendente che ha sbagliato. Il problema è che esiste un single point of failure determinato da quelle liste. Come spiegato anche nel post (tra le righe), dovranno trovare il sistema di eliminarlo così che al prossimo errore umano non succeda quello che alla fine è un piccolo problema tecnico ma un grosso danno di immagine.

  3. Giancarlo dice:

    “Ma in un enorme sistema informativo i cui fili avvolgono ormai il pianeta intero basta una slash di troppo, digitata un sabato mattina presto durante uno sbadiglio, per spegnere il giocattolo di tutti. E questa, tutto sommato, è oggi la notizia”
    Appunto trattasi di giocattolo, io non la metterei giù tanto dura.

  4. Procellaria dice:

    La prima parte dell’articolo non l’avresti scritta se usassi le ultime versioni di Opera. Mi si dirà che Opera è troppo di nicchia per essere rilevante, vero. Ma dato che tutti hanno sempre copiato da Opera, in futuro anche gli altri browser avranno le stesse fantastiche caratteristiche di gestione dei bookmark.

  5. Michele dice:

    “Unfortunately (and here’s the human error), the URL of ‘/’ was mistakenly checked in as a value to the file and ‘/’ expands to all URLs.”

    È semplicemente assurdo che quelli di Google – che sottinteso si sono inventati uno degli algoritmi più complessi degli ultimi tempi – non abbiano pensato a dei controlli preventivi su una cosa del genere. È una delle prime cose che si imparano quando si programma: la rivelazione e la correzione di un errore. E la risoluzione di una URL in un’applicazione come Google dovrebbe essere cosa scontata.

    Semplicemente non ci credo. Se davvero così fosse, il danno di immagine sarebbe enorme. Almeno fra quelli che capiscono cosa realmente è successo. Per tutti gli utenti ‘normali’ sarebbe solo un piccolo incidente tecnico. Un passeggero piccolo incubo. E tornerebbero tutti a giocare col loro giocattolo.

  6. Giuseppe dice:

    Le cose che mi sembrano sicure sono queste:

    1) chi ha scritto la prima versione del post di spiegazione sul blog ufficiale di Google (nel quale si “incolpavano” altri) non sapeva come funziona il giocattolo, tanto è vero che poi ha dovuto correggere il tiro facendo – almeno – altre due modifiche a quello stesso post.

    2) gli errori avvengono, ed è sempre molto più comodo scaricarne le responsabilità sul “fattore umano” piuttosto che riconoscere che anche un sistema famoso e di successo ha le sue (inevitabili…) falle.

    3) se per trenta o quaranta minuti di problemi a Google ne scrivono tutti i media significa che questo strumento è diventato un po’ troppo potente e importante, ovvero un po’ troppo pericoloso.

    ciao
    Giuseppe

  7. Daniele Minotti dice:

    Per me, e’ stato un echer…

  8. massimo mantellini dice:

    @Giuseppe, dio mio quanto tempo ;)

  9. Emiliano dice:

    Io ho tutti i segnalibri che mi servono.
    Non me ne sarei neanche accorto.
    Anche se in effetti devo ammettere che uso solo Google…
    Boh.. Non lo so se c’è qualcosa di google meglio come hai scritto nell’articolo.

  10. roy dice:

    Hai messo su un gran bel blog. Complimenti
    Ciao Ciao

  11. mario dice:

    Dopo 2 tentativi di ricerca falliti ho capito che c’era un problema tecnico e sono passato a Yahoo.