Valeria Calicchio, collaboratrice dell’Unità, ha qualcosa da eccepire sul suo blog alla recente gestione del quotidiano da parte di Concita De Gregorio..


Di molti non sa nemmeno il nome, forse nemmeno legge gli articoli che quotidianamente pubblicano sul suo giornale per 20 euro lorde a pezzo (pagate a 90 giorni forse, ma più realisticamente a 120). E’ per loro che in questo momento, più di ogni altra cosa, un dettaglio proprio non mi va giù: nel suo ultimo editoriale la De Gregorio, con sprezzo della vergogna, scrive “abbiamo attraversato lo stato di crisi aziendale rispettando con coscienza i patti che avevamo firmato, abbiamo combattuto le rendite di posizione, abbiamo messo in sicurezza i precari di antica gestione, non ne abbiamo creati di nuovi, abbiamo sostituito le maternità, abbiamo osservato con rigore la legge”. Questo no, direttora, non lo posso sopportare, grida vendetta. Non avete rispettato la legge, non avete normalizzato i precari, non li avete messi in sicurezza, come si fa con le case terremotate. Li avete costretti ad andare via o a sottostare al ricatto della collaborazione. Mentre lei diventava un santino, mentre andava a tutte le manifestazioni e in tutte le tv a parlare di precari, di giovani e di lavoro. Non si possono fare queste cose quando la gente è in cassa integrazione a rotazione, quando uno per poter continuare a scrivere deve fare anche il cameriere e non arriva a fine mese, quando il giornale perde pezzi, dimenticandosi davvero di fare inchieste, di occuparsi del sociale e di lavoro. Il giornale di Gramsci è diventato in tre anni l’ombra di un free press.



(via giornalettismo)

32 commenti a “Da Gramsci alla Free Press”

  1. alessandro chiarini dice:

    Non so se è tra quelli che prende 20 euro a pezzo pagati a 120 giorni, ma di sicuro il pezzo su quel blog traspira più risentimento personale che giornalismo, se l’obiettività è ancora una dote da giornalista. Mi sarei aspettato più fonti, più link, cosi sembra una sparata “ad minchiam” per citare il compianto “prof” Franco Scoglio.

  2. Andrea61 dice:

    Certe argomentazioni sono il chiaro indice di come il paese sia oramai malato e ogni confronto ridotto a lotta tra bande.

  3. vinz dice:

    A me sembra un intervento molto coraggioso.
    Non puo’ citare fonti o link, perche’ ovviamente questo comportamento scandaloso non e’ di certo documentato e documentabile. Che fonti puo’ citare? Le fotocopie delle ricevute dei pagamenti degli articoli?
    Non e’ un intervento giornalistico ne’ un confronto: e’ una denuncia di chi ci sta dentro.
    Ovviamente potrebbe inventarsi tutto, ma a me sembra sincera.
    Si certo, il tono e’ risentito; ma voi non lo sareste se per campare doveste fare i camerieri al nero tra un articolo e un altro, mentre il tuo direttore si vanta in quel modo?
    Sapere come stavano davvero le cose nell’amministrazione deGregorio (che per inciso, io stimo molto) forse non lo sapremo mai. Ma adesso abbiamo un altro punto di vista.

  4. un precario, ovviamente dice:

    Chiarini, e che doveva fare l’autrice del post? Pubblicare la sua busta paga? A chi scriva sui giornali, o a chi collabori anche a reti radiofoniche o televisive, questo pezzo rischia solo di far pronunciare: “e qual è la novità?”. Ma è comunque un pezzo che racconta di FATTI REALI, e gli innamorati della bella Concita, prima di strapparsi le vesti, dovrebbero leggerlo e meditarlo.

  5. diamonds dice:

    ho amici che lavorano in tiscali e potrebbero scrivere le stesse cose nel quaderno delle rimostranze,fermo restando che da quelle parti esistono le buste paga a mascherare il cottimo.Ma temo che la sensazione di essere solo dei numeri all’interno di numerifici sia la cifra che delinea il lavoro dpendente ai tempi della new economy.Con buona pace dei sindacati addomesticati

  6. Carlo M dice:

    se quel che leggo è vero, mi chiedo se non ci sia obiettivamente una grave contraddizione di fondo (che forse riguarda tutto il sistema della carta stampata) fra il sostenere di aver messo in sicurezza i precari e di non averne creati di nuovi, e il servirsi di collaboratori pagati a 20 euro lordi a pezzo pagati a 90-120 giorni.

  7. Stefano Bakara dice:

    Coraggioso… inzomma. A me pare il solito giochino del tirare fuori i sassolini dalle scarpe quando si scopre che il proprio superiore ha le valigie in mano e i giorni contati. Sport assai diffuso in Italia. Sul merito invece non ho difficoltà a credere a quella serie di contestazioni. Il coraggio però è altra cosa.

  8. Marco D dice:

    Leggendo i commenti su vari post di pennivendoli vari che lavorano a L’unità, il livore è debordante.
    Ma non comprendo perché la De gregorio avrebbe più responsabilità nei loro confronti di chi l’ha preceduta. Perché oltre che prendersela con lei non se la prendono con l’editore e il paraeditore che tengono in questo stato la baracca? Non credo che accada da ieri e non credo accada solo da tre anni. Mi sembra.

  9. Luca dice:

    Hai capito, la Concita?

  10. valentina dice:

    Ho scritto per l’Unità per diversi anni, fino al 2002 se non ricordo male. Pagine locali 20 euro a pezzo, per il nazionale era un po’ di più, credo intorno agli 80 (non parlo di conferenze stampa o di ricucinare agenzie, ma di lavoro vero). Immagino che ancora oggi sia così, del resto sono le cifre della maggior parte se non di tutti i quotidiani (la prestigiosa La Stampa di Calabresi viaggia a 70 euro lordi per un’inchiesta in prima pagina, spese neanche da chiederle, il che non gli impedisce di lustrarsi le penne al festival di Perugia).

    Ha ragione chi dice che basta con questa lagna, che sono cose risapute e pure un po’ noiose. Infatti non se ne può più, e poi che ci frega a noi che ci abbiamo il mutuo. Ma forse bisognerebbe cominciare a chiedersi come tutto questo influisce sulla dignità e la libertà dell’informazione. Se quelli che lavano le scale sono pagati meglio di quelli che hanno scritto il giornale che ho comprato e sto leggendo, io qualche domanda comincerei pure a farmela.

    Solidarietà alla collega, che immagino avrà come tutti noi percorso in lungo e in largo i corridoi di sindacato e ordine, per poi accettare l’evidenza che le cose così sono e così restano, e quindi sbottare di fronte a un qualsiasi direttore che si comporta né più né meno come un qualsiasi culo di pietra.

    ps @chiarini: ti rivelo un segreto: la fonte è lei, quella che scrive.

  11. Fabrizio dice:

    …il favoloso mondo di Concita.

  12. rafeli dice:

    tanto rispetto, ma avere queste condizioni di lavoro è una misura fedele del proprio essere assolutamente sostituibili.

    quando qualcuno in un’azienda privata è difficilmente sostituibile, le condizioni contrattuali cambiano.

  13. Olivetti dice:

    Tocca temi sacrosanti, mi pare affrontati più volte anche su questo blog, ma di coraggioso ha poco (senza voler pensar male).

  14. Giacomo Brunoro dice:

    Resto dell’idea che bisognere smetterla di collaborare con la carta stampata (perché e’ bene che si sappia: il 99% dei giornali in Italia tratta i collaboratori così): andatevene via, apritevi un blog, non svendete i vostri pezzi. Il giornalismo italiano deve morire, implodere su se stesso: ormai i contenuti di un giornale non sono più considerati un valore, e’ un dato di fatto. Ma finche’ ci sara’ la lotta alla morte x scrivere gratis pur di vedere il proprio nome stampato su carta non c’e’ alternativa a questa situazione, per lo meno in Italia.
    Non scrivete più per loro, basta. Se poi decidete di farlo per lo meno non lamentatevi.

  15. valentina dice:

    A me del tornaconto personale della tizia qui sopra frega poco. Nel giornalismo vale una semplice regola: è vero o non è vero? Ecco, quindi: è vero o non è vero che l’Unità paga (o meglio: sottopaga) come tutti gli altri? E’ vero, mettiamoci l’anima in pace, tutti, compresa Concita De Gregorio.

    @rafeli certo che sei sostituibile, del resto chi non lo è? Qui non si tratta di essere geniali, ma di vedere pagato del normale lavoro. Dovrebbe semplicemente valere una regola: lo pubblichi? e allora lo paghi. Se non lo vuoi pagare, allora pubblica qualcos’altro. Poi sei te quello che legge, eh.

  16. rafeli dice:

    @valentina:
    la regola è che se come te che scrivi ne trovo tanti – o quantomeno un buon numero – io ti pago così e così. La verità è che buona parte della paga è data dal piacere di scrivere su di un giornale di carta. Alle stesse condizioni economiche uno non farebbe il tornitore in fabbrica.

  17. guperaz dice:

    non sempre
    ma succede anche
    che incapace di rivendicare
    il mio diritto
    a essere rispettato,
    magari dal mio datore di lavoro:
    addredisco con invidia
    i più vicini
    a me.
    PERCHè INCAPACE
    A DIALOGARE CON CHI
    FA COSA DIVERSA DI ME.
    ciao da guido

  18. trentasei dice:

    Concordo con CarloM: L’ ipocrisia dell’ Unità, se fosse vero quanto scritto dalla blogger, è devastante, ma finalmente gli amici del “lavoro per tutti” affronteranno la realtà un po’ diversa dall’ utopia della legge di mercato, e se voglion rimanere competitivi, pur facendomi per primo schifo le condizioni di precariato e sottopaga descritte, queste mi sembrano le leggi di mercato ad oggi di ogni giornale, leggendo anche quanto scritto da @valentina: chi paga di più, quindi, è semplicemente meno competitivo, a meno di non avere grandi penne che valgono un maggior prezzo d’acquisto. se l’unità, coerentemente coi suoi ideali, pagasse i pezzi a 200€, sarebbe definitivamente fallita nel giro di un anno, quindi io vorrei anche sapere da parte di chi critica il sistema, come potrebbe l’ Unità essere competitiva, rimanere sul mercato, e essere fedele ai suoi ideali di paga onesta per tutti. Cioè, ok la critica, ma poi ? Come si costruisce un giornale senza precari, con pezzi pagati bene e competitivo? Si può? E’ sempre lì, come col nucleare: piace a tutti il lavoro per tutti, l’energia pulita e anche Penelope Cruz: ma è fattibile? Si può, nel mondo reale, che-ripeto-fa schifo pure a me? Grazie.

  19. valentina dice:

    @trentasei becca il punto. Ineccepibile. Solo un appunto: se non si può fare, allora non si fa, non è che si fa e poi lo si fa pagare a me.

    Poi che pagare le inchieste dei freelance 200 euro (che è comunque una miseria) significhi fallire nel giro di un anno, beh, avrei anche i miei dubbi.

  20. trentasei dice:

    @valentina io sono anche d’accordo con te, quando dici “se non si può fare non si fa”. ma in questo modo toglieresti una grossa voce “contro”, l’ Unità, lasciando parlare tutti gli altri. Ha senso perdere questa voce in nome di ideali probabilmente non perpetuabili nel mondo reale. (che ripeto, mi fa schifo).

    ps bè,sul pagamento a 200€ di un’ inchiesta forse no, ma mi pareva che si parlasse di notizie, e visto che un giornale al 95% sono notizie, da quel che leggo, se aumentassimo lo stipendio a quel 5% di inchieste pazienza, ma se moltiplicassimo per 10 le spese di ogni pezzo, permettimi, sono quasi certo che il giornale fallirebbe, visto che dovresti pagarlo, quel divario di spese con gli altri giornali,ed è completamente fuori mercato, per un quotidiano. Non so, forse mi sbaglio, ed è questo il punto della discussione che mi interessa. Capire se e come si potrebbe fare.

  21. gregor dice:

    Domanda da stupido.. Ma quanto dovrebbe costare un articolo? Giusto o sbagliato, buoni o cattivi, va bene, ok, ci siamo. ma le soluzioni? Esiste la possibilità, nel 2011, di essere valorizzati come giornalisti ed essere pagati il giusto per quello che si fa? esiste un giornale, in italia o nel mondo, che da giusta paga? approfondiamo l’argomento.. quello che penso io è che il problema è uno e uno solo! le leggi sulla regolamentazione del lavoro che mancnao. tutto parte di li.

  22. Camillo dice:

    Un’alternativa ?

  23. valentina dice:

    @trentasei sfruttare la gente per fottere gli sfruttatori non mi sembra una gran strategia :) Ok, a parte gli scherzi. e scusate la lunghezza, ma non ho tempo per fare un pezzo breve.

    Su notizie inchieste lavoro di redazione contratti eccetera, anche per @gregor (che fa una domanda fondamentale, non da stupido).

    Innanzitutto distinguiamo: ci sono i giornalisti interni, desk o inviati o corrispondenti, organizzati in gerarchie, redattori caporedattori caposervizio su su fino al direttore. Questi sono contrattualizzati, in genere con contratto giornalistico (che è un ottimo contratto, remunerato molto bene, tenuto conto degli orari e della flessibilità che questo mestiere richiede), da qualche anno con cococo (e sono i precari, in genere deskisti o redattori o corrispondenti esterni), che ha comunque un fisso più o meno garantito e può godere di vantaggi aziendali (postazione pc, telefono, buoni pasto, eventuali rimborsi viaggi&taxi ecc). Poi ci sono i freelance, i collaboratori esterni, che possono anche lavorare per più testate e non mettono piede in redazione.

    I collaboratori spesso sono specializzati. Seguono determinati argomenti, l’economia piuttosto che l’hitech o le politiche sociali, e propongono direttamente i pezzi ai capiservizio o altri capi. Generalmente sono inchieste, o comunque notizie originali, che non trovi nell’Ansa per intenderci. Talvolta è il giornale che chiama direttamente il freelance, conoscendone le competenze, per chiedergli di sviluppare una notizia, o anche solo di seguire una conferenza stampa o ricucinare delle agenzie con una qualche cognizione di causa, se non trova in redazione quello che gli serve. Nei diversi casi, è giusto che siano previsti diversi compensi.

    I contratti prevedono mansioni e anzianità diverse, con diverse retribuzioni. Che sono tutti sanciti a priori, appunto per contratto. Con i freelance si entra nel libero mercato. Delle vacche. Un tempo l’Ordine dei Giornalisti aveva un tariffario: quanto va pagato, a un professionista, una notizia, un articolo, un servizio ecc (sono tutte denominazioni che indicano modalità di lavoro e lunghezza del pezzo, sono termini tecnici che ogni giornalista conosce). Era l’unico tariffario di un Ordine professionale che non avesse alcun valore giuridico, praticamente carta straccia, non l’ha mai rispettato nessuno. Poi è arrivato Bersani e addio per sempre (all’OdG è stato anche imposto di rimuoverlo dal suo sito). La legge l’ha sempre fatta l’editore (oddio, editore), a lui il manico al freelance la lama.

    Ovviamente uno si aspetta, a questo punto, che un buon giornale cerchi di avere i migliori freelance, quelli che arrivano col sorcio in bocca, scrivono bene e hanno buone fonti. Purtroppo non è così (alcune rockstar del giornalismo escluse). Fra i giornali che pagano meglio, ci sono i supplementi femminili. Un’inchiesta va a 250 euro lordi. Togli oltre il 30 per cento di tasse (inpgi e ra), telefono e altre spese, e vedi che ti resta, per un lavoro che ti ha portato via almeno (almeno) due giorni. E gli altri pagano peggio, molto peggio. Visto che non conosco un giornalista sulla faccia della terra capace di sfornare dieci inchieste al mese, mi sembra normale che il resto del reddito te lo vai a fare in pizzeria. E poi, basta guardare ai dati Inpgi (gestione separata) per capire: il reddito medio denunciato da un cococo è di 5.000 euro lordi all’anno, di 9.000 quello dei giornalisti freelance a partita Iva. La forbice coi contrattualizzati è enorme, e sempre più ampia.

    Fare informazione costa un sacco di soldi. Nelle redazioni lo sanno bene, e lo sanno bene anche i freelance. Solo che sempre più le redazioni tireranno a esternalizzare. Non tutto, ma molto, la tendenza è già quella. E così, con queste tariffe, non va, non può andare. Come si fa? Si punta alla qualità, ricordando che quelle per il lavoro dei giornalisti non sono spese, ma investimenti, e che il tuo primo referente è il lettore, non l’azionista o il politico di riferimento (vanno bene anche gli amministratori locali, basta guardare le cifre di quel finanziamento occulto che è la pubblicità istituzionale). Non si taglia dove puoi tagliare solo perché il sindacato non c’è. Si decide che la competitività va misurata sulle competenze, sul merito, non solo sul denaro, al ribasso. Si danno finanziamenti pubblici solo a chi fornisce equità e trasparenza sulle retribuzioni di tutti, freelance compresi. Eccetera.

  24. massimo mantellini dice:

    grazie Valentina

  25. filippo rotto dice:

    …e poi voglio vedere se c’è chi si lamenta ancora che tommaso debenedetti si inventava di sana pianta interviste (Philip Roth, per dire) pagate 30 euro LORDE dai giornali.

  26. Luigi dice:

    E se la spiegazione fosse piu’ semplicemente questa
    http://peppe-liberti.blogspot.com/2011/06/le-solite-vuote-parole.html

  27. sate01 dice:

    @grazie del post, molto lucido.

    Piccola nota personale… la forbice di cui parli tra i contrattualizzati e i cococo/freelance non è diversa da quella che ci sono in tutti i settori tra vecchi contratti a tempo indeterminato (pieni di tutele) e i nuovi contratti dove tutele e garanzie sociali non ce ne sono e non sono provviste.

    Per esempio un laureato che ricopre un ruolo chiave nella direzione di una piccola azienda è facile che percepisca uno stipendio sensibilmente più basso (e senza garanzie) rispetto all’anziano magazziniere della medesima azienda.

  28. sate01 dice:

    scusate, ovviamente il destinatario del ringraziamento era Valentina.

  29. Gabriele dice:

    Domanda: pensate che il “ricco” Fatto Quotidiano tratti diversamente i suoi “freelance”?

    La “tariffa” è 30 sul web per una notizia in primo piano, 50-60 euro sul cartaceo. Pagamento quando l’amministrazione si ricorda di te (dopo una decina di solleciti di diverso tipo).

    Chiaramente queste tariffe non valgono per le Beatrici Borromee (anche quelle al maschile).

    Tranne rarissime eccezioni (quelli “bravi” costretti ad essere per forza “fortunati” nel “conoscere qualcuno al momento giusto”) non c’è alcuna possibilità di collaborare con il quotidiano che “distribuisce utili record ai suoi giornalisti” riuscendo a pagarsi l’affitto e un panino al salame al giorno. Quello che deve essere per ragioni di sopravvivenza obbligatoriamente “quotidiano”.

  30. valentina dice:

    E’ un mio vecchio sogno. Fare un sito che riporta i tariffari, ricostruiti attraverso fatture eccetera (fornite dagli stessi freelance, pubblicamente in forma anonima, ma fornendo le pezze), di tutte le testate italiane. Ma proprio le tabelline, tipologia di pezzo, lunghezza, retribuzione, spese coperte si/no, tempi di pagamento, e basta.

    O forse a fianco metterei i costi fissi ed eventuali del freelance, che vanno dalla scrivania all’avvocato che ti devi pagare se t’arriva una causa (anche pretestuosa, tipo la mia!), dato che senza tutele legali in questo paese non c’è mica solo la gabanelli.

  31. giorgio fontana dice:

    l’idea di valentina del tariffario reale pubblico mi sembra eccellente. ci pensavo anch’io tempo addietro.

    grazie anche per i commenti illuminanti.

    gf

  32. ciro pellegrino dice:

    sai cosa la frega? Quel dire “l’ombra di un free press” che indica sostanzialmente il disinteresse per la categoria da parte della collega.
    Non lo dico – non solo – perché ho lavorato in un free press che ha fatto una fine orrenda ma che era un buon, un ottimo giornale, ma anche perché sono abituato, quando si tratta di lavoro a citare fatti e circostanze. E allora, sentiamo i fatti e le circostanze, attendo fiducioso.