Molti anni fa mi scrisse una lunga mail P. che era allora un giovane giornalista con grandi aspirazioni che scriveva qua e là in rete di tecnologia. Chiedeva consigli a me, che non ho mai avuto grandi aspirazioni e che non sono mai stato giornalista, su come far conoscere il proprio lavoro e su come raggiungere il grande pubblico (ed anche su come vivere di quel lavoro). Non ricordo bene cosa gli risposi, certamente gli consigliai di aprire un blog e di scrivere in rete piuttosto che su carta. Immagino che le mie risposte non lo abbiano troppo convinto: da allora, per suo merito ed ostinazione, la sua firma è diventata sempre più presente sui quotidiani di carta e sui settimanali di carta. Immagino anche sui mensili di carta, ma non leggendoli non ne ho idea. Oggi P. immagino viva del proprio lavoro di cesellatore di parole e io sono sinceramente felice per lui. I miei consigli erano da alcuni punti di vista (quello del pagamento delle bollette certamente) molto sbagliati. Da un altro punto di vista li riformulerei uguali uguali anche oggi, dopo tanti anni. Meglio scrivere sul web che sulla carta, meglio scrivere per i propri lettori che per il proprio editore. Esiste però un grosso tuttavia. Il percorso verso una personale visibilità, che è la scusa di Arianna Huffington e di molti altri per drenare contenuti gratis in rete, esiste, ma transita spesso al di fuori della leva economica dei furboni del web. Non è possibile oggi in Italia sostenersi economicamente dentro questo percorso di crescita personale e non ha senso essere sfruttati dall’industria editoriale, nuova o vecchia che sia, per 5 euro a pezzo. Non dico che partire da lì per andare altrove sia impossibile ma è scorretto anche solo proporlo ai tanti giovani dalla belle speranze che affollano scuole di giornalismo, siti web e redazioni. Ed è comunque molto improbabile. Tanto improbabile quanto essere notati in rete per le cose che si scrive ed essere invitati a continuare a fare le stesse cose dietro adeguata onesta retribuzione.

17 commenti a “Parole di carta e web”

  1. Guastafeste dice:

    Quante belle parole. Peccato che siano completamente staccate dalla realtà in un paese in cui:

    – I giornali di carta prendono milioni e milioni di prebende dallo stato e con quelle ci pagano stipendi sontuosi che i sindacati dei giornalisti provvedono a difendere a denti stretti
    – Ci sono più “giornalisti” usciti dalle disastrose scuole di giornalismo e/o facoltà di scienze della comunicazione che margherite nei campi a primavera
    – Si crede ancora che “fare il giornalista” significhi “scrivere su word un tot di parole” da passare a chi le corregge le impagina e le pubblica
    – La pubblicità sul Web è una misera percentuale degli investimenti pubblicitari su testate giornalistiche
    – Se fai qualcosa sul web pagando i giornalisti come da contratto nazionale è solo perché dietro hai un investimento milionario garantito grazie ai tuoi contatti di persona nota e famosa (il che non è sbagliato a priori, ma è un’eccezione bella grossa).
    – Si continua a pensare che il giornalista vero e arrivato è quello che si piazza in redazione con un contratto a tempo indeterminato e che questo, per qualche strana ragione, gli dia un’autorità che non è data ad altri, quando di solito l’incompetenza, soprattutto in ambito tecnologico, regna sovrana.

  2. c. dice:

    Una discreta incompetenza regna anche in questo messaggio del quale alcuni punti mi restano oscuri:
    – sontuosi stipendi non esistono più da molto molto tempo e la realtà ora per i neoassunti è di stipendi impiegatizi per un monte ore di lavoro di 12 ore al giorno, 6 giorni alla settimana, reperibili sempre e comunque con orari impossibili. E anche lavorando così non si arriva a mille euro al mese (almeno per il primo anno) con i ‘sontuosi’ contratti dell’ordine. E’ gente che fa questo lavoro per passione e lentamente sta avvenendo un ricambio generazionale che a mio avviso si sta cominciando a vedere soprattutto fra le pieghe dei giornali o in quelli che hanno scelto una direzione non in età da pensionamento (alcuni giornali locali, poi la stampa?). Questo è un aspetto che a molti sfugge. mi immagino ti riferisca comunque ai giovani, visto che i sindacati non possono difendere la gente con i ‘vecchi’ contratti che in quanto ‘vecchi’ non si possono modificare.
    – conosco sia ottimi che pessimi giornalisti usciti da scuole di giornalismo e scienze di comunicazione. come conosco incompetenti usciti da altre facoltà. Questa generalizzazione è da incompetente.
    -l’incompetenza tecnologica comunque c’è. Ma vedo regna sovrana in tanti campi, non solo nella tecnologia. questo è un problema generale dell’Italia, a mio avviso. Che ne dici della competenza nella scienza? E negli esteri?

  3. Marco G. dice:

    Massimo, toccare l’argomento “giovani e giornalismo” è molto pericoloso. personalmente sono uno di quelli che sono riusciti ad evolversi, ma con enormi rischi e campiando completamente campo…in pratica abbandonando il giornalismo e la passione con cui facevo quel lavoro. Anche se definirlo tale, senza retribuzione, è una bestialità.
    So cosa significa studente di giornalismo, fuori Milano per giunta, nella lontana provincia, e provare a sopravvivere di articoli. So cosa significa, per questo non mi dilungo più, e la tanta rabbia che ho dentro di me la sfogo pensando che ora non faccio quello che voglio, però posso comprarmi casa.

  4. bonilli dice:

    Quando ho iniziato a fare il giornalista al manifesto ero pagato 120.000 lire al mese, autentico autosfruttamento con finalità politiche. Quando ho lasciato il manifesto avevo 4 anni di contributi pur avendo lavorato dieci anni e ad alto livello.
    Allora il mestiere di giornalista era in testa ai mestieri sognati dai giovani, oggi fare il giornalista ha ancora alcuni privilegi ma si avvicina sempre più al mestiere dei call center perché se si tolgono i grandi giornali è ormai un mestiere in miniera.
    Poi è venuta la Rete ma in Italia conosco pochi casi di gente che campa facendo il mestiere del giornalista della Rete, Il Post, Lettera 43, qualcosa nella galassia Banzai e poco altro.
    Adesso i blog provano a diventare più grossi e a creare network di blog, vedi Dissapore, ma non ci si campa.
    L’Italia, per altro, ha l’Ordine dei Giornalista, struttura anacronistica che permette ai molti mantenuti della politica di avere un tesserino e dirsi giornalisti.
    In Usa se scrivi su un giornale sei giornalista, se insegni all’università smetti di essere giornalista.
    Forse bisognerebbe partire da qui, chi è veramente giornalista e in cosa consiste il mestiere del giornalista.

  5. c. dice:

    bonilli: l’ordine può essere definito inutile, ma non è una barriera all’ingresso. chiunque può scrivere un giornale o anche essere assunto senza essere iscritto all’ordine (e fare l’esame solo in un secondo momento).

    marco g: ormai con i tagli agli organici è un lavoro in miniera – anche se retribuito in maniera diversa – anche per chi è neoassunto in un grande giornale.

  6. Alex dice:

    Non esistono i giornalisti, non sono mai esistiti. Ora ci si accorge che non esisteranno nemmen piu`.

    Ma pensa un po’.

  7. Alessandro dice:

    C’è una folla sempre più grande che vuole entrare in una stanza sempre più piccola. Quelli che stanno dentro sono sempre più accaldati e impauriti – e ovviamente non hanno alcuna intenzione di aprire le porte. Quelli che stanno fuori vengono presi per i fondelli dai passatori che promettono loro di portarli dentro – e mentono quasi sempre.

  8. massimo mantellini dice:

    @alessandro, grazie ;)

  9. Giornalisti, Ordine ed editori (3) dice:

    […] Pasteris ! Se vuoi essere aggiornato sulle ultime notizie di questo blog Iscriviti al suo feed RSS Via Massimo Mantellini Meglio scrivere sul web che sulla carta, meglio scrivere per i propri lettori che per il proprio […]

  10. Francesco dice:

    Ho letto il post, ma rimango con un grande punto interrogativo. Il però allo scrivere sul web è il nodo principale della condizione dei giovani giornalisti italiani. Se vogliamo proseguire con il nostro sogno siamo costretti a due alternative: anni di abusivismo gratis o pagarci una scuola di giornalismo. E non c’entra neanche il fatto che siamo in tanti a cercare di fare questo mestiere. Ogni anno, le scuole di giornalismo italiano (le prime 5) sforneranno un centinaio di persone. Possibile che il mercato del lavoro abbia dei problemi ad assorbire queste cento persone ad un salario decente?

  11. Giornalisti, Ordine ed editori (3) dice:

    […] […]

  12. Ennio dice:

    È un destino comune a tutti i knowledge workers, essere presi in giro fin da piccoli. Se non è una fede irrazionale la nostra, che altro?

  13. sate01 dice:

    sono l’unico che è curioso di sapre chi è P.?

  14. valentina dice:

    Piccola storia: una volta si diventava giornalisti, ovvero si accedeva all’esame di stato, solo dopo il praticantato, ovvero dopo un paio d’anni di lavoro (con appositi contratto e stipendio) in un giornale. Poi l’ordine dei giornalisti ha deciso che non poteva essere potere degli editori decidere chi dovesse fare il giornalista e chi no, ma del medesimo ordine, sennò che esisteva a fare, e ha creato le scuole. Nel frattempo, anche gli editori si sono adeguati ai tempi, e invece di fare contratti hanno allevato un esercito di abusivi. Questi ultimi, giustamente incazzati perché privi di riconoscimenti anche se lavoravano come e più dei regolarizzati, hanno quindi ottenuto dall’ordine una prassi detta praticantato d’ufficio: se dimostri di aver lavorato il paio d’anni con un reddito accettabile, puoi fare l’esame. Siamo arrivati così alle mostruose cifre di oggi (e i praticanti di redazione o d’ufficio sono ancora molti di più dei praticanti di scuola). Intanto il sindacato… perché, abbiamo un sindacato? ma dai.

  15. c. dice:

    valentina: tutto vero. ma gli abusivi esistevano anche 20 anni fa.

  16. emanuele dice:

    @ Alessandro
    scusa, francamente non ho capito perché quelli ‘che stanno dentro’ (intendi i giornalisti professionisti?) dovrebbero aver paura di ‘aprire le porte’.
    Se ‘aprire le porte’ è abolire l’Ordine dei giornalisti (vecchia battaglia di Grillo, un genio…) è bene spiegare che questo non cambierebbe di una virgola l’attuale situazione. Infatti ci sono tantissimi professionisti disoccupati.
    Se ‘aprire le porte’ vuol dire favorire l’ingresso di giovani giornalisti (a parte che non sono i dipendenti ad assumere…) ti comunico che da anni si firmano contratti integrativi aziendali (almeno dove lavoro io) che in cambio di nuove mansioni (quasi sempre relative alla multimedialità) non prevedono soldi ma assunzioni di nuovi giornalisti. Poi se intendevi altro sono pronto a discuterne, ciao

  17. u. dice:

    Questa discussione è miope. Bisognerebbe capire come circoleranno le informazioni nei prossimi anni. E non saranno né i giornali cartacei (a cui rimarrà una nicchia che si ridurrà sempre più, fino a una stabilizzazione), né i blog dove tizio scrive cosa pensa di caio, a farle circolare. Ci saranno grandi player che veicoleranno in modo verticale i contenuti, e reti orizzontali cangianti a seconda dell’utente che si nutre da esse. Il futuro secondo me appartiene alla seconda categoria. Saremo tutti art director e selezionatori di contenuti di magazines dedicati, esemplari unici. Il confine tra produttore e fruitore di contenuti sarà sempre meno facilmente distinguibile.