Sull’ambiente informativo e su cosa è diventato. Tento un breve riassunto di cose dette molte volte. Non prima di aver anticipato qual è – secondo me – il vizio originario di questo post di Luca Sofri al riguardo. Mi pare sia quello della celebre frase di Maslow sul martello. La metafora del punto di osservazione, quella secondo la quale, se tu sei un martello, tutto primo o poi comincerà a sembrarti un chiodo.

Poi ci arrivo, dicendolo meglio, spero.

Il riassunto sull’architettura dell’ambiente informativo dopo Internet potrebbe essere questo (nulla di nuovo, capiamoci, tutte cose che diceva Jay Rosen già quindici anni fa):

lo spazio informativo, che prima era un’isoletta abitata solo da alcuni soggetti professionali è diventato un continente gigantesco. Al suo interno rimane ovviamente la stampa (e i media in generale, quelle cose – lo dico senza alcun giudizio – che scambiano informazioni per denaro) ma vi hanno trovato comodo spazio anche molti altri soggetti: le aziende, i partiti politici, le organizzazioni sindacali, l’associazionismo, gli amatori che vorrebbe scimmiottare i giornalisti, i giornalisti orfani, i freelance e infine, più o meno tragicamente da quando sono nati i social network, anche una quota non trascurabile di semplici cittadini.

A questo punto ci servirà una definizione. Che cos’è l’ambiente informativo allora?
È quel luogo in cui il lettore trova le informazioni che lo interessano.

Ci piace? Non ci piace? È meglio di prima? È peggio? Due canali Rai erano sufficienti? Per oggi facciamo che non ha importanza, non è di questo che vorrei parlare e nemmeno dei limiti del giornalismo e dei suoi modelli economici dentro un ambiente che si è così tanto complicato, altro tema importante che oggi vorrei lasciare il più possibile ai margini (non sarà del tutto possibile, purtroppo).

L’ argomento che oggi mi interessa davvero, che è poi il centro del post di Luca, sono i lettori, i pescatori di informazioni dentro l’enorme cesto descritto poco fa. I lettori (perfino il nome suona vecchio, non leggono solo, fanno anche altre cose) in fondo sono una variabile importante, probabilmente la più importante; sono gli attori inevitabili e un po’ negletti della discussione pubblica. Lo sono perché hanno rapidamente scoperto che dentro questi nuovi (nuovi, vabbè hanno vent’anni) ambienti si poteva anche parlare e così loro – guarda caso – da allora parlano. Dentro gli ambienti dei parlatori professionali già la semplice constatazione di questo nuovo piccolo potere altrui, gli imbecilli col microfono in mano come diceva qualcuno, scatena fieri rimpianti per il tempo passato.

Di nuovo: ci piace? non ci piace? le parole della gente che leggiamo sui social ci fanno disperare sulle sorti del mondo? Di nuovo: ora non ha importanza.

Quello che ha importanza, e qui arriviamo al martello e ai suoi chiodi, è che le persone che sui social maneggiano le notizie, le leggono, le condividono, le commentano, le adulterano o le equivocano in ottima o pessima fede, non hanno relazione diretta con l’informazione. La influenzano, ovviamente, ma lo fanno in maniera tangenziale, molto meno rilevante di quanto si creda: anzi loro, in genere, non se ne occupano proprio. Sono lì per altri motivi. Costoro, nella grande maggioranza dei casi, non condividono la notizia della morte di David Bowie perché ci tengono che altri ne siano informati: la condividono perché quello è il pretesto sentimentale del giorno per dialogare con i loro simili.

Condividono anche cose false? Ovviamente, ma a loro non interessa granché. E guardate che la loro ingenuità è infinitamente migliore dell’atteggiamento del politico (per fare un esempio attuale) che condivide notizie false sapendo che lo sono e anzi spesso proprio perché lo sono. E poi le lascia intenzionalmente lì, in un gesto eminentemente politico, sulla sua pagina FB o su Twitter, per sempre.

I lettori, in genere, nel loro disinteresse per simili meccanismi, sono molto meglio di altri gruppi, ed è anche per questo che immaginare cautele informative o suggerire a chi commenta i fatti del giorno di controllare le fonti è un equivoco simile a quello del martello che osserva un fungo e pensa che quello sia uno strano tipo di chiodo.
A parte me e a pochi altri spostati innamorati dell’informazione al lettore non interesserà troppo di aver diffuso una balla ai propri quattro amici. Anzi spesso quando gentilmente glielo fai notare ti risponderanno, beh non ha importanza questa sarà anche falsa ma molto altre simili sono vere.

E non occupiamoci nemmeno del paradosso di quando le notizie false, come accade sempre più spesso, vengono contemporaneamente diffuse da tutte le fonti professionali “autorevoli” disponibili nella tua lingua madre, come è accaduto qualche sera fa con la notizia non vera (poi purtroppo confermata qualche ora dopo) della morte di Fausto Gresini. Di chi ci dovremmo fidare per scrivere un tweet di cordoglio per una notizia che ci ha colpito? Di Google che nelle prime 10 pagine dopo dieci minuti mostra solo link di Ansa, Corriere, Repubblica, Gazzetta ecc. sulla morte del pilota di moto? Dovremmo aspettare? Il punto non è, come faciloneggia Luca, dire “non faccio mica il vigile urbano”, il punto è capire che il fungo non è un chiodo e che le connessioni sui social in prima analisi non sono giornalismo e non sono informazione. Sono persone che si incontrano e parlano fra di loro dei fatti del giorno. Solo il martello, nella perfetta buona fede del martello, può avere idee differenti.

Poi certo, ritornando ai lettori, molte cose sagge si potrebbero fare, e le potremmo fare tutti, ed è giusto ripetercelo e poi sbagliare e poi ripetercelo ancora. Così come è vero che chi ha molto seguito ha maggiori responsabilità. Per me per esempio sarebbe una buona idea twittare meno, aspettare di essere sicuro che una notizia sia meglio confermata, leggerla almeno fino a metà paragrafo prima di correre a indignarsi su Facebook, ma questo non cambierà di molto i termini della faccenda. Non sono io lettore, le mie ossessioni o la mia superficialità, il problema centrale della corruzione diffusa dell’ambiente informativo nei luoghi digitali.

Se il giornalismo non avesse sceso la china pericolosissima di provare ad assomigliare ai propri lettori, inseguendoli ovunque, parlando con le medesime parole, utilizzando i medesimi trucchi, ora forse le cose sarebbero più semplici. Perché è certamente vero che il popolo del web, o l’ira di Internet o l’indignazione dei social hanno ormai un ruolo consolidato nell’ambiente informativo ma questo discende anche dal fatto che il giornalismo non ha saputo mantenere la propria necessaria alterità rispetto al chiacchiericcio della folla. Una quota di confusione non necessaria era e sarebbe evitabile, e lo si potrebbe fare anche da domani. Basterebbe che l’informazione si occupasse di sé stessa senza inseguire i lettori in piazza urlando più di loro. I lettori urlano? Lasciateli urlare.

Infine sulla responsabilità. Bella forza, certo la responsabilità è importante e in rete è quasi tutto, e sebbene ancora una volta il lettore dovrebbe essere l’ultimo dei soggetti in campo a cui domandare responsabilità, perché molti altri ne avrebbero da schierare in dosi ben più massicce e invece fischiettano allegramente, la mia idea da molti anni è che ognuno dovrebbe comunque averne, dovrebbe – come ho scritto spesso – tenere in ordine il proprio giardino. Così se io scopro che il tweet precipitosamente pubblicato riguarda una notizia rivelatasi falsa io quel tweet lo cancello e spiego perché l’ho fatto o se mi capita di rendermi conto di aver scritto una cazzata mi scuso, me ne vergogno e la cancello. Tengo insomma il più possibile in ordine il mio piccolo giardinetto, non lo riempio di cartacce e cicche di sigarette come un Salvini qualunque, e sono convinto (non da ieri) che se tutti facessero lo stesso (compreso Salvini) Internet sarebbe un luogo migliore. E quello sarà il mio principale contributo. Ma di nuovo, il mio giardino in rete, il mio blog, il mio profilo Twitter, le piccole parti del mio io digitale sul quale mantengo un controllo, non sono giornalismo, non sono informazione, non sempre almeno, anzi quasi mai. Sono molte cose differenti e nella maggioranza dei casi sono semplici relazioni fra me e le persone che hanno idee simili o opposte alle mie e che per qualche loro ragione decidono di perderci del tempo attorno.




Lo strabismo di Luca assomiglia molto, in una sua versione progressiva e molto meno imbarazzante, a quello degli editori quando pensano (io per la verità spero che fingano è un’idea talmente stupida) che le piattaforme social siano la causa dei loro dissesti finanziari perché cannibalizzano i loro contenuti, e che questo si risolva tassando le parole sui social dei “lettori” che commentano le “loro” notizie. Ai lettori (e perfino a FB) non interessa granché delle notizie che commentano con gli amici, gli interessano gli amici. Sono lì per loro, per vedere cosa fanno le altre persone, se sono ingrassate, se sono invecchiate, se hanno cambiato moglie o marito o fidanzata, per sapere cosa stanno facendo e con chi. E poi certo, capiterà di ricordare di quando da giovani si cantava assieme Life on Mars? visto che oggi come scrive il giornale tal dei tali il Duca Bianco ci ha lasciato. E a quel punto arriveranno questi che dicono: ehi ma te l’ho detto io che Bowie è morto, ora chiedo al padrone della baracca di pagare 5 centesimi a nome tuo. E tu che eri lì che stavi provando a ricordare con i tuoi vecchi amici gli accordi di quella canzone, li guardi e non capisci chi siano e cosa vogliano da te.


3 commenti a “Lettori e informazione (una risposta lunga)”

  1. Edoardo Carminati dice:

    Analisi interessante.
    So che hai cercato di spiegarlo in maniera ampia, ma non mi hai convinto fino in fondo.
    La responsabilità principale di una notizia falsa è sicuramente chi la pubblica per primo, il media (generico) che l’ha scritta.
    Ma chi la rimette in circolo, la ripubblica ha la sua dose di colpa.
    E’ lui attivamente che la ributta nella rete, che la rilancia, senza controllare se è una cosa vera oppure no. E’ pilatesco dire “non è colpa mia”.
    Sarà poi una mia tara ma quando nei (per fortuna pochi) gruppi whatsup qualcuno pubblica una castroneria cerco di ripubblicare l’indagine antibufala.
    Sono quindi d’accordo sulla tua chiosa finale “tenere pulito il proprio giardino digitale” è cosa buona e giusta.

  2. Guido Gonzato dice:

    E’ sicuramente un mio limite, ma quello che ha scritto Luca Sofri l’ho capito perfettamente (e concordo al 100% con lui), mentre non mi è chiaro quale sarebbe il punto essenziale di questo lungo commento; se non l’ennesima difesa generica dei social, sempre e comunque. Mio limite, eh.

  3. emilius dice:

    Dove Mante dice ” il punto è capire che il fungo non è un chiodo …” a me sembra chiaro.
    E, personalmente, condivisibile.