Io dei festival in Italia penso queste cose.

La prima cosa che penso è che non significhino granché in termini riassuntivi. Qualche migliaio di persone si ritrova in una città, spesso in estate, quasi sempre senza pagare un biglietto, ad assistere a presentazioni di libri, conferenze di esperti sui temi più vari, sfilate di volti più o meno noti della TV e della radio che offrono il proprio contributo al festival della letteratura, della scienza, della poesia, dei media, dell’economia, del cinema, e noi dal successo di simili iniziative vorremo trarre un’indicazione sul livello culturale degli italiani? La mia risposta è no, i festival culturali non significano niente in termini riassuntivi, non sono una boccata di ossigeno per il Paese depresso o una chiara indicazione della fame di cultura degli italiani. Non sono il segno di niente tranne del fatto che spesso funzionano.

La seconda cosa che penso è che – certo – attorno ai libri, all’economia, al giornalismo, alla poesia si addensa spesso una nuvola di interesse e vicinanza sentimentale che significa comunque qualcosa. L’aspetto maggiormente rilevante è che l’autore vede da vicino il proprio lettore, l’altro aspetto rilevante (ma meno) è che il lettore osserva da minor distanza il proprio autore. Le due attività non sono sovrapponibili. Delle due la prima mi pare quella maggiormente a rischio per gli equilibri psichici generali. Non è che gli autori di solito brillino per modestia. Si deprimono terribilmente quando alla presentazione del loro ultimo capolavoro sono venuti in 7, si eccitano altrettanto febbrilmente quando, microfonati e dal palco, osservano una distesa di folla casuale che pende (pensano loro) dalle loro labbra.

Un’altra cosa che penso è che i festival tranne rarissime eccezioni (direi due o tre, per i casi che conosco da vicino, per esempio Perugia per il giornalismo o Mantova per la Letteratura e forse anche la festa di Internazionale a Ferrara) siano un presidio culturale adatto ai tempi. Lo dico – sia chiaro – in senso flebilmente negativo: un luogo nel quale esercitare contemporaneamente la propria indole di non lettori e la propria vaga propensione ad esserlo. Una specie di rapido risciacquo dei panni in Arno. Di nuovo: non trovo nulla di riassuntivo sull’indole degli italiani dentro la loro convinta partecipazione ai festival in giro per il Paese: se proprio devo immaginare cosa significhi sfidare la canicola per andare ad ascoltare un prestigioso letterato straniero (o più probabilmente un localissimo presenzialista televisivo italico) direi che spesso questo accade per affermare la propria partecipazione all’inner circle di quanti pensano che letteratura e poesia, scienza e giornalismo, economia e sociologia siano temi fondanti della società in cui vivono e meritino come tali di essere affrontati con un tono meno vago di quello al quale siamo abituati di solito. Accanto a questo andrà sommato il piacere di riconoscere altre persone come noi, in fila per entrare nell’arena o nel teatro in cui si svolgerà l’evento.

Trovo che in questa cerimonia di identificazione e di rappresentazione di sé risieda il successo dei festival letterari in un paese che non legge libri o dei festival sul giornalismo in un Paese che non sfoglia i giornali.
È in molti casi una sorta di ammirevole dichiarazione di intenti fine a sé stessa, puro svago orientato bene, che genera comunque una piccola solida e apprezzabile economia locale. Per il resto fra le dichiarazioni di intenti e la realtà dei fatti rimane uno spazio molto ampio. Talmente ampio che – no – i festival culturali in Italia non sono il termometro di nessun desiderio particolarmente profondo. Semmai sono la spia lampeggiante di una voglia di cultura che non tutti intendono abbandonare completamente. Una piccola forma di resistenza ai terrifichevoli tempi dell’ancella dentro i quali siamo immersi.

3 commenti a “Quello che penso dei festival in Italia”

  1. Gabriel dice:

    I festival culturali sono una masturbazione intellettuale?

  2. Pierluigi Rossi dice:

    Non mi sembra questo il punto, a me viene da chiedermi: cos’è “riassuntivo”?, e allora mi rispondo: le elezioni, l’ISTAT, i giornali…

  3. Roberto dice:

    https://www.mantellini.it/2018/07/11/i-tempi-dellancella/