Oggi Innocenzo Genna ha scritto sul Post due cose interessanti sullo scenario che si presenterà se domani il parlamento europeo dovesse ribaltare la decisione di luglio sul copyright. La prima è che probabilmente Google chiuderà i suoi aggregatori di notizie, creando una riduzione nel traffico verso i siti degli editori che in questi mesi hanno dichiarato guerra alle piattaforme tecnologiche; la seconda è che – secondo Genna –  a rimetterci saranno soprattutto i piccoli siti di news che in maggior misura dipendono dai link di Google.

Sulla prima, sull’autolesionismo di un sistema in precario equilibrio economico che pretende denari non dovuti facendo leva sulle proprie usuali relazioni politiche non c’è molto da dire. I siti web dei grandi editori, specie in Italia scontano da sempre, per proprie scelte, una grande dipendenza da Google e dalle altre piattaforme sociali. Quando questa relazione, che loro sembrano detestare così intensamente, si ridurrà, saranno (ulteriori) guai. Questo dipende dal modello economico basato sulla pubblicità che è, al momento, l’unico possibile: nessuno del resto sarebbe disposto a pagare contenuti come quelli che attualmente vengono distribuiti gratis da questi signori: news tutte uguali, comunicati stampa pagati da qualcuno, tonnellate di contenuti rubati in rete e sui social e ripubblicati con il proprio marchio. Solo un pazzo potrebbe immaginare di spendere denaro per roba del genere. 

Sulla seconda faccenda ho maggiori dubbi. È vero che la chiusura di Google News nuocerà a tutti, grandi e piccoli, così come è vero che il rapporto di dipendenza dell’industria editoriale da Google e Facebook è certamente maligno e su rapporti di forza evidentemente sbilanciati. E io personalmente non ho alcuna fiducia sulla futura possibilità di Google o Facebook di “comportarsi bene” nei confronti dei business che ruotano attorno ai loro interessi. Ma è anche vero che quella che si sta squadernando di fronte ai nostri occhi è una guerra di potere fra vecchi e nuovi oligarchi. Nessuno è buono da quelle parti. E soprattutto autori e lettori non c’entrano granché. Allo stato i vecchi oligarchi hanno le relazioni, i nuovi i soldi. Magari non a questo giro ma prima o dopo vinceranno i secondi.

Ed è su questo scontro che i siti di news nati nell’epoca digitale potrebbero iniziare a giocare un nuovo ruolo.

Tenendo anche conto di un altro fatto assai importante e fino ad oggi abbastanza sottaciuto. Una buona  parte di traffico che arriva quotidianamente ai siti di news non viene dagli aggregatori che dopodomani Google chiuderà, o dalle anteprime che dopodomani Facebook disattiverà,  ma dal motore di ricerca di Mountain View che è, da tempo e per scelta strategica, moltissimo sbilanciato verso il tempo reale e le news in particolare.

Cosa succederà domani se Google decidesse di rimodulare i propri criteri di ricerca dando meno enfasi alle news (o peggio penalizzando alcuni produttori di news rispetto ad altri)? Cosa succederebbe se scegliesse di creare nuove solide relazioni verso nuovi, fragili ed indifesi attori dell’editoria digitale nata in rete e abbandonasse al proprio destino i vecchi lobbisti che in questi giorni hanno riempito i loro fogli di bugie sul provvedimento in discussione domani?


7 commenti a “Andare a sbattere contro Google”

  1. Stefano dice:

    Da similarweb apprendo che un terzo dei lettori di corriere arriva dalla search organica.

    A occhio direi che è Solferino a dover pagare Mountain View e non viceversa…

  2. ErPanfi dice:

    Malignamente penso “beh, ci sarà più spazio per il nuovo giornale di Mentana”: se verrà recapitato direttamente nella casella email degli abbonati, dopotutto, non avrà bisogno né di aggregatori né nulla.

  3. Bic Indolor dice:

    Evidentemente a google e soci sta bene così.
    Se no, la falciavano in tempo zero.
    E comunque ora è passata.
    L’iter non è concluso, il sì (o il no) definitivo è fra qualche mese.
    Magari la strategia di gugo è quella di aspettare il gran finale per dare l’aggiustata a suo favore di tutta la baracca. Oppure, se proprio non si può, di aspettare l’ultimo voto per ottenere il no definitivo che non consentirebbe ai barbogi che ora esultano su tutti i quotidiani (e si beccano sonore pernacchie nei commenti) di riorganizzarsi e riprovarci con la compiacenza di questa legislatura.

  4. Lorenzo Maina dice:

    Non faccio per vantarmi, ma non ho capito un tubo!

  5. Lorenzo Maina dice:

    Non faccio per vantarmi, ma non ho capito un tubo!
    Puoi spiegarti in modo più chiaro?

  6. Erasmo dice:

    Ti spiego io, Lorenzo. Fino a un paio di secoli fa, gli autori per vivere dovevano vendersi a qualche potente. Poi, faticosamente, fu introdotto il diritto d’autore. A questo, come una zecca, si attaccò un ente di dubbia utilità chiamato SIAE. Recentemente, i presidenti della SIAE sono vecchietti di prestigio più o meno indiscusso. L’ultimo, appena eletto, è un paroliere di canzonette di 82 anni suonati.
    Tutto procedeva per il meglio, tanto che gli autori avevano imparato a mettere insieme i due sistemi: prendersi i diritti d’autore, ma vendersi contemporaneamente ai potenti. A rompere le uova nel paniere è arrivata internet, e poi i signori di internet. Pianto e stridor di denti: mentre vendersi ai potenti permaneva possibile, non era più possibile, in molti casi, beccare i diritti d’autore. In più, emergevano altri potenti, i potenti del web, che i diritti non li volevano pagare.
    Adesso il Parlamento Europeo ha decretato, con atto ancora senza valore, che i diritti si pagano. Poiché, internetticamente parlando, questo potrebbe anche essere giusto ma è anacronistico e impossibile da realizzare, sono tutti un po’ frastornati, eccetto il vecchietto paroliere di canzoni.
    Per ora siamo a questo stadio.

  7. Massimo dice:

    Massimo, ma chi sarebbero questi alfieri di un nuovo, grande e interessante giornalismo nato in Rete, in Italia?