I ricchi sono terrorizzati dalla loro miseria. Individui che non avevano mai provato la fame, ora vedono gli occhi degli affamati. Individui che non avevano mai provato desideri intensi per qualche cosa, vedono ora l’ardente brama che divampa negli occhi dei profughi. Ed ecco gli abitanti delle città e della pigra campagna suburbana organizzarsi a difesa, dinanzi all’imperioso bisogno di rassicurare sé stessi di essere loro i buoni e i cattivi gli invasori, come è buona regola che l’uomo pensi e faccia prima della lotta. Dicono: vedi come sono sudici, ignoranti, questi maledetti Okies. Pervertiti, maniaci sessuali. Ladri tutti dal primo all’ultimo. E’ gente che ruba per istinto, perché non ha il senso della proprietà. Ed è giustificata, se vogliamo, quest’ultima accusa; perché come potrebbe, chi nulla possiede, avere la coscienza angosciosa del possesso? E dicono: vedi come son lerci, questi maledetti Okies; ci appestano tutto il paese. Nelle nostre scuole non ce li vogliamo, perdio. Sono degli stranieri. Ti piacerebbe veder tua sorella parlare con uno di questi pezzenti? E così le popolazioni locali si foggiano un carattere improntato a sentimenti di barbarie. Formano squadre e centurie, e le armano di clave, di gas, di fucili. Il paese è nostro. Guai, se lasciamo questi maledetti Okies prenderci la mano. E gli uomini che vengono armati non sono proprietari, ma si persuadono di esserlo; gli impiegatucci che maneggiano le armi non possiedono nulla, e i piccoli commercianti che brandiscono le clave possiedono solo debiti. Ma il debito è pur qualche cosa, l’impiego è pur qualche cosa. L’impiegatuccio pensa: io guadagno quindici dollari la settimana; mettiamo che un maledetto Okie si contenti di dodici, cosa succede? E il piccolo commerciante pensa: come faccio a sostenere la concorrenza di chi non ha debiti? E i nomadi defluiscono lungo le strade, e la loro indigenza e la loro fame sono visibili nei loro occhi. Non hanno sistema, non ragionano. Dove c’è lavoro per uno, accorrono in cento. Se quell’uno guadagna trenta cents, io mi contento di venticinque. Se quello ne prende venticinque, io lo faccio per venti. No, prendete me, io ho fame, posso farlo per quindici. Io ho bambini, ho i bambini che han fame! io lavoro per niente; per il solo mantenimento. Li vedeste, i miei bambini! Pustole in tutto il corpo, deboli che non stanno in piedi. Mi lasciate portar via un po’ di frutta, di quella a terra, abbattuta dal vento, e mi date un po’ di carne per fare il brodo ai miei bambini, e io non chiedo altro. E questo, per taluno, è un bene, perché fa calar le paghe mantenendo invariati i prezzi. I grandi proprietari giubilano, e fanno stampare altre migliaia di prospettini di propaganda per attirare altre ondate di straccioni. E le paghe continuano a calare, e i prezzi restano invariati. Così tra poco riavremo finalmente la schiavitù. E le strade sono affollate di gente avida di lavoro, ma avida al punto da esser disposta ad assassinare pur di trovarne. E le banche e le società si scavano la fossa con le proprie mani, ma non lo sanno. I campi sono fecondi, e sulle strade circola l’umanità affamata. I granai sono pieni, e i bimbi dei poveri crescono rachitici e pieni di pustole. Le grandi società non sanno che la linea di demarcazione tra fame e furore è sottile come un capello. E il denaro che potrebbe andare in salari va in gas, in esplosivi, in fucili, in spie, in polizie e in liste nere.

 

(J. Steinbeck, Furore)

 

(via massimo morelli su FB)

 

9 commenti a “La linea fra la fame e il furore”

  1. Isa dice:

    Nella traduzione di Carlo Coardi.

  2. Emanuele (l'altro) dice:

    Stasera quando torno in metro a Roma dirò a tutti i miei vicini di gomito che sono ricchi.

  3. Shylock dice:

    Leggere senza capire: l’immigrazione senza freni e senza risorse va fermata perché è dumping sociale, impoverisce tutti e li fa vivere peggio, tranne i padroni che s’ingrassano sulla miseria altrui e quindi incoraggiano l’importazione massiccia di straccioni per far calare il benessere – e le pretese – agli altri.
    E il furore, finché vi va ancora di lusso, lo sfogano votando Salvini.

  4. Erasmo dice:

    Ci voleva, a mio parere, un po’ più di attenzione nella citazione, perché la seconda parte del brano è controproducente, e fa il gioco di Salvini. Lì, un po’ dopo la metà, dopo le parole “Non hanno sistema, non ragionano“. Lì dovevi terminare.
    Dai, che forse sei ancora in tempo.

  5. annamaria dice:

    “E questo, per taluno, è un bene, perché fa calar le paghe mantenendo invariati i prezzi. I grandi proprietari giubilano, e fanno stampare altre migliaia di prospettini di propaganda per attirare altre ondate di straccioni. E le paghe continuano a calare, e i prezzi restano invariati. Così tra poco riavremo finalmente la schiavitù.”

    Appunto.

  6. Umberto dice:

    Lascerei in pace Steinbeck che c’entra poco o nulla. Ennesima dimostrazione di come si continua a capire poco o nulla dei fenomeni attuali quindi ci si rifugia in un passato astratto. Intanto la lega avanza e la sinistra dorme beata cullandosi tra citazioni e ricordi.

  7. Marco[n] dice:

    “Leggere senza capire” mi è piaciuto. Detto evidentemente da uno che nemmeno l’ha letto tutto.

  8. Maurizio dice:

    I sogni chi lascia tutto nella speranza di trovare qualcosa, la paura dell’altro, gli accampamenti degli Okies descritti nel romanzo di Steinbeck mi sembrano molto attuali nonostante descrivesse una realta’ degli USA di 80 anni fa.

  9. Luigi Castaldi dice:

    Cazzo, Mantelli’, e metticele, due virgolette d’apertura al pezzo. Leggevo e mi dicevo: “Madonna, che manico da scrittore! E questo perde tempo a scrivere dei saggini stiticucci invece di darsi al romanzo? Che prosa, cazzo, che prosa!”.