Quello che colpisce nella rapidissima carriera professionale di Alessandro Alfano, fratello minore del nostro Ministro dell’Interno (ed ex ministro della Giustizia del governo Berlusconi) sono due forme vicine ma separate di indifferenza che la circondano.

C’è l’indifferenza del politico Angelino, che subisce (o perfino incoraggia, chi lo sa) la rapida ascesa professionale del congiunto (nel caso di Alessandro Alfano una carriera dalle basi esilissime, laurea tardiva con qualche sospetto, false certificazioni, docenze universitarie ottenute nell’imminenza o subito dopo la propria laurea triennale a 34 anni suonati) nonostante questa, per sue stesse caratteristiche imbarazzanti, possa domani diventare un’arma politica contro di lui come oggi è puntualmente accaduto.

Esiste poi l’indifferenza degli altri, di tutti quelli intorno che sapevano ed hanno accettato la corsia preferenziale concessa al fratello del Ministro. Magari scuotendo la testa, magari compilando una lettera anonima o un modesto esposto sindacale: centinaia o migliaia di persone sono state, in ogni caso e loro malgrado, testimoni del passaggio di Alessandro Alfano in corsia di sorpasso verso vette lavorative che a tutti gli altri venivano precluse. E se ne sono state zitte.

In un paese che ha fatto il callo al nepotismo più impudente sarebbe sociologicamente interessante capire se la levità con cui i politici tollerano o fiancheggiano le corsie preferenziali per i propri familiari, congiunti (qualcosa del genere è accaduto anche con le dimissioni di Maurizio Lupi tempo fa), compagni di partito, amanti, sia la stessa di sempre, si sia ridotta o abbia invece raggiunto gradi di impudenza perfino maggiori. Sarebbe inoltre interessante capire se il senso di fastidio per i raccomandati di varia estrazione da parte di tutto l’ecosistema intorno (aventi diritto, sottoposti, trombati, sindacalisti ecc.) generi – sempre rispetto al passato – qualche tipo di risposta organica alla prevaricazione del potente di turno o ne resti dolorosamente complice: se l’unica maniera possibile per mostrare la propria indignazione verso il familismo amorale della politica sia ingaggiare inutili lotte contro i mulini a vento a colpi di carta da bollo, certi che nessuno ci darò ascolto, o al limite, alla fine, semplicemente chiudersi nel segreto dell’urna e votare Cinque Stelle.

6 commenti a “Il reato di indifferenza”

  1. sergio dice:

    gramy, correggi!

    ultimo rigo: “ala fine” -> alla fine

    (ehi, non è un commento né una critica…: cancella questo post!)

  2. alessandro dice:

    alla voce “controversie”
    https://it.wikipedia.org/wiki/Angelino_Alfano

  3. roberto dice:

    Una delle possibili soluzioni (o quanto meno tentativi sensati) per arginare lo strapotere di questi inutili signori 4%, potrebbe essere renderli inutili, impotenti, incapaci di coltivare orticelli del potere esigui, limitati ma reali. Rendere inutili e destinate al sicuro fallimenti certe avventure politiche con numeri da riunione di condominio. Mi sto riferendo ad una legge elettorale che determini una maggioranza certa e che spazzi via Alfano, Mastella, Razzi, Scilipoti e giù a ritroso fino ad Alleanza Democratica, Italia Federale, Rinnovamento Italiano e altri orrori.

  4. stefano dice:

    Io invece mi chiedo quanti di quelle centinaia di persone di cui lei parla non avessero loro stessi usufruito del sistema per sistemarsi, magari in posizioni inferiori, magari come mancia, magari vabbè mi pagano poco ma non faccio un cazzo dalla mattina alla sera.
    E quando è passato ‘sto super raccomandato hanno alzato le spalle e sbuffato, perchè se proprio bisogna fare la rivoluzione anche a loro la testa finirebbe nella cesta.

    Non esiste la ‘casta’, esiste più qualcosa simile al tardo feudalesimo. Dal Re al più stronzo dei cavalieri al burocrate che insiste sul fiorino quando passi il confine.

  5. Alessandro Ronchi dice:

    Non voglio assolutamente giustificare l’operato nè entrare nel merito della singola vicenda.

    Domenica però sono stato al concerto di Gilmour al Circo Massimo a Roma, splendido evento con 13’000 persone sedute ad ascoltare un mito.
    Nelle 4 ore di attesa che ho deciso di trascorrere davanti ai cancelli, perché nel mio biglietto avevo indicato apertura ore 17, ho avuto modo di scorgere una italianità che spiega perfettamente l’indifferenza di cui parli in questo articolo.

    Gente che conosceva gente che gli permetteva di passare. I primi arrivati che si trovavano già assegnati posti che non potevano esserlo. Gente che entrava gratis perché aveva questo o quel privilegio. Gente che cercava di superarti nonostante i volti alla 3° ora di attesa attaccati fossero piuttosto familiari.

    Poi c’era che rivendeva illegalmente biglietti a caro prezzo, chi vendeva magliette non ufficiali in maniera abusiva, chi un bombolone in uno scatolone appoggiato sul cofano.

    Credo che sia ormai insita nella nostra cultura da un lato la sopportazione del furbo, e dall’altro il tentativo di furbeggiare.

    Non so dire quale fosse la percentuale di cose “anomale”.
    Aumentate anche dal sistema organizzativo: se apro il cancello 2 ore e mezzo dopo la regola che ho deciso (in autonomia) di rendere pubblica, di certo non facilito la correttezza.

    Questo in una piccola cosa come un concerto. Figuriamoci nella giungla quotidiana della lotta per il lavoro e la carriera.

    Il passo necessario per indignarsi senza ipocrisie è quello di fare per primi la cosa giusta: ti puoi incazzare se hai studiato e fatto concorsi senza barare e vieni superato. Non se hai provato tutti i sotterfugi per copiare la tesi, l’esame, il concorso e vieni punito da chi ha furbeggiato meglio di te.

    Ci potremo lamentare con più dignità della nostra triste dirigenza quando saremo più onesti anche noi nelle piccole cose.

  6. David dice:

    Ci illumini, cosa si dovrebbe fare?