Prima questione: separare lucro e sentimento. Chiunque abbia pubblicato, condiviso, twittato quella foto per interesse (per una ragione o per un’altra) è un figlio di puttana. Non mi interessa l’elenco. Non faccio il processo alle intenzioni. Non separo fra carta e internet. Non divido amatori da professionisti. Se lo hai fatto per quello sei un figlio di buona donna e basta, ed è perfino inutile dirtelo che in fondo lo sai già.

Seconda questione: pubblicare quell’immagine, in Italia, viola la Carta di Treviso. Che è un documento autoregolamentatorio che i media si sono dati da soli anni fa e che non mi risulta sia stato abiurato da nessuno. Bellissima l’autoregolamentazione, straordinarie le sue molte eccezioni.

Terza questione: no, la celebre foto della bimba nuda che fugge dal napalm nel Vietnam degli anni 60 non serve alla causa. E nemmeno le foto delle pile di cadaveri nei campi di sterminio scattate a guerra finita in Germania. Sono mondi diversissimi, un rubinetto informativo da una parte, un oceano d’acqua che riempie tutto dall’altra.

Quarta questione: quella foto indica un punto di debolezza delle comunità digitali già noto ma mai abbastanza ripetuto. Queste, sia quando riuniscono buoni sentimenti sia quando traboccano d’odio, hanno una caratteristica dominante. Quei buoni sentimenti e quell’odio in genere restano confinati dove sono stati generati. La vicinanza digitale da sola non uccide e non salva vite. In cambio però trasmette una piccola anestesia liberatoria.

Quinta questione: peggiorerà. Sembra impossibile ma peggiorerà. L’esposizione mediatica dell’orrore è già oggi un format, serve le cause più diverse. Come molecole iniettate in vena simili contenuti sono sottoposti alle leggi della tolleranza farmacologica. Ed esattamente come avviene con i farmaci nel tempo, aumentando la dose, l’effetto si riduce.

La foto del bambino sulla spiaggia è una dose da cavallo. Come tutti i poveri tossici nemmeno ce ne siamo accorti.




update: Carlo Felice dalla Pasqua che di dentologia giornalistica ne sa molto più di me mi fa notare nei commenti che la Carta di Treviso si applica ai bambini vivi. Lo ringrazio per la precisazione.

35 commenti a “La foto del bambino sulla spiaggia”

  1. Cisco_75 dice:

    “L’esposizione […] dell’orrore…” è un format da SEMPRE…
    non solo da oggi, inteso come tempi moderni. E’ la morbosità dall’essere umano “evoluto”.

  2. Andrea Gagliardi dice:

    Totalmente d’accordo. E pensare che ci siamo pure dovuti sorbire stamattina il predicozzo di Mario Calabresi che per giustificare la scelta della Stampa di pubblicare la foto in prima pagina scrive: “nascondervi quella immagine significava girare la testa dall’altra parte, far finta di niente. Qualunque altra scelta era come prenderci in giro, significava solo garantirci un altro giorno di tranquilla inconsapevolezza”. A parte il fatto che altri giornali hanno optato per la foto del bimbo raccolto dal poliziotto turco che nasconde la testolina agli sguardi, ma come fai a ritenere i tuoi lettori cosi idioti da aver bisogno di una foto per uscire dall’inconsapevolezza sul dramma dei rifugiati? Sono settimane che La Stampa documenta (e lo fa pure bene) quello che sta succedendo. I suoi lettori sanno, sono giustamente informati. Quella foto non aggiunge nulla in termini di onsapevolezza. Proprio nullaconsapevolezza. Proprio nulla

  3. Pinellus dice:

    In questi casi ho solo paura di perdere del tempo a discutere di una foto (per quanto condivida in pieno quanto scritto da te) e defocalizzarsi dal problema contingente dei profughi.
    A questo punto possiamo solo augurarci che la foto del bimbo siriano possa realmente scatenare una reazione positiva per fermare questa tragedia che si compie ogni giorno sotto i nostri occhi.
    Io ne dubito e a conferma c’è il mio stream di oggi su Facebook e Twitter.

  4. Andrea Gagliardi dice:

    Non mi rimangio quello che ho scritto sopra, ma devo ammettere che di fronte ai fatti di cronaca di oggi la mia certezza granitica sull’immoralità della pubblicazione dellafoto e sulla sua inutilità per smuovere coscienze un po’ vacilla. Cameron sotto pressione ammette di essere «un padre «profondamente scosso» di fronte alla foto del bambino siriano morto sulla spiaggia turca di Bodrum e assicura che si prenderà tutte le «responsabilità morali» nell’emergenza profughi. Si registra boom di donazioni nelle ultime 24 ore ad associazioni pro-rifugiati (http://www.theguardian.com/world/2015/sep/03/charity-behind-migrant-rescue-boats-sees-15-fold-rise-in-donations-in-24-hours?CMP=share_btn_tw). Oggi Merkel e Hollande hanno proposto un “meccanismo permanente e obbligatorio” di quote per i richiedenti asilo

  5. Marco dice:

    È una questione complessa, dove ci sono ragioni e torti da entrambe le parti.
    Io credo che sia giusto mostrarla. E lo dico perché ci sto male ogni volta che la vedo.

  6. Giuseppe dice:

    Lei ha espresso il mio pensiero e la mia indignazione nei confronti di tanti, che hanno postato quella immagine tragica, mancando di rispetto nei riguardi di quella creatura. Quelli che, come Lei li descrive, li maledico, ma quelli che lo hanno fatto sui loro diari FB, farebbero meglio a pregare per quel bambino, se hanno un Dio in cui credere!

  7. ArgiaSbolenfi dice:

    Non è che la carta di Treviso vale solo per le persone VIVE?

  8. Carlo Felice Dalla Pasqua dice:

    Massimo, l’analisi è interessante, ma la Carta di Treviso in questo caso non c’entra. La Carta di Treviso (http://www.odg.it/content/minori) riguarda lo sviluppo e la crescita del minore. Qui, se vogliamo restare all’interno delle carte deontologiche italiane, potrebbe essere applicato la “Carta dei doveri”, laddove è scritto che il giornalista “non deve inoltre pubblicare immagini o fotografie particolarmente raccapriccianti di soggetti coinvolti in fatti di cronaca, o comunque lesive della dignità della persona” (http://www.odg.it/content/carta-dei-doveri-del-giornalista)

  9. Daniele Minotti dice:

    Io distinguerei tra professionisti ed amatori: hanno cominciato i primi

  10. roberto russo dice:

    No, mi spiace caro Mantellini, ma non condivido affatto la sua tesi. Queste foto sono orribili, è vero, ma lo sono al pari di tante altre che sono entrate nella storia del giornalismo mondiale. La bimba vietnamita, ma anche le foto degli ebrei nei campi di sterminio ritrovati vivi ( si fa per dire) e morti. Anche tra loro c’erano tanti bambini. Sostenere che non siano servite alla causa è sbagliato. Se fossero state frutto di voyeurismo sarebbero già finite nella spazzatura della memoria e nel dimenticatoio collettivo. Invece ancor oggi si visitano i campi di concentramento con i relativi orrori in mostra (trova sbagliato anche questo?)
    L’esposizione dell’orrore per pura necrofilia appartiene ad altri casi, ad esempio: troverei ripugnante e giornalisticamente superfluo pubblicare foto di persone travolte da un treno o di corpi dilaniati in primo piano. Ancora: troverei ripugnante e giornalisticamente superfluo pubblicare video con tutti i dettagli di efferate esecuzioni capitali decise dai fanatici dell’Is (opportunamente infatti molti di quei video vengono fatti terminare un attimo prima del taglio delle gole…).
    Invece, le tristissime foto dei bimbi morti annegati sui litorali della Turchia hanno lo stesso valore documentale e giornalistico di quelle degli ebrei reclusi nei campi di sterminio. Come quelle ci provocano giustamente sentimenti fortissimi: orrore, rabbia, pena enorme, tristezza infinita.
    Come quelle rappresentano un calcio nel nostro stomaco e raggiungono in pieno l’obiettivo di chi le ha messe in rete: suscitare riflessioni e profonda autocritica su quanto potremmo fare e non facciamo. Perciò si tratta di informazione e non di pornografia informativa.
    Che poi la potenza mediatica dei social le diffonda in un baleno in tutto il mondo, be’, questo è un altro discorso. Il solo fatto che da tali pubblicazioni si sia animato un dibattito così intenso, ci dimostra che l’interesse della società nel vedere e diffondere quelle immagini, evidentemente non si fonda su istinti abietti, quanto piuttosto su una sorta di pathos colllettivo che appartiene in pieno legittimamente ai sentimenti umani e all’esigenza di sapere che cosa avviene lungo le coste di paesi a noi vicini.
    In conclusione ritengo che documentare anche i fatti più orribili, purché di interesse collettivo, nei limiti del buongusto (senza poltiglie umane esibite, per capirci) non sia affatto un’operazione da figli di puttana, quanto piuttosto una contemporanea declinazione del giornalismo “orizzontale” cioé ad opera di persone anche non necessariamente professioniste. Ma qui dovremmo aprire un altro lunghissimo capitolo sulle nuove frontiere del giornalismo.

  11. massimo mantellini dice:

    @Carlo, ho letto quello che ha scritto Iacopino e tu sei più esperto di me, e per rispondere anche ad Argia è vero che la Carta che si occupa dei vivi ma

    7) nel caso di minori malati, feriti, svantaggiati o in difficoltà occorre porre particolare attenzione e sensibilità nella diffusione delle immagini e delle vicende al fine di evitare che, in nome di un sentimento pietoso, si arrivi ad un sensazionalismo che finisce per divenire sfruttamento della persona;

  12. Carlo Felice Dalla Pasqua dice:

    Giusto Massimo, ma sempre di bambini vivi si parla (“malati, feriti, svantaggiati o in difficoltà” per evitare “lo sfruttamento della persona”), perché lo spirito della Carta di Treviso è quello di tutelare la crescita dei minori.

    Ripeto, se si vuol cercare nelle carte deontologiche italiane (che poi sono quasi un unicum, visto che all’estero l’etica giornalistica è disegnata all’interno delle aziende più che essere imposta dall’alto a tutti) c’è quella norma della Carta dei doveri sulle immagini raccapriccianti. Credimi, la Carta di Treviso è spesso dimenticata in Italia (ricordo i genitori dei bambini dell’asilo di Rignano Flaminio intervistati in studio da Vespa, per fare il primo esempio eclatante che mi viene in mente), ma in questo caso non è applicabile.

  13. massimo mantellini dice:

    @carlo ok mi fido, aggiungo un edit in fondo

  14. ArgiaSbolenfi dice:

    Infatti avevo notato che appena un fatto di cronaca che riguarda un minore finisce nel peggiore dei modi, scatta la pubblicazione delle foto.

  15. Liliana dice:

    Pubblicare quella foto l’ho ritenuto un dovere, un dovere lacerante, altro che “L’esposizione mediatica dell’orrore è già oggi un format…”. C’è una differenza sostanziale tra l’esposizione dell’orrore equivalente a un format e l’esposizione tragicamente reale di un problema che va affrontato, guardato in faccia in tutta la sua crudezza, fino a scuotere chi si volta dall’altra parte, chi ci propina soluzioni distorte, chi nega il problema o addirittura, afferma che sia falso. Dimmi, guardare la morte di un bambino innocente è un format? Che escamotage linguistico, penosamente intellettualistico e salottiero, è il tuo. Ci serve quella foto, orribile ma è così, per sbatterla in faccia ai burocrati dell’Ue, alle nostre false coscienze sul dramma dei profughi e migranti, all’alto Commissariato dell’Onu sui Rifugiati, ai governi, ai detrattori, a chi cavalca l’onda della discriminazione, spacciandola come difesa ai “valori” del mondo occidentale: lo dobbiamo a quelle povere vite spezzate, al mancato intervento contro il Daesh in Siria. A quel bambino che avremmo dovuto strappare alla morte. Bene, sono orgogliosa del tuo miserabile epiteto: sì, ho ripreso quella foto da The Guardian e sono una figlia di puttana.

  16. Liliana dice:

    Una seconda riflessione e mi si permetta la provocazione: a livello d’informazione, della vera informazione (non parlo dei tabloid, dei format, delle agenzie stampa), non pubblicare quella foto è come se all’indomani dell’11 settembre, nessuno avesse voluto divulgare le immagini delle Twin Towers mentre si sbriciolavano sotto i nostri occhi, per non “urtare” la sensibilità degli “spettatori” e per “rispetto” alle vittime. Cosa cambia? La sostanza dell’informazione, del giornalismo, quello dei contenuti veri e forti, va al di là della mera “esposizione dell’orrore”, e lo “spettatore” lo sa, lo sente, oltre ogni dialettica legata al concetto del “medium is the message”. Rifiutare di “far vedere” o, allo stesso modo, sfruttare la politica di un più pornografico “sbatti il mostro in prima pagina”, è, allo stesso modo, un atto di certo provincialismo tutto italiano che ancora sta a giocare con le parole invece che riflettere sui contenuti.

  17. andrea61 dice:

    Io credo che la foto sia il rovescio della medaglia del sostanziale silenzio su ciò che capita alle popolazioni in Siria e nelle zone controllate dall’ISIS. La gente non sa o non vuole sapere delle atrocitá quotidiane, delle centinaia di migliai di morti, dei milioni di profughi e di come tutti gli Stati giochino alla politica estera come se fosse un partitone a Risiko tra vecchi amici. E allora spariamo una foto straziante in prima pagina permettetendo a tutti di recitare il mantra ipergratificante dell’indignazione e fa niente se Assad protetto da Putin “gasa” i civili o la vicina Turchia foraggia i tagliagole per far fuori i Curdi.
    Quella foto non è una orrenda pensata solo perchè viola quel bambino ma perchè alla fine si rivela una sorta di arma di distrazione di massa che allontana l’opinione pubblica dalla soluzione dei problemi.

  18. Emanuele dice:

    Pubblicare una foto strappalacrime e condirla di retorica senza entrare nel merito del perché si è arrivati a quella foto non è giornalismo.

  19. Emanuele dice:

    @Andrea61 non c’è sostanziale silenzio, c’è la routine della propaganda. Alimentata il più delle volte dal fantomatico osservatorio siriano per i diritti umani di Londra.

  20. gregor dice:

    Io invito Mantellini ariflettere, pubblicare quella foto era doveroso.

    Una oto arriva al cervello molto prima di un testo scritto, è spiegato dalla scienza e il detto: un’immagine vale più di 1000 parole è una verità assoluta.

    I qualunquisti e i razzisti italiani parlano dei profughi come fossero oggetti, come fossero animali da respingere e, questi, generalmente, non leggono giornali, non si informano sul post, ma parlano per sentito dire, luoghi comuni e stereotipi.

    Queste persone che generalmente non vanno oltre il titolo di un articolo oggi si sono trovati davanti a quella foto terribile. Certamente quella foto servirà a fare appello ai loro animi, se non farà appello significa solo che un anima non ce l’hanno.

    Alcuni giornali hanno ricordato lo scalpore che fece il video e le foto dell’attacco al mercato a Sarajevo, dopo quel episodio mediatico la Nato decise di intervenire.

  21. Fausto dice:

    Quella foto, secondo me, non appartiene all’orrore, ma a qualcosa di più grande, più indefinito che non può essere risolto per punti. Quella foto, mi ha provocato emozioni che non avevo provato neanche davanti agli orrori anche più evidenti delle tante immagini di questi tempi. Insieme alla pena profonda e straziante c’è una tenerezza che la avvicina alle nostre vite. Quel bambino assomiglia troppo a un figlio, a un nipotino, a un piccolo di uomo che dorme visto in un nostro usuale, quotidiano, momento di vita attorno alle nostre case. La politica ci ha abituato alla contrapposizione fra pancia e ragione e non riusciamo più a ripensare al senso delle parole anche quando cambiamenti epocali lo richiederebbero. Le emozioni veicolano anche idee e messe in discussione di sé stessi, non solo irrazionali chiusure o reazioni di comodo. Quello che ci turba nel profondo può essere rifiutato come fa il corpo quando la soglia del dolore raggiunge l’insopportabile o accolto come un segnale di dover fare qualcosa per porre un qualche rimedio. L’ho vista nella prima pagina della Stampa, il giornale che prendo ogni giorno e non c’è stato posto per pensieri sull’opportunità o meno di pubblicarla perché, in quel momento, c’era quella realtà che invadeva tutto.I post di questi giorni su questo blog sono pieni di domande che Mantellini si fa di fronte all’orrore amplificato dai social. Penso che sia la strada giusta, porsele, parlarne e confrontarsi almeno. Penso anche che le domande bisognerebbe spezzettarle in piccole domande, alla nostra portata. Le grandi domande portano spesso ad un’ammissione di impotenza, bisognerebbe riuscire a trovarci dentro domande più piccole, quelle che possiamo affrontare giorno per giorno, lasciare che ci turbino e, magari, parlarne insieme. Ma questa parola apre un altro enorme capitolo.

  22. Fausto dice:

    Un altro commento, più tecnico, sulla quarta questione. Come si fa ad essere così sicuri che le foto non servano, anche se diffuse, di questo si parla, in ambiente digitale? Ando Gilardi, grande storico della fotografia, diceva che senza le foto dei campi la Shoah non sarebbe entrata nelle coscienze dell’umanità. Gli insorti del ghetto di Varsavia procurarono di nascondere un recipiente con foto e documenti dopo che anche una missione personale dei capi del Bund non era riuscita a convincere Roosevelt. La guerra in Cecenia è stata considerata una guerra dimenticata anche perché una guerra senza foto, che i Russi avevano cercato, con successo, di impedire. L’esposizione mediatica dell’orrore ha i suoi gravi problemi e parlarne e studiarla è un servizio prezioso, ma nessuno potrà più dire che questo accadeva vicino a sé.

  23. Fausto dice:

    ….ma nessuno potrà più dire di non sapere che questo accadeva vicino a sé.

  24. Fabio dice:

    @gregor & Andrea, una riflessione fuori tema:
    io mi aspetto che chi mi governa sia meglio di me (almeno nel governare, appunto), e questi prendono decisioni in conseguenza delle emozioni suscitate da una foto?

  25. andrea61 dice:

    @Fabio: noi tutti ci aspettiamo che ciò avvenga, ma sembra che il popolo italiano abbia il vezzo di preferire i Fiorito e i Bernini ai De Gasperi.

  26. UnAlberto dice:

    Le opinioni sono rispettabilissime. Le diverse sfaccettature che assumono sono figlie delle diverse esperienze di chi le esprime in quel momento.
    Immagino che chi come me si trova una figlia che frequenta le elementari non sopporta l’idea che possa vedere la foto e venirne turbata, probabilmente perché mi troverei in difficoltà a spiegargliela a farle capire perché succedono queste tragedie, poi magari i bimbi hanno anticorpi e capacità di comprendere la vita che noi non ricordiamo più.
    Immagino invece che chi non sia nella mia condizione magari non ha la stessa leva protettiva nei confronti di figli o nipoti e può ragionare sull’opportunità di pubblicazione su altri piani filosofici.
    Personalmente per me l’immagine è un pugno sullo stomaco, non la cerco apposta ma quando l’ho vista ho solo sperato di non doverla spiegare.
    Giusto per buttare i miei 2 cent, perdonatemi l’accostamento, è un po’ come quando mettono il “bip” per non far sentire la parolaccia, che il bambino sta più attento e la registra meglio, così se si sente parlare di questa foto, chi non dovrebbe vederla è in qualche modo spronato a cercarla.
    In ogni caso recentemente ho notato un aumento di fatti di cronaca violenta corredati da contributi filmati, che ritengo inopportuni, e non è mica facile ignorarli, mica facile
    Come direbbe qualcuno: È la stampa, bellezza! E tu non puoi farci niente! Niente!

    L’informazione si evolve, i mezzi di fruizione cambiano, i tempi si accorciano. Purtroppo le uniche cose a rimanere pressoché invariate sono le notizie, la violenza si ripete in maniera sempre ingiusta, con vittime sempre indifese e stati ed istituzioni incapaci di proteggerle.

    E noi qui a discutere sull’opportunità di dire o mostrare o meno la notizia.

  27. Un’altra storia di giornalismo. La foto del bambino che fa finta di scuotere il mondo » Giuseppe Granieri dice:

    […] Un breve riepilogo Se vuoi una breve rassegna, Internazionale raccoglie -in italiano- le opinioni dei principali quotidiani (La foto del bambino siriano divide la stampa internazionale), Il Post raccoglie l’opinione di Mario Calabresi e la commenta (Il bambino morto in prima pagina) e Massimo la tira giù dura. È, dice, «La foto del bambino sulla spiaggia è una dose da cavallo. Come tutti i poveri tossici nemmeno ce ne siamo accorti». Il titolo è: La foto del bambino sulla spiaggia […]

  28. Stefano Luzi dice:

    Mai letto un articolo più vergognoso di questo. Nascondete le foto di Gaza, Iraq, Siria, ecc ecc. Oscurate anche le foto di Emergency con bambini senza gambe. Togliete le foto di Cucchi. Accendete i programmi della D’urso. Mi vergogno di quello che ho letto, spero che lei non sia un giornalista, che di Feltri, Belpietro ecc ecc ne abbiamo le TV piene

  29. Anna Fabbri dice:

    La pubblicazione della foto e la stessa foto scattata dalla reporter, sono atti dovuti;sì…. quell’angelo è lì , noi dobbiamo piangerlo , solo così lo onoriamo , e possiamo credere che sia per noi tutti un nostro piccolo ” cucciolo” indifeso ,ucciso dalla nostra indifferenza ed dal cinico calcolo della politica.

  30. Indignazione e spaesamento. Impotenza e azione. 1% vs 99%. Paradigmi da cambiare radicalmente. Confini inutili. | pontidivista dice:

    […] bisogno, per costruire su di essa una nostra fragile e altalenante identità. Ne scrivono bene Mantellini (dal punto di vista della dipendenza) e Fubini, nel descrivere come oggi la nostra società sia […]

  31. simone dice:

    ciao Mante, io sono un ex bimbo del 1981. nel 1997 avevo 16 anni e ho visto le prime foto di rotten .com te lo ricordi? c’erano foto in chiaro di incidenti, disgrazie, malattie rare, di tutto. Una valanga di morti. Un morto, non si vede tutti i giorni. Una volta, anche solo 50nt anni fa era normale portare i bambini ad un funerale, oggi invece siamo in pieno periodo del rifiuto. si pensa di dover evitare immagini cruente a tutti, si pensa di poter evitare la realtà.

    Una foto è una foto, chi la pubblica ci lucra e ci sopravvive, e ti posso assicurare che tra tutti quelli che la vedono ci sono anche persone che restano colpite e che per un attimo si fermano a riflettere sul valore della propria vita. E forse, qualcuno di loro si è anche fermato a riflettere sul valore della vita altrui.

    Uno di loro mi ha scritto, qualche giorno fa, in privato dicendo:” mai più, quel bimbo è mio figlio”.

    Quest’ultimo tipo di persone tra l’altro sarebbe anche la scusa ufficiale per cui la foto viene pubblicata a destra e manca.

    La scusa ufficiale è aumentare il livello di umanità nei media e quindi anche nel mondo. La realtà è che internet molto spesso è quasi inarrestabile e che dobbiamo imparare a sviluppare degni anticorpi contro la realtà e non contro i media.

  32. Damiano dice:

    La quarta questione viene smentita da quello che sta accadendo. La cronaca degli ultimi giorni smentisce che “quei buoni sentimenti … restano confinati dove sono stati generati”. Stavolta proprio no, stavolta i sentimenti sono diventati in più di un caso azioni, e azioni importanti.

  33. L’orrore che (non) condividiamo | @paolomusano dice:

    […] Massimo Mantellini sul suo blog dice: […]

  34. david dice:

    E chi usa la foto sul palco di un comizio politico, come si colloca ? Basta “figlio di puttana” (cit.) o bisogna aggiungere del PD ?

  35. Il dilemma di Aylan | intransitmagazine dice:

    […] contrapposizione Massimo Mantellini dalle pagine del suo blog ci […]