Umberto Eco, dopo tutto il casino creato dalle sue considerazione sugli imbecilli da social network, ritorna sul tema nella sua rubrica sull’Espresso cartaceo con un appello. Si tratta di un tentativo di correggere il tiro apprezzabile, pur entro i limiti concessi dall’umiltà dell’intellettuale e rovinato da un finale a sorpresa.

Vediamo cosa dice Eco (come si faceva una volta quando avevamo molto tempo libero).


Mi sono molto divertito con la storia degli imbecilli del web. Per chi non l’ha seguita, è apparso on line e su alcuni giornali che nel corso di una cosiddetta “lectio magistralis” a Torino avrei detto che il web è pieno di imbecilli. È falso. La “lectio” era su tutt’altro argomento, ma questo ci dice come tra giornali e web le notizie circolino e si deformino.

Traduco: mi sono scocciato assai per le vostre critiche. Siete dei caproni, non sapete distinguere una lectio magistralis da un’intervista.


La faccenda degli imbecilli è venuta fuori in una conferenza stampa successiva nel corso della quale, rispondendo a non so più quale domanda, avevo fatto un’osservazione di puro buon senso. Ammettendo che su sette miliardi di abitanti del pianeta ci sia una dose inevitabile di imbecilli, moltissimi di costoro una volta comunicavano le loro farneticazioni agli intimi o agli amici del bar – e così le loro opinioni rimanevano limitate a una cerchia ristretta. Ora una consistente quantità di queste persone ha la possibilità di esprimere le proprie opinioni sui social networks. Pertanto queste opinioni raggiungono udienze altissime, e si confondono con tante altre espresse da persone ragionevoli.

Fin qui tutto ok. Mi piace molto “udienze altissime”.


Si noti che nella mia nozione di imbecille non c’erano connotazioni razzistiche. Nessuno è imbecille di professione (tranne eccezioni) ma una persona che è un ottimo droghiere, un ottimo chirurgo, un ottimo impiegato di banca può, su argomenti su cui non è competente, o su cui non ha ragionato abbastanza, dire delle stupidaggini. Anche perché le reazioni sul web sono fatte a caldo, senza che si abbia avuto il tempo di riflettere.

Non era razzismo, certo. Era elitarismo ecumenico: tipo “un ottimo droghiere che non ha ragionato abbastanza”.


È giusto che la rete permetta di esprimersi anche a chi non dice cose sensate, però l’eccesso di sciocchezze intasa le linee. E alcune scomposte reazioni che ho poi visto in rete confermano la mia ragionevolissima tesi. Addirittura, qualcuno aveva riportato che secondo me in rete hanno la stessa evidenza le opinioni di uno sciocco e quelle di un premio Nobel, e subito si è diffusa viralmente una inutile discussione sul fatto che io avessi preso o no il premio Nobel. Senza che nessuno andasse a consultare Wikipedia. Questo per dire come si è inclini a parlare a vanvera.

Qui Eco si difende da una critica di sostanza che da molti gli è stata rivolta, quella sulla libertà di espressione che va garantita anche a chi “non ha ragionato abbastanza”. L’eccesso di sciocchezze in ogni caso non intasa le linee. O meglio le intasa ma solo a casa di quelli che non hanno ragionato abbastanza.


Un utente normale della rete dovrebbe essere in grado di distinguere idee sconnesse da idee ben articolate, ma non è sempre detto, e qui sorge il problema del filtraggio, che non riguarda solo le opinioni espresse nei vari blog o twitter, ma è questione drammaticamente urgente per tutti i siti web, dove (e vorrei vedere chi ora protesta negandolo) si possono trovare sia cose attendibili e utilissime, sia vaneggiamenti di ogni genere, denunce di complotti inesistenti, negazionismi, razzismi, o anche solo notizie culturalmente false, imprecise, abborracciate.

E qui Umberto Eco dopo 15 anni scopre finalmente l’importanza della digital literacy. Purtroppo nella sua visione broadcast sfiora senza raggiungerlo il punto. Ed il punto è che il filtro informativo non potrà mai essere dei “siti web” ma dovrà per forza di cose passare dai lettori. Lo sanno tutti, da oltre un decennio. Eco ancora no. È anche per questo che si tratta di un problema rilevantissimo.


Come filtrare? Ciascuno di noi è capace di filtrare quando consulta siti che riguardano temi di sua competenza, ma io per esempio proverei imbarazzo a stabilire se un sito sulla teoria delle stringhe mi dica cose corrette o meno. Nemmeno la scuola può educare al filtraggio perché anche gli insegnanti si trovano nelle mie stesse condizioni, e un professore di greco può trovarsi indifeso di fronte a un sito che parla di teoria delle catastrofi, o anche solo della guerra dei trent’anni.

È più complicato di così. I filtri digitali sono apparati complessi fatti di relazioni fiduciarie multiple ma anche di software e di affinamenti successivi. Non esistono temi di competenza, ma sistemi di reputazione a noi adatti. Vale anche per le scuole, per la teoria delle stringhe e per la guerra dei trent’anni.


Rimane una sola soluzione. I giornali sono spesso succubi della rete, perché ne raccolgono notizie e talora leggende, dando quindi voce al loro maggiore concorrente – e facendolo sono sempre in ritardo su Internet. Dovrebbero invece dedicare almeno due pagine ogni giorno all’analisi di siti web (così come si fanno recensioni di libri o di film) indicando quelli virtuosi e segnalando quelli che veicolano bufale o imprecisioni. Sarebbe un immenso servizio reso al pubblico e forse anche un motivo per cui molti navigatori in rete, che hanno iniziato a snobbare i giornali, tornino a scorrerli ogni giorno.

I giornali ed Internet. Due universi che Eco immagina separati. Le notizie da una parte e le bufale dall’altra. Se fosse vero saremmo a cavallo. Purtroppo non lo è (e forse non lo è nemmeno mai stato).


Naturalmente per affrontare questa impresa un giornale avrà bisogno di una squadra di analisti, molti dei quali da trovare al di fuori della redazione. È un’impresa certamente costosa, ma sarebbe culturalmente preziosa, e segnerebbe l’inizio di una nuova funzione della stampa.

Si vabbene Umberto, ciao e buonanotte.


12 commenti a “Compagni che non ragionano abbastanza”

  1. claud bohm dice:

    Come ha detto Craig Silverman, le falsità arrivano molto più lontano della verità e i (social) media giocano un ruolo importante nel permetterlo.

  2. EcOttimismo | Notiziole di .mau. dice:

    […] Massimo mi ha risparmiato la fatica di scrivere il pippone sulla smentita-non-smentita di Umberto Eco, e non posso che ringraziarlo. […]

  3. Paolo d.a. dice:

    Sei stato fin troppo generoso nelle tue osservazioni. Ma forse è ingiusto accanirsi. Dobbiamo accettare che l’Umberto nazionale sia fuori fase rispetto al nuovo mondo e accontentarci di parlare con lui di quello vecchio.

  4. malb dice:

    Niente da dire sul dibattito che mi ha interessato perché, dopo una lezione in cui il relatore palava ampiamente degli effetti dei campi magnetici senza sapere cosa questi fossero per quanto emerso da alcune risposte richieste nel dibattito, mi sono posto il problema della distinzione tra descrizioni acquisite in quanto immediatamente disponibili, e conoscenza effettiva dell’argomento utilizzato.
    Non mi sono ancora dato una risposta definitiva e per questo mi interesserebbe sapere cosa si intende quando si dice che: “Non esistono temi di competenza, ma sistemi di reputazione a noi adatti.” A prima impressione mi sembra che un filtro basato su quest’ultimo concetto sia un po’ troppo relativo.

  5. claud bohm dice:

    Malb ha colto un punto interessante: la competenza ha a che fare con la conoscenza (a volte con la scienza), la reputazione con la comunicazione e il marketing. Se si tratta di distinguere una notizia vera da una bufala preferirei rivolgermi a uno scienziato, o quanto meno a una persona competente, piuttosto che a un pierre o a un “marchettaro”. Il concetto credo che valga anche per i filtri digitali: meglio se sono fatti sulla base dell’attendibilità delle fonti piuttosto che delle “relazioni fiduciarie”

  6. Fuori dal tempo | Life In Low-Fi dice:

    […] di nuovo si presenta il problema). P.P.P.S. Ovviamente sono arrivato quantomeno secondo: ma, dopo Mantellini, è – quasi – sempre un […]

  7. nicola dice:

    Eco dice cose condivisibili fino a quando parla di filtri. Qui si perde, perché ha una tecnica per selezionare siti con reputazione un poco “old”, per usare un inglesismo. Selezionare i siti affidabili è possibile, non è facile n’è banale, ed è una cosa fluida, non certo conclusa una volta per tutte. (Non serve affatto sapere qualcosa delle teorie delle stringhe per consultare un buon esperto di teoria delle stringhe sul web, come non c’è bisogno di sapere di cardiologia per andare da un bravo cardiologo.) Molti di noi l’hanno sperimentato sulla propria pelle con anni di frequentazioni. I più giovani potrebbero beneficiare delle nostre esperienze, questo sì. Forse.

    Indicare i giornali come autori o esecutori di questo filtraggio di reputazione NO. Qualcuno dica ad Eco che oggi molti giornali (carta e web) sono troppo spesso la prima fonte di cui dubitare. Il colonnino morboso di Corriere/Repubblica lo compulsa ogni tanto o lo clicchiamo solo noi?

  8. Denzio dice:

    Ah bè, se quelli che dovrebbero “filtrare” la bontà dei siti web recensendoli dalle colonne dei giornali cartacei sono gli stessi che ancora aspettano gli venga spedita una copia de “L’enigma Molfetta”…

  9. Paolo dice:

    Innanzitutto il titolo, con quel ‘compagni’ ormai diventato un penoso sfottò. Siamo al ridicolo. Eco mette tutto insieme e senza capire granchè, ma lui va avanti, con quella certa arroganza e facendo di tutta l’erba un fascio. In altri campi invece ti farebbe sentire uno zerbino facendo sfoggio di immenso sapere. Il risvolto socio-politico di questo atteggiamento lo affronterei in un altro post o lo lascerei ai posteri

    Son d’accordo con Mantellini fino ad un certo punto: i social network, ad esempio, son piattaforme private e non sono assolutamente “sistemi di reputazione a noi adatti”, sono il risultato di diversi meccanismi: la visibilità è spesso forzata da altre logiche, a pagamento, e non sempre decisa dagli utenti-“noi”, e questi meccanismi dipendono fra loro. C’è in fin dei conti una partecipazione relativa e un basso grado di libertà.

    Scrivo questo perchè molto spesso si tende a scivolare nel luogo comune dell’internet immagine della brutta gente. Ma non è proprio così. Per questo prima di tutto occorrerebbe specificare il contesto e le relative logiche che regolano la partecipazione

  10. Paolo dice:

    Sugli imbecilli, o più in particolare sugli alienati ed emarginati social cercerei di approfondire seriamente. Proverei quindi a fare qualche ipotesi.

    Molto spesso si tratta di persone che han preso sul serio il gioco d’azzardo e un certo ‘sogno di internet’, ovvero di diventar ricchi con poco e con poco lavoro. Questi sono dei perdenti cronici e condannati all’emarginazione, delle vittime. Chi si arricchisce sistematicamente è invece il proprietario di una piattaforma e il gestore/concessionario dello spam pubblicitario.
    C’è ad esempio il mostruoso cartello commerciale che va strutturandosi proprio in questo periodo e che vede tra i principali azionisti gli stessi Berlusconi, Banzai, De Benedetti, RCS. E ,come ogni monopolio, pericoloso per la democrazia.

    Spesso chi ricorda “i vecchi tempi”, lo fa quando c’è da condannare qualche imbecille, ma raramente ricorda anche la progressiva e prepotente invasione della pubblicità, pubblicità che spesso rimodula i contenuti stessi e il rapporto coi fruitori.

  11. Visto nel Web – 190 | Ok, panico dice:

    […] Compagni che non ragionano abbastanza OK, Eco è andato :evil: ::: manteblog […]

  12. procellaria dice:

    Il finale di Eco è grandioso: “costruiamo una grande biblioteca che contenga i papiri con le recensioni di tutti i siti web. Un’opera colossale che coinvolgerà migliaia di sapienti che arriveranno con le carovane, dall’Anatolia, dal Peloponneso, dalla Pannonia, dalla Pomerania, per non parlare dei grandi matematici arabi e dei letterati russi. Dopo una giornata di duro lavoro, dopo aver recensito i migliori porno con le migliori granny, ci raduneremo intorno a un fuoco, bevendo kvas e raccontandoci aneddoti.”
    Se fosse autoironico sarebbe geniale.