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Molti anni fa scrissi per Sacripante (una rivista web di letteratura che ora non esiste più, ho recuperato la pagina sulla wayback machine) una recensione di Atlante Occidentale di Daniele del Giudice, uno dei libri che ho amato di più in vita mia. Visto che oggi è il giorno in cui tutti parlano di libri la ricopio qui:

Dice (mia moglie) che sono disordinato. Così oggi vi racconto la storia di un libro sulla precisione. Una storia – povero me – vecchia di vent’anni. Leggo libri, ovviamente, anche da prima di allora. Non sempre li finisco. A cose fatte li chiudo, spiano le orecchie sugli angoli e li ordino sugli scaffali. Infine, in genere, li dimentico. Belli o brutti che siano, lasciano sempre nella mia testa poco più di un’ombra leggera.

Con Atlante Occidentale, il libro di Daniele del Giudice (che dio lo abbia in gloria) di cui vi vorrei dire oggi, le cose sono andate diversamente. Per qualche ragione ho continuato a leggerlo di tanto in tanto, in questi anni. Quando ne consigliavo la lettura agli amici, vent’anni fa, ricevevo in cambio educati apprezzamenti di sottintesa mediocrità. “Allora, ti è piaciuto? – chiedevo – “Sì dai, insomma, si legge” – mi rispondevano. Si legge? (mio dio, Si legge?). Se posso suggerire: non consigliate mai a nessuno il libro della vostra vita. Ne soffrireste.

Per molti anni, e qualche volta anche oggi, sull’onda emozionale di “Atlante” ho perfino sognato di abitare in Svizzera, in una casetta silenziosa, col prato ben curato che degrada verso il lago di Ginevra. Sognare del resto non costa molto. E per sognare la Svizzera serve anche qualche imbarazzante predisposizione.

Sarà che Del Giudice è scrittore dell’immobile. Se vi piace l’house music (se esiste ancora) e sudate al ritmo di certe pastigliette colorate (quelle esistono ancora di certo), mi sento di dire fin d’ora che Atlante Occidentale non fa per voi. Non accade molto nel romanzo. I due protagonisti, Pietro Brahe, fisico italiano del CERN e Ira Epstein, anziano scrittore in odore di premio Nobel, coltivano con leggerezza la loro occasionale amicizia. Che dalla passione per il volo a motore (sai quei piccoli aeroclub con i Cessna sull’erba e la manica a vento bianca e rossa?) scivola fino alla comune ossessione di descrivere il mondo.
Pietro ci prova esplorando particelle subatomiche dentro un enorme anello sotterraneo scavato sotto i monti del Giura, Ira abdicando dalla sua professione di analitico tessitore di storie.

Quasi in un esercizio accademico, l’ultima sera del loro incontro – lo scrittore sta per partire definitivamente per la Germania – Ira racconta a voce alta i fuochi d’artificio che i due hanno appena ammirato sul lago. Una sorta di rewind letterario che aggiunge anzichè togliere: la perfezione impossibile di un mondo abitato da sole parole. Triplo salto mortale con avvitamento. Applausi.
Entrate in una libreria se vi va. Sfogliate la versione economica di Atlante Occidentale (Einaudi, tascabili, 7,75 euro) fino a pagina 148. Iniziate a leggere da “Dopo un tempo abbastanza lungo ed un respiro profondo Epstein cominciò a dire in tono tranquillo: “… I fuochi durano fino a pagina 153. Bastano pochi minuti di lettura a ufo in luogo pubblico per farsi una idea.

C’è la leggerezza e la precisione che vorrei avere per me in questo libro. La profondità delle cose. Il sogno di una nostra vagheggiata maturità. Vent’anni passati. Così vado nello studio, trovo il libro (in realtà non lo trovo, penso di averlo prestato e vado a ricomprarlo, dopo di che il vecchio Atlante ricompare per magia) e lo rileggo. Cerco di ricordare com’ero quando l’ho letto per la prima volta. E non ricordo nulla. Da questa mia amnesia Pietro produrrebbe un lungo tabulato di computer, fogli impilati, sputati da una vecchia stampante ad aghi, Ira una ricostruzione minuziosa e definitiva con inchiostro e carta assorbente.

Ti chiedono di parlare di un libro che ami. Rispondi che non lo sai fare. Insistono. Ecco fatto. Signori e Signore: Atlante Occidentale. La geografia accurata delle parole. La cartografia millimetrata dei sentimenti. Consigliato (per l’ultima volta, giuro).


2 commenti a “Atlante Occidentale, una recensione”

  1. Effe dice:

    una recensione è per sempre (con la wayback machine). Brindo all’Atlante e al passato che è immobile, e per questo non si alliontana mai da noi.
    Stia bene, signor Mante.
    F

  2. massimo mantellini dice:

    @Effe, porca l’oca, s’è fatto rubare il dominio ;)