A me Justin Peters sta simpatico. Abbiamo anche fatto un panel assieme qualche anno fa al Festival del Giornalismo di Perugia. E proprio perché mi sta simpatico dirò che questo articolo che ha scritto per Slate e che Il Post ha tradotto è pieno di considerazioni che non condivido.


Considerate questo: per decenni, quando i giornali di carta e le televisioni monopolizzavano l’informazione, la “rilevanza di una notizia” era decisa in un processo dall’alto verso il basso, da direttori e giornalisti che erano solo in minima parte tenuti a rispondere alle persone per le quali lavoravano. I lettori potevano scrivere lettere ai direttori, e potevano offrire spunti per delle storie, ma il loro coinvolgimento nel processo dell’informazione si fermava qui. I giornalisti scrivevano le notizie, i lettori le leggevano. E se al lettore non piaceva la notizia che gli era stata raccontata, beh, cavoli suoi, perché il lettore aveva bisogno del giornale più di quanto il giornale avesse bisogno del singolo lettore. La disaggregazione delle notizie al tempo di internet ha rovesciato questa relazione e ha reso i giornali ipersensibili agli interessi dei lettori. Questo è uno sviluppo positivo. È un bene che i media raccontino storie che interessano i lettori e che i lettori vogliano leggere. È un bene che i giornali siano connessi con la community dei lettori. Se sei il principale giornale di internet – una cosa a cui siti come BuzzFeed, Huffington Post e Slate puntano – allora faresti meglio a prendere nota degli interessi e delle priorità dei tuoi lettori. Se non lo fai, allora gli affari andranno male, perché – sorpresa! – in un mondo in cui la scelta delle news è illimitata, hai più bisogno tu del lettore che lui di te.


Il punto per me è molto semplice. I giornali – se vogliono sopravvivere – dovranno fare in modo che il lettore abbia bisogno di loro e per farlo dovranno scovare storie interessanti da raccontare. Ovviamente i lettori correranno a frotte su Buzzfeed a seguire le avvincenti vicende dei lama sull’autostrada o del vestito bicolore che tanto hanno appassionato Internet nei giorni scorsi ma se il ruolo dei siti informativi deve essere quello di seguire le priorità dei lettori allora è piuttosto evidente che i giornali stessi rinunceranno ad ogni aspirazione che non sia quella delle pagine viste.


Quando lavoravo alla Columbia Journalism Review, discussi a lungo della “ruota del criceto”: la paura che l’evoluzione digitale delle news avrebbe portato il giornalismo a passare le giornate a produrre contenuti rapidi e inutili, a discapito di materiale più ragionato. Di sicuro è una cosa brutta quando un sito di news si adegua alla viralità e sacrifica completamente la sostanza per le fesserie. Ma pochi giornali importanti lo fanno davvero. BuzzFeed, Slate, l’Atlantic, Huffington Post, Gawker, e altri siti importanti hanno tutti trovato il modo di bilanciare le cose sceme con la sostanza, parlando del vestito e dei lama mentre si occupano delle vere notizie. La presenza di una cosa non impedisce quella dell’altra. Al contrario, il traffico ottenuto dalle storie sceme aiuta a sostenere e rendere possibili le altre.


Sono convinto che anche nei contesti migliori come quelli citati, nel medio periodo non potrà esistere bilanciamento fra articoli attira-lettori ed altri contenuti “intelligenti” da offrire agli amanti dei lama occasionalmente finiti sul nostro sito. I primi contenuti – se il modello di business non cambierà – sono destinati a vincere a mani basse senza lasciare spazio ad altro. Una rapidissima analisi dei siti web informativi italiani (dove l’etica giornalistica è stata da subito rapidamente accantonata a colpi di tette e culi) è per una volta forse idonea a riconoscere alcune tendenze al ribasso. Le pagine web dei nostri grandi quotidiani hanno svenduto immediatamente – chi più chi meno – buona parte del loro decoro in nome della real politik dei click facili. Altri eroicamente resistono (NYT, Guardian, Le Monde…). Buzzfeed e soci lo stanno facendo con molta maggior inventiva e classe (riuscendo perfino a fare milioni di click con Obama che si presta a sciocchi siparietti) ma la tendenza mi pare la medesima. Fare un giornale inseguendo ciò che i lettori desiderano sarà un po’ come trasformare i quotidiani nella timeline di Facebook. Con una differenza rilevante: gli amici che ti suggeriranno le notizie saranno spesso i fessi che desideravi tanto tenere alla larga.


8 commenti a “Il giornalismo delle cazzate”

  1. Andrea dice:

    Osservazioni super condivisibili le tue. Mi sembra in ogni caso più onesto fare traffico coi gattini e con altre ca**ate virali piuttosto che farlo con aggregazioni davvero scorrette, quelle sì, coi siti di meteo e cucina e salute (mai specificate apertamente, si vede che viene considerata roba da addetti ai lavori) grazie a cui i nostri quotidiani “più seri” campano da anni.

  2. Paolo d.a. dice:

    Sono molto d’accordo proprio sul punto delle “aspirazioni”.
    Tagliando con la roncola mi sentirei di aggiungere soltanto che per un sito in lingua inglese è probabilmente più facile pescare tra i molti che non si accontentano e cercano informazione di qualità, vuoi perché tanti conoscono la lingua, vuoi perché il livello di consapevolezza civica nella società anglosassone è molto avanti al nostro, e questo influenza moltissimo il “profilo” del lettore, oltreché degli autori. Questo probabilmente vale molto anche per il francese.

    Qui, e qui in Italia, entrano in gioco le aspirazioni, soprattutto quelle dell’editore. C’è chi si accontenta del pareggio di bilancio, e magari produce una metà di cose decenti, chi invece deborda a caccia di incassi. L’interesse dei pochi lettori che si interessano lo suscita, normalmente, solo chi sta per fallire.
    Chi addirittura riesce a campare da indipendente, mi viene in mente ilFattoQ, non riesce comunque a trovare un equilibrio soddisfacente.

    Tutto influisce su questo ma, andando sempre giù di roncola, noi italiani non abbiamo un sentimento nazionale, manchiamo del concetto di cosa pubblica, viviamo annegati in istituzioni ridondanti che si fanno la guerra tra di loro, ci aggrappiamo alla proprietà privata in cerca di uno spazio nostro e solo nostro, legittimiamo l’ossessivo inquinamento dello spazio pubblico della comunicazione urlando a più non posso tra di noi figuriamoci con i personaggi pubblici o i politici, ci siamo allontanati gli uni dagli altri e non abbiamo fatto niente per rimediare, ci siamo abituati a diffidare di chiunque parli la nostra lingua, e spesso anche le altre. Ergo siamo dei pessimi lettori, cacciatori di pettegolezzo, al più fruitori passivi dell’informazione strumentale, quella che nasce per un motivo e non per un fatto, quella che occupa la quasi totalità dello spazio pubblico dell’informazione “ufficiale”.

    Fare un giornale che faccia la differenza qui da noi è difficile non due volte ma tre, e per farlo bene talvolta tocca sacrificarsi, o sapere che non durerà.

  3. Fabio dice:

    Dissento totalmente dalle opinioni di Peters. A parte che occorre partire da una considerazione, ovvero il livello di scolarizzazione del pubblico di riferimento. Già questa è una discriminante da tenere presente in un simile ragionamento.
    Inoltre il ruolo a-democratico dei giornali di un tempo, che imponevano l’agenda ai poveri lettori non è affatto vero. Alla fine pure i fogli di carta dovevano essere venduti, letti.
    Attualmente – e parlo da operatore [neppure uso più la parola giornalista] interno a una media company digitale – il modello di business fondato interamente sul traffico ha stravolto completamente ogni ruolo creativo, informativo.
    Seguire la massa, la pancia della massa, non è un atteggiamento democratico, non è ascoltare il lettore. Semplicemente è offrire junk food a basso prezzo. Ma non è che l’offerta influenzi la domanda. Anche il più accanito divoratore di patatine fritte non disdegna una ricetta sfiziosa e un buon vino .
    Cosa intendo dire con questa metafora?
    Semplice: i giornali devono riappropriarsi del ruolo di selettori di notizie e avvenimenti. Poi ci possono stare un paio di tette, ma non nello stile e con un registro comunicativo che si trova in un blog di un adolescente in piena tempesta ormonale.
    Uso un concetto vecchio per i più, ma porsi come avanguardia, nel senso gramsciano, potrebbe essere un punto di partenza per il futuro.
    A una simile conclusione è facile rispondere: che ideona, peccato che la raccolta pubblicitaria andrebbe a farsi fottere!
    Tutto vero e devo dire che non ho alcuna riposta – magari qualche ipotesi sul futuro -. Ma ho una certezza: il giochino del click bait, del dolore e del sesso come instrumentum regni non sarà ancora per molto baciato dalle labbra degli investitori pubblicitari. Con il rischio di avere milioni di pagine viste invendute. E vi assicuro che in alcuni casi già avviene.

  4. Brad dice:

    Fabio:
    “Ma ho una certezza: il giochino del click bait, del dolore e del sesso come instrumentum regni non sarà ancora per molto baciato dalle labbra degli investitori pubblicitari. Con il rischio di avere milioni di pagine viste invendute. E vi assicuro che in alcuni casi già avviene”.

    Io ho forti dubbi che questo avvenga in futuro ma spero che tu abbia ragione. Secondo me la maggior parte dei lettori non si pone nemmeno il problema di come le notizie, dal punto di vista della forma, vengono raccontate. Basta leggersi i commenti sui maggiori giornali per accorgersene.

    La cronaca è trattata in modo deprimente, con espressioni strappalacrime come “la piccola X”, “volato/a in cielo” ecc. o con titoli come “25 anni alla madre sadica che uccise il figlio di 5 anni iniettandogli sale”.
    L’abuso delle frasi fatte meriterebbe un capitolo a parte.

    C’è poi l’usanza di riportare virgolettati che non sono tali, a volte stravolgendo quello che l’intervistato voleva dire, o di utilizzare la famosa forma “Io, …”.

    Per fortuna c’è qualche eccezione: il Post (non sempre) e Internazionale sono i primi che mi vengono in mente. Per quanto riguarda lo sport, L’ultimo Uomo. Vediamo se si diffonderanno altre realtà.

  5. Fabio dice:

    Certo Brad hai ragione. La situazione è come la descrivi tu. E forse pure peggio. Ma io mi chiedo fino a quando quel traffico a Cpm possa durare. Che ritorno ha un messaggio pubblicitario di un profumo su una pagina dove ci sono immagini di morti ammazzati? Il giochino dei centri media che vendono un tanto al chilo non può durare.

  6. Antonella dice:

    Sono d’accordo e,penso che per ora ,i giornali non abbiano alternativa: devono tutti adeguarsi a internet ,seguendo il lettore. Mi auguro però che, ad un certo punto, il lettore sia sazzio di nudi e,stupide pubblicità.

  7. Il "celolunghismo" dei siti dei quotidiani italiani - Datamediahub | Beta dice:

    […] Ossia il rischio è di inciam­pare negli esempi  che Man­tel­lini ha defi­nito il “Gior­na­li­smo delle Caz­zate” o di tra­sfor­marsi in “Media Che si Mastur­bano” come sot­to­li­neato da Pier Luca […]

  8. Il giornalismo non è morto. Online, fa di tutto per suicidarsi | Alberto Puliafito dice:

    […] dead, di Danny Hayes, 4 agosto 2013 Monti paralleli, di Luca Sofri, 12 aprile 2015, Wittgenstein.it Il giornalismo delle cazzate, di Massimo Mantellini, 2 marzo 2015, Manteblog.it Post industrial journalism: Adapting to the […]