Per lo storico la ricostruzione del dossier di un santo, soprattutto nel caso di un personaggio che abbia goduto di un culto ampiamente diffuso nel corso dei secoli, è una delle imprese più ardue e nello stesso tempo più affascinanti. Questo perché non esiste, almeno prima della Controriforma e di un certo sviluppo dell’istituto del processo di canonizzazione, un canone di rappresentazione del santo. Su di lui tendono a stratificarsi nel tempo innumerevoli leggende le quali a loro volta si diramano in mille varianti: si crea così una matassa talmente intrecciata, in cui diventa quasi impossibile separare il dato storico da quello leggendario. Ancora più importante: diventa difficile tracciare i confini delle diverse tradizioni e ricostruire il profilo del culto tributato al santo nelle sue differenti sfaccettature.

Vorrei raccontare qualcosa su sant’Antonio abate, un santo su cui troppo spesso si danno per scontate tutta una serie di informazioni storiche che, alla luce di un’indagine filologicamente più accurata, tendono quantomeno a complicarsi. Così iniziamo a non pensare al santo con il maialino, immagine frutto di una stratificazione di leggende tutte occidentali.

Antonio, anacoreta egiziano vissuto tra III e IV secolo, fu un santo importantissimo per le Chiese d’Oriente e d’Occidente e venne considerato nel Medioevo il fondatore del monachesimo. La sua biografia scritta da Atanasio in lingua greca fu un best seller tradotto nel periodo tardoantico in molte lingue. Poi Girolamo, nel racconto della Vita di Paolo di Tebe sottrasse ad Antonio il primato di primo monaco per conferirlo a Paolo, anche se raccontò di un incontro tra i due nel deserto (oggi sembra che Girolamo si sia in realtà ispirato ad una già esistente leggenda greca, ma non divaghiamo).



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(Incontro tra Paolo di Tebe ed Antonio)

È importante sottolineare che Atanasio nel suo racconto specifica che Antonio, alla sua morte, ordinò a due dei suoi discepoli di seppellirlo in un luogo segreto del deserto egiziano che doveva rimanere ignoto a tutti: aveva le sue valide ragioni.

Attorno all’XI secolo, nella città di Saint-Antoine della diocesi di Vienne in Francia, nacque un culto taumaturgico collegato alle spoglie di Antonio (in realtà la città fu chiamato così dopo la nascita del culto che poi portò alla fondazione di un’abbazia, di ospedali ecc.). Il santo divenne il guaritore di quello che poi sarà chiamato fuoco di sant’Antonio e in particolare il culto venne gestito dall’ordine ospedaliero Antoniano o Antonita che venne a costituirsi in quel periodo.

Ma che cos’è il fuoco di sant’Antonio? Oggi – lo sappiamo tutti – tendenzialmente è il nome con cui volgarmente si intende l’infezione da herpes zoster, soprattutto nel suo manifestarsi a livello cutaneo. In passato, si dice, con fuoco di sant’Antonio si intendeva l’ignis sacer che a sua volta equivaleva all’ergotismo (intossicazione alimentare dovuta all’ingestione di cereali contaminati da un particolare fungo). Ho impiegato un libro per dimostrare come una tale equazione, fuoco di sant’Antonio=ignis sacer=ergotismo, sia un portato della storiografia settecentesca, poi ripresa da quella ottocentesca, e via via fino ad oggi. Dalla lettura dei testi medici, delle cronache, dei testi agiografici ecc.. di Età medievale e moderna, emerge una situazione più complicata, molto difficile da riassumere qui in poche parole. Diciamo che in generale con fuoco di sant’Antonio (che non era sempre assimilabile all’ignis sacer) si intendeva la gangrena, a prescindere dall’eziologia. D’altro canto l’ergotismo venne “scoperto” solo alla fine del Seicento (e non nel Cinquecento dai medici di Marburgo, come spesso si trova scritto in assenza di una diretta lettura della fonte) e si incominciarono a scrivere trattati su di esso solo nel secolo successivo.

Prima di allora una gangrena era uguale all’altra e l’eziologia considerata dai testi medici non prevedeva nulla di simile all’intossicazione ergotica. Con ciò non si vuole certo negare l’esistenza di epidemie di ergotismo nel Medioevo, come sembrano dimostrare le cronache e i testi agiografici, anche se occorre porre attenzione quando si tentano diagnosi restrospettive basate sulla lettura di tali testi che devono sempre essere correttamente interpretati e contestualizzati. Nel Medioevo spesso il racconto della malattia, più che di realtà fattuale, era portatore di elementi simbolici. Tutto ciò, assieme ad una serie di importantissimi atti notarili della città di Saint-Antoine, fino ad ora semisconosciuti agli storici, rimette in discussione anche l’attività ospedaliera degli Antoniani o Antoniti (l’ordine ospedaliero che venne a costituirsi alla fine dell’XI secolo, la cui casa madre era appunto Saint-Antoine de Viennois, dove erano riposte le spoglie del santo di cui parleremo), troppo spesso descritti, senza adeguate basi documentarie, come terapeuti dell’ergotismo grazie a pozioni preparate con il grasso dei maiali che allevavano o grazie alla somministrazione di pane non contaminato (ma perché avrebbero dovuto servire ai malati del pane non contaminato se non conoscevano l’ergotismo e la sua eziologia?) Ma il discorso sarebbe troppo lungo. A proposito: durante il Medioevo Antonio non fu l’unico a guarire dalla malattia urente (chiamiamola così per comodità). Altri santi ebbero lo stesso privilegio ed anzi, la taumaturga più importante fu la Vergine. Esistono moltissime fonti sull’argomento, tra cui leggende bellissime come quella della Santa Candela di Arras. Poi dall’Età moderna Antonio rimase l’eponimo assoluto della malattia, probabilmente grazie all’opera del potente ordine Antoniano che nel frattempo si era diffuso su tutto il territorio europeo.

Ma come e quando arrivarono le spoglie di Antonio in Francia?
Vorrei precisare una cosa che molti probabilmente non sanno: almeno fino al Settecento i corpi (interi) di Antonio in Occidente erano tre. Se ne accorsero anche i due frati della Congregazione Maurina, Martène e Durand, durante il loro viaggio durato sei anni in cui visitarono le abbazie sparse per tutto il territorio francese per scrivere una sorta di guida. Essi arrivarono a Saint-Antoine e videro la splendida abbazia che conteneva il corpo di Antonio. Andarono ad Arles dai benedettini di Montmajours e questi mostrarono loro le spoglie dello stesso santo, infine passarono dalla cittadina di Lézat, ai piedi dei Pirenei e… trovarono un altro Antonio conservato nell’abbazia cluniacense della città. Anzi, i monaci mostrarono ai due sbalorditi uomini di Chiesa il cartularium dell’abbazia in cui si dimostrava che, da almeno ottocento anni, le spoglie erano qui conservate. I due maurini, nella loro guida, non poterono fare a meno di scrivere che chi avesse voluto essere critico (probabilmente con la Chiesa) avrebbe trovato un buon argomento per esercitare la scrittura. Consideriamo che vi erano sparse per tutta Europa molte altre reliquie del santo perché, a partire dal VI secolo, si incominciò a scrivere che il suo luogo di sepoltura nel deserto egiziano era stato scoperto e le spoglie erano state trasferite nella città di Alessandria, nella chiesa del Battista. Moltissime chiese e abbazie in Occidente iniziarono allora a sostenere di essere in possesso di una o più reliquia del grande santo.

Lasciamo da parte per un momento il corpo di Lézat.

Sicuramente, da testimonianze documentarie, sappiamo che il culto nella città di Saint-Antoine si sviluppò attorno alla fine dell’XI secolo e la chiesa in cui erano riposte le spoglie apparteneva al priorato benedettino di Montmajour presso Arles. In seguito tra l’ordine ospedaliero (gli Antoniani) che si era nel frattempo istituito per la cura della malattia di cui si è detto e i benedettini sorsero forti contrasti di tipo economico. I benedettini furono allora cacciati. Questi, a partire dal XV secolo incominciarono a sostenere di essere diventati i veri possessori delle sante reliquie che avrebbero rubato nella fuga e poi solennemente riposte nella chiesa di Saint-Julien ad Arles (ecco spiegato il corpo di Arles ancora oggi oggetto di culto). Ci fu quindi uno sdoppiamento del corpo del santo che continuava (come oggi) ad essere presente a anche a Saint-Antoine. Ma quando vi era giunto?
Le più antiche leggende che raccontano della traslazione del corpo in Francia risalgono al XIII-XIV secolo e spiegano che il santo fu portato in Occidente da Costantinopoli da un certo Jacelino che si sarebbe guadagnato la stima dell’imperatore (non si specifica quale) il quale lo avrebbe poi ricompensato con un tale dono. Jacelino e i suoi discendenti avrebbero usato il santo corpo come un talismano, portandolo anche in battaglia, finché un certo papa (anche in questo caso viene taciuto il nome) non si arrabbiò e non ordinò di riporre le spoglie in un luogo sacro. Toccò al discendente di Jacelino, Guigo Desiderio, donarle ad una chiesa di proprietà dei monaci di Montmajour, nella località che poi divenne di Saint-Antoine. La leggenda è molto vaga in quanto ai nomi dei personaggi tranne che per Jacelino di cui si specifica che era il figlio di quel conte Guglielmo che dopo essere stato un guerriero si era ritirato in un monastero. Riconosciamo quindi il fondatore del monastero di Gellone (oggi Saint-Guilhem-le Désert), il parente di Carlomagno. Quindi sulla base della leggenda le reliquie sarebbero giunte in Occidente attorno al IX-X secolo.

È però interessante considerare che i territori arlesiani, dove sorgeva l’abbazia di Montmajour, furono molto interessati in epoca medievale alle vicende dei paladini e il culto di Guglielmo si diffuse molto precocemente. Montmajour in particolare era talmente legata a Carlomagno da costruire un mito di fondazione, anzi rifondazione incentrato sul re Franco. Da questi indizi (e da altri che diventerebbe lungo e noioso elencare), si capisce che fu un benedettino a scrivere la leggenda di traslazione. Nello stesso periodo ne venne redatta un’altra che raccontava invece del ritrovamento delle spoglie di Antonio nel deserto egiziano, direttamente dal luogo di sepoltura (senza quindi tener conto del passaggio delle spoglie ad Alessandria di cui si è detto), e del loro trasferimento a Costantinopoli. Probabilmente la leggenda (detta del vescovo Teofilo, dal nome di colui che andò alla ricerca del corpo per poter guarire la figlia indemoniata dell’imperatore bizantino) serviva a spiegare perché il corpo santo fosse conservato nella capitale bizantina. È una leggenda affascinante, in cui si esprime il meraviglioso della letteratura di viaggio dei santi uomini (il redattore copiò alcuni passi dalla Navigazione di san Brendano).


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(la guarigione della principessa indemoniata)

Qualche tempo dopo, nel Quattrocento, i Benedettini e gli Antoniani furono chiamati a ricomporre le loro controversie economiche durante il concilio di Basilea e in quell’occasione portarono le loro testimonianze sull’arrivo delle reliquie in Francia rendendo due differenti versioni (il manoscritto da cui ho tratto le storie è ancora inedito). In realtà i Benedettini si riallacciarono alla leggenda del figlio di san Guglielmo, mentre gli Antoniani imbastirono una storia smaccatamente faziosa ed anacronistica in cui tra i vari argomenti si sosteneva che l’ospedale antoniano era già attivo prima ancora dell’arrivo delle spoglie del santo e che Jacelino era in realtà il signore di Châteauneuf e di tutto il territorio di Saint-Antoine. Quindi non solo la traslazione delle spoglie venne così posticipata, ma l’intero racconto subì una trasformazione passando da un’origine benedettina infarcita delle tradizioni che facevano capo all’abbazia di Montmajour ad un filone narrativo ispirato al nuovo ordine. Nel Cinquecento Aymar Falco, storico ufficiale dell’ordine antoniano, stabilì un profilo definitivo della narrazione ammantando di credibilità la nuova versione. Egli tenne conto del passaggio delle spoglie ad Alessandria derubricando la leggenda del vescovo Teofilo a fantasiosa narrazione, giustificò la traslazione delle spoglie nella capitale bizantina scrivendo che questa era avvenuta nel 670 a seguito dell’occupazione saracena della città egizia, e confermò che il corpo era giunto in occidente, grazie al signore di Châteauneuf, nel 1070, attorno al periodo in cui, secondo la tradizione, si costituì storicamente il primo nucleo antoniano. Nell’Età moderna trovò ampia credibilità la tradizione antoniana e la versione del Falco divenne quella “ufficiale”.

E Lezat? Una leggenda in volgare francese del XV secolo, tramandataci sia in versi sia in prosa, racconta del furto compiuto da due monaci delle spoglie di Antonio, che, sempre da Costantinopoli, vennero portate all’abbazia di Lézat. La leggenda è molto articolata e quindi sono costretta a sorvolare sui particolari. Potremmo pensare, data la sua redazione tardiva, ad un tentativo di competizione nei confronti degli Antoniani. In realtà il cartularium dell’abbazia (probabilmente quello che videro i due Maurini) dimostra come già nel XII secolo, quindi attorno al periodo della nascita del culto a Saint-Antoine, aveva pieno sviluppo una tradizione che voleva che le spoglie del santo fossero conservate a Lézat e, almeno in Età moderna, a giudicare da alcuni documenti, anch’esse erano specializzate nella guarigione della malattia urente. Sempre in piena Età moderna la leggenda di traslazione assunse una differente connotazione e il merito di aver portato le spoglie da Costantinopoli venne attribuito al signore del luogo, il conte di Foix.
Oggi la potente abbazia di Lézat non esiste più e al suo posto troviamo, in aperta campagna, un piccolo e modesto santuario, non troppo antico, sulla cui soglia d’ingresso campeggia la seguente iscrizione:

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Quindi qualcuno è ancora convinto che qui fossero sepolte le spoglie di Antonio.

Per chi ha esperienza con i testi agiografici, una tale proliferazione di reliquie non è certo sorprendente.

Quale dei tre corpi era quello di Antonio? Ci fu realmente una traslazione dall’Oriente all’Occidente o il culto a Saint-Antoine nacque spontaneamente magari attorno ad un altro corpo, come qualche storico pensa che poté avvenire a Lézat, in quanto il fondatore dell’abbazia sembra si chiamasse proprio, guarda caso, Antonio o Aton. Consideriamo, per inciso, che ancora nel Cinquecento lo storico fiammingo Jacques Meyer, nella sua opera di storia, scrisse che nel 1231 un sacerdote di Bruges portò nella sua chiesa un braccio del santo dopo un viaggio a Costantinopoli.

Per lo storico non è importante sapere se e quale fosse (o sia) il vero corpo (probabilmente nessuno dei tre); ciò che conta è capire lo sviluppo dei culti e come dicevo all’inizio, dipanare la matassa delle diverse narrazioni. Riguardo alle questioni di fede, beh, credo che il tutto rappresenti un buon argomento per esercitare la scrittura.

A proposito: un’ultima considerazione. Cosa raccontano le fonti greche di provenienza bizantina? C’è qualche traccia a Costantinopoli di tutti questi corpi di Antonio? Dalle mie ricerche, e soprattutto dalle informazioni che mi sono state fornite da bizantinisti esperti di storia della Chiesa, sembra che nessuna fonte racconti di sepolture del santo nella capitale bizantina.


[Alessandra]

10 commenti a “I tre corpi di sant’Antonio”

  1. diamonds dice:

    Grazie ad Alessandra per la trasduzione(e se andrete a sviscerare le vicende di Sant`Antonio da Padova potreste perfino rimanerci di sale)

  2. nicola dice:

    Interessandomi poco di S. Antonio, da questo post ho imparato qualcosa sull’ergot, il fungo causa del Fuoco di S. Antonio. Comunque grazie mille per il post!

  3. nicola dice:

    @diamonds
    Mi sa che è questo http://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_abate non questo http://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_di_Padova il protagonista del post.

  4. diamonds dice:

    (Oggi e davvero un giorno strano)ehm,io non sono famoso per stare sul tema.anche se i post li leggo sempre sempre sempre

  5. frank dice:

    rimango sempre sbalordito dalla stratificazione storica. molto interessante. Come il libro che sto leggendo su Paolo di Tarso.

  6. frank dice:

    forse non dovrei dirlo, per non attirare curiosi e fanatici religiosi, ma a casa conservo alcune reliquie ereditate dal mio bisnonno: le squame e gli artigli originali del santo

    ragazzi, la nuova programmazione di Rai5 è straordinaria, incredibile. e il prolasso catodico di questi ultimi anni fa ancora più incazzare: quando la Rai fa sul serio non ce n’è per nessuno
    il venerdì ci sono documentari d’autore e stasera hanno trasmesso (lo trovate in streaming sul sito online RAI5)

    Le vere false teste di Modigliani di Giovanni Donfrancesco

    “Per lo storico non è importante sapere se e quale fosse (o sia) il vero corpo (probabilmente nessuno dei tre); ciò che conta è [..] come dicevo all’inizio, dipanare la matassa delle diverse narrazioni.”

    verissimo.

  7. Marco dice:

    @frank – quale santo? Sant’Antonio abate o da Padova? e in che senso squame (della pelle?) e artigli (unghie?)?
    premetto che non sono un fanatico religioso, sono solo curioso.

  8. frank dice:

    @Marco

    https://www.youtube.com/watch?v=nywnVhPyiIg

  9. Marco dice:

    @frank

  10. Marco dice:

    @frank – http://youtu.be/0oynaiWZVJE