A me piace quando c’è da aspettare. Forse mi piacerebbe la pesca se non detestassi quasi tutto della pesca tranne che l’attesa che qualcosa succeda. Mi piace quando le cose stanno per succedere ma non sono ancora successe. Mi piace talmente che quando poi succedono non mi interessa che siano successe. Il poeta diceva che la meta è il viaggio, io sono d’accordo ma aggiungerei che spesso il viaggio è meglio della meta e che anzi non arrivare è un vantaggio. A volte.
Così questa mattina io e Francesca siamo andati a Paddington, dove in questi giorni è approdato il circo mediatico mondiale per la nascita del royal baby. Davanti all’ospedale dove Kate partorirà è apparecchiata una scenografia fenomenale. Una sorta di ferramenta all’aria aperta fatta di telecamere, ombrelli, riflettori, inviati, tecnici, parabole e, soprattutto, scalette metalliche. Tutto compresso in pochi metri quadri di marciapiede. Le scalette, per te che arrivi, sono la vera sorpresa: sono decine. Servono a prolungare verso l’alto l’esiguo spazio che ad ogni troupe è riservato. Perché il teleobiettivo possa fare il suo dovere è necessario che svetti sopra le teste di tutti. Solo che se tutti hanno poi una scaletta su cui salire l’orizzonte prospettico viene semplicemente innalzato di un paio di metri e siamo al punto di prima. Scaletta più alta in ogni caso vince.
Una volta assorbita la sorpresa della gigantesca ferraglia giornalistica, una volta osservati gli inviati delle TV di tutto il mondo (ce ne sono di tutti i tipi e le misure, donne belle e giovani, altre meno giovani ma ugualmente affascinanti, atletici figaccioni da fotoromanzo con l’auricolare e semplici uomini di mezza età di tutti i colori del mondo) resta la questione dell’attesa. Cosa ci fa tutta questa gente davanti al St. Mary Hospital e soprattutto cosa ci facciamo io e Francesca? Loro forse sperano che il loro viaggio finisca, che la duchessa partorisca, il servizio sia sparato al satellite e il loro lavoro trasferito altrove nel pianeta, ma noi? Noi aspettiamo, che è il suo bello, zigzagando fra le improbabili interviste ai passanti. Ci interessa qualcosa del royal baby, del fatto che sia maschio (George?) o femmina (Alexandra?)? Assolutamente no. Delle faccende della dinastia reale? Nemmeno. Del gran casino dei media accorsi a Londra? Forse un po’, i primi 5 minuti ma poi no, nemmeno di quello ci interessa troppo. E allora?
Siamo stati molte ore a Paddington stamattina, nell’attesa che succedesse qualcosa, che un corteo di auto arrivasse, che una sirena suonasse, che un centinaio di cameramen corressero verso i loro attrezzi e le loro scalette. Che il Tour de France della gravidanza reale ci passasse davanti per l’istante necessario. È stata una mattina spesa bene. Dopo dieci minuti Francesca voleva andare via. Poi abbiamo cominciato a immaginare cosa sarebbe accaduto, ad esplorare le strade vicine alla ricerca di qualche segno che fosse sfuggito agli altri, ad ascoltare le sirene in lontananza. Siamo entrati da Tesco a prenderci un panino (in fretta, che non sia mai che nel frattempo succeda qualcosa) ma per lo più siamo stati lì a goderci l’attesa. Il periodo lungo o breve durante il quale le cose possono ancora cambiare o non accadere, o accadere ma in una maniera impossibile da immaginare prima. Poi si è fatto tardi e siamo tornati a casa. Francesca non voleva più venir via. E io nemmeno.
Luglio 16th, 2013 at 18:42
[…] Il più bel pezzo che ho letto finora (ok, ne ho letti due) sull’attesa del “royal baby” è di Massimo Mantellini. […]
Luglio 16th, 2013 at 18:55
non arrivare è un vantaggio, a volte, ma in inghilterra l’aborto è legale?
Luglio 16th, 2013 at 19:00
e immaginate i TG italici affacendati a sottrarre tempo e spazio a notizie importanti per puntare sul colore del vestito della reginetta
La reginetta che esce dall’ospedale, in mondovisione: “no.. era solo un aborto”
Il massimo della poesia.
Luglio 16th, 2013 at 22:43
Non ne sono per nulla sostenitore ma in alcune particolari occasione e’ probabile che la psicoanalisi possa fare miracoli.
Luglio 17th, 2013 at 07:36
Forse, semplicemente e senza accorgevene, siete diventati cittadini britannici, e già eccentrici trainspotter. Solo Matteo Renzi può ormai riportarvi in patria.
Luglio 17th, 2013 at 10:08
E se al posto di Royal Baby ci fosse “Minetti”, “Balotelli”, “Scamarcio” il pezzo averebbe ancora la sua poesia? :D
Luglio 17th, 2013 at 21:06
L’ATTESA (Giorgio Gaber)
No, non muovetevi
c’è un’aria stranamente tesa
c’è un gran bisogno di silenzio
siamo come in attesa.
No, non parlatemi
bisognerebbe ritrovare
le giuste solitudini
stare in silenzio ad ascoltare.
L’attesa è una suspense elementare
è un antico idioma che non sai decifrare
è un’irrequietezza misteriosa e anonima
è una curiosità dell’anima.
E l’uomo in quelle ore
guarda fisso il suo tempo
un tempo immune da avventure
o da speciale sgomento.
No, non muovetevi
c’è un’aria stranamente tesa
e un gran bisogno di silenzio
siamo come in attesa.
Perché da sempre l’attesa è il destino
di chi osserva il mondo
con la curiosa sensazione
di aver toccato il fondo.
Senza sapere
se sarà il momento
della sua fine
o di un neo-rinascimento.
Non disturbatemi
sono attirato da un brusio
che non riesco a penetrare
non è ancora mio.
Perché in fondo anche il mondo nascente
è un po’ artista
predicatore e mercante
e pensatore e automobilista.
E l’uomo qualunquista
guarda anche lui il presente
un po’ stupito
di non aver capito niente.
L’attesa è il risultato, il retroscena
di questa nostra vita troppo piena.
è un andar via di cose dove al loro posto
c’è rimasto il vuoto.
Un senso quieto e religioso
in cui ti viene da pensare
e lo confesso ci ho pensato anch’io
al gusto della morte e dell’oblio.
No, non muovetevi
c’è un’aria stranamente tesa
e un gran bisogno di silenzio
siamo tutti in attesa.
(così, tanto per…)
Luglio 18th, 2013 at 11:39
Caro @mante questa è una di quelle storie che ti piacciono. Temo che questa faccenda della scala sia cominciata qui, magari non solo ma Gaggioli, il fotografo con la scala appunto, è stato un mito. Quando scrivevo di fotografia, eoni fa, lo incontrai per un pezzo sui fotogiornalisti bolognesi, passai con lui un pomeriggio. Uomo appassionato e fumantino e grande inventore di soluzioni senza timore del ridicolo. Fosse ancora vivo, riderebbe molto della ferramenta, fosse lì se ne inventerebbe sicuramente un’altra.
Il mio pezzo non saprei dove ripescarlo (manco esisteva internet) ti mando il link al necrologio dell’Unità di Bologna, per cui lavorò molto.
http://bit.ly/13lQtFN
Luglio 23rd, 2013 at 23:53
[…] L’attesa – manteblog. […]