borra_riotta_scarnati_twitter


Nella questione Francesca Borri, la freelance che ha scritto da Aleppo la sua disgraziata storia, i soggetti sono due: i freelance e gli editori. Anzi tre, ma ci arriviamo.

Ora, ovvio che ci si concentra sulla figura della freelance, dato che il sasso lo ha tirato lei. Il rischio però è di non saper poi andare oltre. Così ha fatto da subito Riotta (non dimentichiamo però che La Stampa è il quotidiano che ha un giornalista intrappolato in Siria, non si sa in quali condizioni, da oltre tre mesi), che sostenuto via Twitter da autorevoli colleghi ha imputato alla stronzaggine degli stessi freelance le disgrazie della Borri, seguito da altri nei giorni seguenti. E che la Borri abbia impostato tutto il pezzo su io, io, io, certo non aiuta.

Ma se una vittima denuncia un reato, che si fa, si passa il tempo a parlar di lei? O magari si fa anche qualche verifica sul reato? Ok, paragone azzardato e irriverente, ma è per rendere l’idea.

Al di là di motivazioni e argomenti, sicuramente discutibili, della freelance Borri, che gli editori, anche e soprattutto di rango, paghino un piatto di ceci resta un fatto. Che tu sia a Aleppo o a Trebaseleghe conta poco, come conta poco molto altro (quanto hai speso per fare il pezzo interessa a nessuno). Non è un reato, ma neanche una cosa bella.

Quando il discorso si sposta su questa china, parte il ritornello del libero mercato. E va ben. Ma libero mercato non vuol dire che tu paghi dei Cartier come fossero Swatch. Vuol dire che in giro ci saranno solo Swatch.

L’editore paga poco a prescindere dalla qualità del pezzo (a meno che di peso non sia la firma, in genere storica: trovatemi un freelance di rango che non sia stato anche, prima, un redattore di lungo corso. Del resto il mestiere si impara anche così, e questo apre la porta a un’altra valangata di questioni, ma per ora andiamo oltre). E questo, fra l’altro, causa non pochi problemi ai capiservizio, che non possono incentivare chi vorrebbero (e tu freelance che stai parlando col collega delle tue miserie finisci col sorbirti le sue, di lagne). Il potere contrattuale del freelance è pari a zero: immaginatevi un singolo, forte solo del proprio lavoro, che va a trattare con Marchionne (per restare alla Stampa).

A questo punto va spiegato anche, ai profani del desk, che non è che non ti pubblicano i pezzi in prima prima pagina (la questione non è: non mi fanno lavorare), è che quando lo fanno ti pagano quanto non basta neanche a coprirti le spese, e pure le tasse. Neanche uno Swatch, ti ci compri. La distanza fra la retribuzione di un assunto e di un freelance è siderale. E sorvoliamo su quelli che addirittura ti fregano le notizie per passarle a un loro redattore.

E qui arriviamo all’ultima fase. Quella in cui tu ti compri un giornale. Pagando. Per leggere in prima pagina un lavoro che lo stesso editore crede che non valga abbastanza da essere retribuito secondo quanto è costato in termini di lavoro e spese. Di un giornalista che probabilmente nel giro di qualche anno sparirà da qualsiasi supporto per andare a spinare birre o, se è un filo paraculo, fare l’addetto stampa in qualche fondazione politica. A meno che qualcuno decida di mantenerlo.

Una cosa giusta la freelance Borri la dice: quando si parla di giornali non c’è neanche un grammo dell’indignazione che accompagna la visione dello sfruttamento del lavoro in altri settori. Lei parla degli editori, e dei colleghi, ma io ci metterei dentro anche i lettori, ovvero i consumatori.

Aprendo pure una parentesi sul valore della libertà di stampa, pensando alla ricattabilità di qualsiasi freelance, che in caso di causa non solo si deve pagare gli avvocati (e se la perde ciao) ma potrebbe addirittura trovarsi contro lo stesso editore. E sulla ricchezza dell’informazione, dato che i freelance difficilmente lavorano su note d’agenzia, ma portano dentro oltre ai pezzi anche le storie.

Poi vedete voi. Se continuare a pensare che sia solo un problema di e tra freelance, o alzare un attimo gli occhi da quell’incarto da pesce.


Valentina Avon

10 commenti a “Polemichette e freelance”

  1. Domiziano Galia dice:

    Credo che solo i freelance, forse, possano pensare sia solo un problema tra loro e gli editori. La maggior parte degli attori del mercato editoriale, i lettori, nemmeno sanno esistano i freelance, probabilmente.

    L’articolo di Francesca è facilmente sottoscrivibile a pancia e pelle, da parte di uno, come me, che ignora la maggior parte dei meccanismi del mondo editoriale. Una cosa però non ho proprio potuto fare a meno di notare: la sua foto, tecnicamente eccellente, il giusto elaborata, lei ben truccata. Un’immagine assolutamente stridente con l’apocalisse appena narrata. Mi è sembrata pretenziosa. Mi ha fatto storcere il naso, ecco.

  2. Signor Smith dice:

    Solitamente la trafila all’estero è: cominci da “dipendente” per poi, una volta affermato, affrancarsi dal lavoro dipendnete e mettersi in proprio. Qui si comincia da free-lance non per scelta “filosofica”, ma solo perché nessuno ha interesse a mettersi in casa un apprendista che bisogna “svezzare” e far crescere professionalmente, e poi magari si rivela uno stronzo e non lo puoi licenziare… poi, con molta “fortuna” si rimedia un posto in redazione…

  3. andrea61 dice:

    Onestamente mi pare che il tutto stia all’nterno di un discorso quasi totalmente autoreferenziale che prescinde dalle condizioni generali.
    L’editoria è in crisi nera, i fatturati calano e le risorse scarseggiano.
    In compenso le maggiori testate hanno una struttura di costi pesante, rigidissima spesso a causa di contratti interni che normano anche il colore della scrivania.
    E’ ragionevole pensare che in un settore in recessione con rigiditá estreme sull’organizzazione del lavoro ci sia spazio per newcomers ? Io temo che l’unico modo per ripondere “sì” sia accettare per anni i pezzi a 40 euro sperando che prima o poi arrivi la botta di fortuna e ci scappi l’assunzione.
    Anche il richiamo all’etica del lettore e dello sfruttamentomi sembra fuori luogo. Non mi risulta che in Italia di siano giornali che fanno soldi a palate. I 70 euro a pezzo temo non siamo molto lontanidal massimo che oggi un direttore posa pagare. Piuttosto mi sembra che si riproponga ancora una volta la dicotomia italica tra assunti ipergarantiti, inamovibili e iperprotetti e gli esterni che devono accollarsi. tutte le flessibilitá e tutte le “economie”. Finchè rimarrá questa situazione, è inutile e velleitario parlare di meritocrazia.

  4. Domiziano Galia dice:

    Questo post sembra interessante:

    http://ildottorgonzo.wordpress.com/2013/07/14/cara-francesca/

  5. Paolo d.a. dice:

    Mi sento di aggiungere solo che assumere un free lance è pressoché impraticabile sia per una questione di costi (spesso) che di inquadramento contrattuale (sempre). Fanno eccezione quelli che trovano l’editore coi soldi che gli escono dal naso e hanno il tesserino dei giornalisti professionalizzati. Fino a qualche tempo fa l’Ordine stabiliva persino i compensi minimi, il che voleva dire escludere qualsiasi iscritto all’Odg dalle redazioni. Sono convinto che, a parte tutti gli ovvi discorsi sulla nuova editoria e i vecchi elefanti, si debba passare prima per l’azzeramento dell’Ordine e dei contratti giornalistici attuali. Poi l’imprenditore-editore potrebbe trovare nuove strade. Poi.

  6. gregor dice:

    Io probabilmente non capisco il settore, ma non vedo il senso di pagare un free lance italiano quando i quotidiani Italiani possono tranquillamente tradurre gli articoli scritti per l’estero da free lance stranieri equipaggiati meglio.

    Non so se mi spiego…

  7. frank dice:

    lo scritto di Francesca Borri mi ha messo una certa ansia, soprattutto se penso alla mia ignoranza a riguardo: se pensate alle trasformazioni dei giornali, al fatto che il web è quasi solo un ripetitore di notizie. Vuol dire che le fonti rischiano di diminuire mentre i commentatori aumentano. Giornalismo è andare sul posto e registrare, prima di tutto

    se diminuiscono le fonti è un grosso problema per la libera informazione: la libera informazione ha un costo. Non vi sembra assurdo che un commentatore guadagni più di un reporter?

    dannazione, stavo sforzandomi di comprendere lo scenario complessivo del giornalismo, e i massimi sistemi

    quando leggo il commento di uno che ha tutta l’aria di essere parente dei Muppet Show: opportunismi, connivenze e ipocrisie “tra gli altri”.

    e lui: tra chi sarebbe?

  8. Domiziano Galia dice:

    Altro punto di vista interessante: http://www.valigiablu.it/freelance-italiani-di-guerra-la-testimonianza-di-barbara-schiavulli/

  9. Freelance, un modello di business possibile | Valigia Blu dice:

    […] gara al ribasso nel mercato delle notizie. L’ha spiegato splendidamente Valentina Avon, in un intervento ospitato dal blog di Massimo Mantellini, dove si legge: “Al di là di motivazioni e argomenti, sicuramente discutibili, della freelance […]

  10. esaù dice:

    Valentina affronta solo di sfuggita un problema fondamentale: i contenuti.

    Il freelance si mette sul mercato vendendo una sola cosa: contenuti. Swatch e Cartier.
    Le belle storie, pur scritte benissimo, sono sì contenuti, ma hanno poco mercato. Pochissimo. E sono trattate come pezzi da Trebaseleghe.
    Gli scoop sono i veri contenuti e quelli sì hanno mercato. Pensate al giornalista/blogger che ha tirato fuori la storia di Snowden…