e io vorrei tanto rispondere che non posso fare un’analisi, perché se tento un’analisi me la cestinano dicendo e tu chi sei, bimba, per fare un’analisi?, anche se ho due lauree, un master due libri e dieci anni di guerre sparse, alle spalle, e la mia giovinezza, onestamente, è finita ai primi pezzi di cervello che mi sono schizzati addosso, avevo ventitrè anni ed ero in Bosnia


Il pezzo di Francesca Borri da Aleppo invece che su CJR sarebbe dovuto uscire, assai ben pagato, sulle prime pagine di uno qualsiasi fra i maggiori giornali italiani. Tuttavia è sufficiente leggerlo per capire le ragioni per cui questo non è accaduto. Invece ora ci tocca la discesa in campo postuma dei tanti giornalisti plaudenti con il culo al caldo.

15 commenti a “Il culo degli altri”

  1. diamonds dice:

    azz,rischia di diventare la mia eroina prossima ventura.Insieme a questa:

    http://www.tudonna.it/2013/07/amina-senza-velo-in-tribunale/

  2. valentinaa dice:

    Io ti amo, è ufficiale
    (platonicamente eh che poi l’Ale s’incazza)
    Aggiungo allo schifo della solidarietà pelosa dei vari Riotta (che manco sanno quanto il loro giornale paga i collaboratori, evidentemente) lo schifo delle frasi successive (schifezza alla quale, purtroppo, la stessa Francesca Borri non è estranea) sulla mancata solidarietà fra freelance, definiti come codardi invidiosi stronzi. Ché certo, l’importante è che il problema resti nostro.

  3. Paolo dice:

    Mi sembra che Tiziano Terzani anni fa disse una cosa simile, circa il modo in cui è cambiato fare giornalismo… purtroppo passano gli anni (e i grandi giornalisti appassionati) e le cose non fanno che peggiorare. :(

  4. f1210637 dice:

    Se a 23 anni si trovava in Bosnia e lei è nata nel 1980, a quale episodio si riferisce “primi pezzi di cervello che mi sono schizzati addosso”, visto che era presumibilmente il 2003?
    Giusto per capire, solo curiosità, si trattava di un attentato o cosa visto che la guerra era finita da anni?

  5. simone dice:

    Anche il tuo di culo non dev’essere freddissimo.

  6. Pino B dice:

    A me sembra invece una scrittura impregnata di una presunzione e un narcisismo fastidiosi e insostenibili. E più lo leggo, più approvo chi non fa fare delle “analisi” alla scrivente.

  7. Andrea dice:

    1) Non è che se uno va in Bosnia e gli schizza del cervello addosso (quando di preciso, visto che, come qualcun’altro ha chiesto, la guerra nel 2003 era finita da un pezzo?) automaticamente diventa bravo a fare delle analisi.
    2) i giornali italiani non si basano sulla meritocrazia nel scegliere editorialisti e pezzi da pubblicare in prima. Non serviva ahinoi questa riprova per saperlo.
    3) sul cartaceo servono forme note, sul sito le papere dei portieri e le foto shoccanti di belen al mare. Questo è lo schema e fanculo. Mi pare sia abbastanza evidente, anche in questo caso riprova inutile del sad state of italian journalism.

  8. andrea61 dice:

    Scusate ma sono solo io a trovarlo un pezzo,oltre che malscritto, pure un po’ furbetto e che non aggiunge nulla a quanto conosciuto ?
    Soprassediamo agli schizzi di cerveli bosniaci visto che a quei tempi la Bozzi faceva il liceo. Ma il resto ? Il mestiere dell’inviato di guerra è durissimo ? Cavolo e io che ho sempre immaginato Terzani sparapanzato in un sofá di un hotel 5 stelle mentre pasteggia ad ostriche e champagne ! Nel mondo del giornalismo campi di precariato sottopagato ? Incredibile, non lo sapevo.
    Piuttosto mi sembra che il pezzo sia uno sfogo che schizza presunzione e egotismo da tutte le frasi. In fondo parliamo di una che a 16 anni si è presentata al congresso del PDS e siccome non le hanno offerto immediatamente un posto da dirigente se ne è andata sbattendo la porta.
    Sicuramente una ragazza in gamba e con due palle d’acciaio, ma che va un attimino presa con le pinze.

  9. massimo mantellini dice:

    @andrea61 non solo tu http://www.freddynietzsche.com/2013/07/13/che-la-stampa-e-bella-anche-se-fa-male/

  10. stefano bonilli dice:

    Ci sono i giornalisti che si costruiscono la “cuccia calda” fatta di relazioni, chiamate in tv o su giornali fichi e altri che scelgono un’altra strada per fare “strada”.
    In questo caso MB avrebbe smascherato la Borri che se la canta e se la suona?
    Magari si, tanto le possibilità di fuoco di reazione sono nulle mentre il bollino in più da mettere sul palmares di quello che va sempre controcorrente è sicuro :-))

  11. valentinaa dice:

    Chiedo scusa per il paragone parecchio irriverente, ma qua si sta sbagliando obiettivo (vale anche per Bordone, del cui pezzo peraltro condivido molta roba).

    I soggetti sono due: i freelance e gli editori. Anzi tre, ma ci arriviamo.

    Ora, ovvio che ci si concentra sulla figura della frelance, dato che il sasso lo ha tirato lei. Ma se una vittima denuncia un reato, che si fa, si passa il tempo a parlar di lei? O magari si fa anche qualche verifica sul reato? Paragone azzardato dicevo, ma insomma è per rendere l’idea.

    Al di là di motivazioni e argomenti, sicuramente discutibili, della freelance Borri, che gli editori paghino un piatto di ceci resta un fatto (ho anni di fatture di diversi committenti, alcuni di vero rango, so di cosa parlo), che tu sia a Aleppo o a Trebaseleghe conta poco, come conta poco molto altro (quanto hai speso tu per fare il pezzo frega niente a nessuno).

    Quando il discorso si sposta su questa china, parte il ritornello del libero mercato. E va ben. Ma libero mercato non vuol dire che tu paghi dei Cartier come fossero Swatch. Vuol dire che in giro ci saranno solo Swatch.

    L’editore paga poco a prescindere dalla qualità del pezzo (a meno che di peso non sia la firma, in genere storica: trovatemi un freelance di rango che non sia stato anche, prima, un redattore di lungo corso. Del resto il mestiere si impara anche così, e questo apre la porta a un’altra valangata di questioni, ma per ora andiamo oltre). E questo, fra l’altro, causa non pochi problemi ai capiservizio, che non possono incentivare chi vorrebbero (e tu freelance che stai parlando col collega delle tue palle che girano finisci col sorbirti le sue, di lagne).

    Per spiegare meglio mi rivolgo a Andrea, che dice: “i giornali italiani non si basano sulla meritocrazia nel scegliere editorialisti e pezzi da pubblicare in prima”.

    Ecco, forse va spiegato: non è che non ti pubblicano i pezzi in prima, è che anche se li pubblicano in prima, ti pagano quanto non basta neanche a pagarti le spese, e pure le tasse. Neanche uno Swatch, ti ci compri.

    E qui arriviamo all’ultima fase. Quella in cui tu ti compri un giornale. Pagando. Per leggere in prima pagina un lavoro che lo stesso editore crede che non valga abbastanza da essere retribuito secondo quanto è costato in termini di lavoro e spese. Di un giornalista che probabilmente nel giro di qualche anno sparirà da qualsiasi supporto per andare a spinare birre o, se è un filo paraculo, fare l’addetto stampa in qualche fondazione politica. A meno che qualcuno decida di mantenerlo.

    Una cosa giusta la freelance Borri la dice: quando si parla di giornali non c’è neanche un grammo dell’indignazione che accompagna la visione dello sfruttamento del lavoro in altri settori. Lei parla degli editori, ma io ci metterei dentro anche i lettori, ovvero i consumatori.

    Aprendo pure una parentesi sul valore della libertà di stampa, pensando alla ricattabilità di qualsiasi freelance, che in caso di causa non solo si deve pagare gli avvocati (e se la perde ciao) ma potrebbe addirittura trovarsi contro lo stesso editore. E sulla ricchezza dell’informazione, dato che i freelance difficilmente lavorano su note d’agenzia, ma portano dentro oltre al pezzo anche la storia.

    Poi vedete voi. Se continuare a pensare che sia solo un problema di e tra freelance, o alzare un attimo gli occhi da quell’incarto da pesce.

  12. Claudio61 dice:

    Il punto debole del ragionamento della collega Borri a me sembra un altro: se le principali testate italiane rifiutano i tuoi reportage dalla Siria non sarà perché le suddette testate hanno già fior di inviati in loco? Il nome Domenico Quirico dice niente? E il confronto bunga-bunga vs. Fronte di guerra mi sembra pretestuoso: anche le inchieste sulle notti di Arcore sono una signora storia.

  13. Amiamoci e partite: com’è nato il flame su Francescca Borri | T-Mag | il magazine di Tecnè dice:

    […] In sintesi: la manifestazione degli umori di molti utenti in rete nasce quando qualcuno con una certa “influenza” fa da traino. Se non ci fossero state le traduzioni in italiano non si sarebbe innescato nessuna discussione. C’è una prima fase di adesione-condivisione passiva, e poi dopo che l’argomento è decantato (uno e due giorni al massimo) se ne fa una lettura critica. La polarizzazione di utenti con meno competenze molto spesso è netta e diretta: inferno o paradiso. Per far nascere una discussione servono più punti di vista (non solo in 140 caratteri) in particolare tra utenti “influenti”. Il periodo di indignazione, come per l’influenza, varia ma poi passa quasi indolore. […]

  14. Armiamoci e partite: com’è nato il flame su Francescca Borri | T-Mag | il magazine di Tecnè dice:

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