Ho dovuto controllare la data perché sono passati molti anni. Il primo provvedimento significativo sul wi-fi in Italia risale al 2003. Il Ministro delle Comunicazioni era Maurizio Gasparri. Dubito che Gasparri abbia mai avuto una comprensione meno che vaga della faccenda ma almeno nominalmente, la morte in culla del wi-fi in Italia può tranquillamente essere ascritta a lui. In realtà ci sono solide ragioni per pensare che la decisione di allora non abbia cambiato troppo lo scenario, l’ostracismo nei confronti di quella tecnologia (una tecnologia povera sfuggita al controllo dell’industria delle telecomunicazioni) era molto ampio e diffuso, specie fra le telco che temevano, probabilmente a torto, che il wi-fi libero avrebbe creato problemi ai loro affari. E del resto la decisione di Gasparri non fu altro che la messa su carta di una scelta dei soggetti forti delle TLC in uno spazio, quello dell’accesso a Internet, a quei tempi assai poco presidiato.
La seconda bastonata al wi-fi porta il nome di Beppe Pisanu che nel 2005 in seguito agli attentati di Londra si inventò uno dei tanti deliri burocratici e legislativi italiani, questa volta in nome della lotta al terrorismo. Mentre i paesi coinvolti direttamente (USA e UK) non hanno mai considerato l’ipotesi di chiedere fotocopie dei documenti ai cittadini che desiderassero collegarsi alla rete dalla propria camera d’albergo, il ministro Pisanu firmò un polveroso capolavoro di barocchismi e ostacoli vari che in nome di minime sicurezze tagliava le gambe ad ogni volano positivo legato a quella tecnologia, primo fra tutti ovviamente il turismo.
E arriviamo ai giorni nostri: dopo una serie di rinnovi silenziosamente approvati ogni 31 dicembre, sempre in nome della sicurezza di tutti, le norme sull’obbligo di autenticazione per collegarsi a reti wi-fi sono state prima ridotte e poi di fatto eliminate. L’ultimo piccolo passo in questa direzione lo ha fatto il governo Letta oggi. Dopo dieci anni la situazione normativa del wi-fi in Italia è tornata simile a quella degli altri paesi occidentali. In parole povere abbiamo perso 10 anni.
Nel frattempo cosa è accaduto? Le telco non hanno investito un soldo in quella tecnologia che certo non risolve quasi nessun problema macro di copertura dati ma che resta comunque utile in situazioni specifiche. Due esempi per tutti: le cabine telefoniche e alcuni luoghi di interesse pubblico come biblioteche e aeroporti. Per fare un esempio concreto recente qui a Londra le piattaforme della metropolitana sono da un anno coperte in wi-fi e gli operatori telefonici ne comprendono l’accesso nei propri contratti di telefonia mobile. La sim di T-Mobile che uso mi consente di collegarmi a Internet mentre aspetto la metro (non durante i tragitti in galleria). A seconda del tipo di contratto il servizio è compreso o meno (più spesso sì) e in genere è gratuito. Lo stesso accade per gli utenti DSL di BT (ma forse anche di altri operatori) che ha hotspots in giro per la città. In pratica wi-fi si è dimostrato essere, fra le altre cose, un corollario tecnologico utile alle telco stesse.
Nel frattempo cos’altro è successo? Il wi-fi è stato in Italia scioccamente idolatrato da eserciti di retori e sognatori (compreso il M5S di Beppe Grillo, ma prima di loro anche da moltissimi amministratori locali) e da furbi politicanti che hanno venduto ai propri cittadini l’idea che il wi-fi fosse una sorta di portavoce del bene comune legato all’accesso a Internet e che dovesse essere fornito gratuitamente da ogni giunta nuova modera ed illuminata. L’ultimo in ordine di tempo (e forse il più grande in termini dimensionali) è il wi-fi gratuito del sindaco Pisapia a Milano. Migliaia di hotspots sparsi per la città ad immaginare una copertura ampia e funzionale che semplicemente quella tecnologia non può offrire. Che poi il wi-fi dei Comuni sia gratuito è ovviamente una bugia dalle gambe cortissime visto che, tranne in rari casi, le amministrazioni semplicemente comprano la banda ai prezzo di mercato pagandola coi soldi dei cittadini. Ed in genere tendono ad acquistare a prezzi economici servizi con prestazioni necessariamente scadenti. Nel caso di Milano, dopo aver fatto due conti tardivi si sono accorti che il bene comune forse era il caso anche di rivenderlo. Solo che una amministrazione comunale non è un ISP e forse sarebbe meglio che non aspirasse a diventarlo.
Il wi-fi gratuito dei Comuni (per inciso non esiste una esperienza analoga in tutto il mondo che abbia funzionato alla quale potersi riferire, ma solo esperimenti nella grandissima maggioranza dei casi tentati e abbandonati) se lo osserviamo bene è l’altra campana dell’immobilismo burocratico di Gasparri e Pisanu. È il segno che fra retrogradi dinosauri dispostissimi a sacrificare la tecnologia allo status quo e futuristi ubriachi che la userebbero anche per lavarsi i denti, questo Paese è incapace di osservarla ed adottarla col disincanto di cui avremmo bisogno.
Giugno 18th, 2013 at 00:46
Consiglio la lettura dell’ultimo paragrafo di http://www.setteb.it/?p=6868 Qui si ricorda come lo sbarco della tecnologia Wi-Fi in Italia (nel 2003 qualche passo avanti, casomai) qualche problemino ce l’ha avuto.
Giugno 18th, 2013 at 08:36
“nel frattempo cosa è accaduto”
Questo è fondamentale, lo ricordava anche Keynes: la stessa cosa avviene con le dinamiche economiche, si ragiona spesso in termini assoluti, inutilmente catastrofisti o demagogici, tralasciando la dinamica reale degli avvenimenti
il M5S di Beppe Grillo ha sempre parlato di Wi-Max, che è una tecnologia diversa dal Wi-Fi!
l’amministrazione regionale o comunale non è un ISP, ma se lo stato non investe, ‘taglia le gambe ad ogni volano positivo legato a quella tecnologia, primo fra tutti ovviamente il turismo’: sono scelte politiche (però spesso, son d’accordo, sono pubblicitarie e non strutturali)
Giugno 18th, 2013 at 13:52
Tutto abbastanza condivisibile tranne l’uso del plurale per “hotspots”, pratica da abbandonare in generale quando si usano termini inglesi in testi scritti in italiano. Per fortuna abbiamo gli articoli e non abbiamo bisogno di scrivere i computerS, per dire che ce ne e’ piu’ di uno.
Giugno 18th, 2013 at 14:23
In Belgio la compagnia telefonica Belgacom, fornisce il modem/router preconfigurato con due access points WiFI, uno privato (configurabile) ed uno pubblico, che si “appoggia” all’autenticazione fatta a casa propria, con QoS limitata.
In questo modo, chi ha un contratto ADSL Belgacom ha automaticamente accesso ad un numero molto alto di hotspots distribuiti sul territorio.
Ecco un esempio di come gli operatori potevano (e possono) utilizzare il WiFi come una leva per il business invece che vederlo come un nemico.
Giugno 18th, 2013 at 14:40
Io però non ho ancora capito una cosa riguardo il wi-fi “libero” come mi pare di capire sia quello dell’esempio di VilCatto: se uno parcheggia vicino a casa mia, si collega con un laptop al mio hotspot, e gestisce per un po’ le sue attività illegali, dopo la polizia viene a bussare alla mia porta?
Giugno 18th, 2013 at 15:06
@ArgiaSbolenfi: ovviamente non sei responsabile di quello che transita attraverso il tuo router. Ciascun utente è autenticato dal provider con nome e password in centrale; l’attività fatta sarà quindi associata al contratto ADSL domestico dell’utilizzatore, e non a quello del proprietario del modem, che in questo caso serve solo da “trasporto” verso la centrale.
Giugno 18th, 2013 at 15:26
@Vilcatto molto interessante non lo sapevo
Giugno 18th, 2013 at 15:28
@VilCatto: quindi nei paesi dove queste installazioni sono legali, viene di fatto garantito l’anonimato su internet?
Giugno 18th, 2013 at 15:39
@argia è il set minimo di informazioni che è previsto per il wifi (ora anche da noi) IP e mac address
Giugno 18th, 2013 at 15:58
Quindi, all’affermazione tipica “internet è il regno degli anonimi che possono calunniare a piacimento..” ora sarà ancora piú difficile replicare. Non che fossi a favore della situazione precedente, giusto per mettere in chiaro le cose come stanno su un argomento ricorrente.
Giugno 18th, 2013 at 21:56
@Argia Dalle parole di VilCatto non direi. “chi ha un contratto ADSL Belgacom” puo’ utilizzare la tua connessione via wifi, non chiunque. Dovendo dimostrare che e’ un utente pagante, non e’ piu’ anonimo.
@VilCatto Ho detto sciocchezze?
Giugno 18th, 2013 at 22:29
OK, scusate ma non avevo capito. Per utilizzare questi hotspot bisogna essere clienti dello stesso ISP ed autenticarsi con le proprie credenziali, quindi si è identificati (o perlomeno lo è il titolare del contratto, poi in sede legale uno potrebbe buttarla sul “mi hanno rubato le credenziali” ma è un altro discorso).
Quindi in Italia oggi siamo passati al potenziale anonimato presso le strutture che decidano di non registrare l’identità, ora che non è più obbligatorio (es.: il bar)? Da un eccesso all’altro, tipico…
Giugno 18th, 2013 at 22:34
Non ho mai visto un Mac address in un tabulati di operatore. E faccio questo mestiere da un bel po’ e di processi informatici che ho fatto ne ho perso il conto
Giugno 18th, 2013 at 22:37
E, comunque, quello dei Mac Address è un falso problema. Sia perché pare che non sia previsto nel decreto, sia perché attualmente non è obbligatoria la registrazione. C’è parecchia confusione, anche grazie ad un ministro che non sa quello che dice
Giugno 18th, 2013 at 22:43
Il Mac address non ha alcun significato, identifica un’interfaccia di rete in una lan ma non è possibile metterlo in corrispondenza diretta con una persona. Forse in un’indagine prolungata può servire per capire quante volte lo stesso computer si è collegato, ma non molto di più. E in ogni caso può essere facilmente modificato con le normali funzioni del sistema operativo.
Giugno 18th, 2013 at 22:56
@argia IP e Mac address non vogliono dire proprio nulla. Per arrivare all’utente occorre fare un’analisi di rete che processualmente non è praticamente mai possibile. Il ministro ha detto una belinata parlando di identificativo del dispositivo. Brutto da dirsi, ma lasciamolo parlare
Giugno 18th, 2013 at 23:14
@Minotti, ma il Ministro parlava a noi giovani, mica a avvocati anziani tipo te
Giugno 19th, 2013 at 00:12
@Massimo
Il Ministro ha Letto il comunicato stampa che gli hanno scritto e che probabilmente non c’entra nulla col contenuto del decreto. Sufficiente a defenesteare lui e l’addetto stampa.
Manco sanno quello che fanno. E porco di qui e poco di là. Insipienti.
Giugno 19th, 2013 at 00:17
[…] bel post di Mantellini sul mito del wi-fi pubblico. Un mito, un feticcio, quello del wi-fi pubblico che anche a Moncalvo […]
Giugno 19th, 2013 at 10:54
Ma quella di Belgacom è la versione commerciale di Fon? (Che è diventato commerciale anche quello, l’ho appena scoperto…)
A proposito di wifi pubblico aperto e gratuito e il fatto che “non esiste una esperienza analoga in tutto il mondo che abbia funzionato alla quale potersi riferire, ma solo esperimenti nella grandissima maggioranza dei casi tentati e abbandonati”, qualche mese fa sono stato a Barcelona e i famosi hotspot pubblici, segnalati e funzionanti, ci sono! Li ho usati! http://www.bcn.cat/barcelonawifi/en/
Giugno 19th, 2013 at 13:08
@Camu
Gli hotspot pubblici ci sono anche a Pisa, Toscana, Italia:
http://www.comune.pisa.it/it/progetto/142/Wi-Fi-hotspot-Pisa-WiFi-.html
Giugno 21st, 2013 at 12:35
Una cosa non ho capito: certo il wifi gratuito dei comuni lo paghiamo noi cittadini, ma dove sta il problema? Le nostre istituzioni dovrebbero utilizzare i ns soldi per il bene comune, e il wifi – come l’acqua – lo è. Ha un costo ma é un servizio per tutti. Poi possiamo discutere del costo e della qualità dei servizi, ma che la gratuitá di alcuni servizi sia un male mi sembra un ragionevole errore, caro Mantellini….
Giugno 23rd, 2013 at 19:19
Molto d’accordo in linea generale. Una nota: l’accesso a internet sulla tube tra una fermata e l’altra (e non durante il tragitto) è di fatto inutile perché lentissima, i tempi di attesa per un treno sono molto bassi (fortunatamente) e non hai modo di navigare/lavorare se non a singhiozzo. Considerando i tempi di commuting alti, non la trovo molto efficace. Al contrario a Milano tutti i km sono coperti dal segnale “gratuitamente” (nel senso che usi la tua connessione dati, come fossi per strada per capirci), il che è a tue spese ma ti da modo di fare quello che vuoi.
Luglio 9th, 2013 at 22:27
Mi torna alla mente un’antichissima polemica che sostenni secoli fa in uno dei primi forum su internet. Tutti idolatravano la decisione dell’assessore Bonaga (sì quello della Parietti) che aveva creato la rete civica Iperbole per dare un collegamento internet gratis a tutti i miei concittadini. La mia perplessità era proprio il fatto che “il Comune non è un ISP e sarebbe bene che non lo diventasse”. Il Comune invece avrebbe potuto favorire e far crescere provider locali.
Ovviamente Bologna non è oggi più avanzata di altre città italiane in questo campo, il Comune non è diventato un ISP e non sono cresciute aziende locali nel settore.