Su Repubblica di oggi c’è un articolo interessante sui rapporti fra libri per ragazzi in formato digitale e cartaceo, il titolo è: “Come cambia la curiosità, dai libri per ragazzi alle app, così i bambini sono meno liberi“. Secondo l’autore i bambini che leggono su tablet sarebbero meno liberi per due ragioni fondamentali. La prima che a differenza del libro di carta, le app su tablet richiedono la supervisione degli adulti, la seconda perché le app su tablet sono più pericolose della televisione (!):


La “macchina” delle storie, che sia un tablet o smartphone, è ancora più fragile e più pericolosa della televisione, sulla cui valenza diseducativa si sono versati fiumi di inchiostro: è perennemente connessa, e ha un numero imprevedibile di funzioni. Le possibilità di errori di utilizzo, di chiamate indesiderate, di accesso a contenuti inappropriati o a piccoli shock sono quasi le stesse delle opportunità formative, almeno fino a quando non verranno diffusi tablet pensati appositamente per i bambini (ce ne sono già alcuni, come il Fable, ma non sono molto diffusi). Quando ero piccolo io curiosavo e imparavo da solo con la mia enciclopedia illustrata (e capisco solo ora quanto fosse una posizione privilegiata), di certo più “sicura” di una di queste meraviglie e, soprattutto, che sentivo totalmente “mia”.



Mentre la prima contestazione può avere un senso, la seconda è davvero tirata per i capelli: le app per bambini sono, nella grande maggioranza dei casi, ambienti pensati per stimolare curiosità e inventiva dei più piccoli, nulla a che fare con la TV, e sono, nella grande maggioranza dei casi, ambienti chiusi ai quali è impossibile applicare qualunque paranoia sul rischio legato a contenuti inappropriati.


L’altro messaggio forte dell’articolo è che le app per bambini stanno cannibalizzando la produzione e la vendita dei testi divulgativi cartacei. L’autore al riguardo non indica alcuna cifra ma due soli debolissimi accenni. Il fatto che in una libreria di Verona non si venda un libro divulgativo “da mesi” e la scomparsa della versione cartacea della Enciclopedia Britannica. Mentre la seconda certamente non è scomparsa per colpa dei tablet, il povero libraio veronese Claudio viene utilizzato, oltre che come pietra angolare statistica, anche come ideologo delle ragioni per cui i bambini oggi preferiscono (anche se non si sa in che misura) le app su tablet ai vecchi meravigliosi libri di carta:


Alla libreria Jolly di Verona, dove non si vende un libro di divulgazione da mesi, il titolare Claudio ha un’altra spiegazione: sono cambiati i genitori. Sono loro che preferiscono informarsi smanettando con gli smartphone. E i ragazzi, orfani di libri negli scaffali di casa, fanno altrettanto.



Colpa dei genitori quindi, intossicati come sono da smartphone e diavolerie simili.


L’articolo contiene una serie di altre interessate imprecisioni come questa:

Non è comunque un’impresa facile, perché, a differenza delle librerie specializzate, i vari “store” non possiedono aree dedicate ai bambini, e i giovani aspiranti enciclopedisti dovranno saltare di categoria in categoria, prima di trovare ciò che cercano.



Ovviamente non è vero, lo store di Apple, per citare solo il più utilizzato, ha una sezione intitolata “App per bambini”.


Così come i soliti millenarismi contro Wikipedia che non vale troppo la pena commentare:

Chi non crede in queste formule di apprendimento arricchito ricorda bene il periodo in cui sembrava indispensabile acquistare un’enciclopedia su dvd, tipo l’Encharta di Microsoft, un fallimento spazzato via dall’intuizione collaborativa di Wikipedia, il luogo dove ogni curiosità viene soddisfatta da un’informazione ridotta al suo minimo comun denominatore, l’errore è all’ordine del giorno e la responsabilità per l’errore del tutto trascurabile



Infine un ultimo appunto rivolto all’autore ma anche al giornale che ne ha pubblicato l’articolo. L’autore del pezzo è Pierdomenico Baccalario, scrittore di libri per ragazzi (a meno che la voce Wikipedia non sia come al solito in errore), momentaneamente in incognito sulle pagine di Repubblica a spiegarci come mai i libri per ragazzi di carta sono meglio dei libri per ragazzi in formato digitale. Specificarlo da qualche parte non sarebbe stato male.

26 commenti a “Il buon vecchio odore della muffa”

  1. Sato dice:

    Caro Pierdomenico Baccalà(rio), Microsoft non ha mai commercializzato un’enciclopedia che si chiamasse “Encharta”. Fact checking, anche sulle cose elementari, sempre prossimo allo zero (0). La divulgazione delle stupidaggini e dei sensazionalismi, delle imprecisioni e degli scenari apocalittici, esattamente quella che piace a Repubblica.

  2. mORA dice:

    1) c’è un cosa vera nel fatto che i bambini siano meno liberi sui liberi digitali: non possono strappare le pagine né scarabocchiarle. Sembrerebbe un fatto positivo, ma non lo è. Intanto perché la creatività passa spesso per la modifica, la rottura, la dissezione; poi perché colorare (anche a modo loro) una pagina fatta da altri, la fa sentire più “propria”.
    Qualcuno mi dirà che “there’s an app for that” e no, non c’entra nulla. È proprio il fare le cose giuste al posto sbagliato (e non quelle giuste al posto giusto) che è una forma di creatività.

    2) Amazon dice che si vendono più copie digitali che cartaceee dei titoli dei quali sono disponibili entrambe. Mi sembra un’ottima notizia. Credo sia inutile che mi citi in merito alla libertà generale che riguarda DRM ed e-Book, ma sono fiducioso che questi moriranno schiacciati dal peso del mercato.
    Dev’esserci un mercato perima, però

    3) Sul fatto che l’autore scriva in palese conflitto di interessi sui giornali, ho dei brillanti esempi

    http://edue.wordpress.com/2010/10/15/distrattorama%E2%84%A2-fattate-anno-i-vol-7/
    http://edue.wordpress.com/2010/09/26/adesso-basta-fattate-anno-i-vol-v/

    http://edue.wordpress.com/2012/07/26/lapo-cum-in-galliam-venit/

  3. trentasei dice:

    il punto 1) di mORA è il punto più interessante dell’ articolo e del post. Condivido in pieno il punto 1) e la libertà totale che si ha difronte a un pezzo di carta, e non la libertà “negli schemi preimpostati”.

    per il resto le considerazioni dell’articolo son risibili, ma mi stupisce più che tu ti stupisca ancora degli articoli beceri di Repu.it.

  4. vittomandu dice:

    Francamente tutta questa ostilità verso le “diavolerie digitali” mi sembra assurda. Quando mai il problema sta nel mezzo?
    Sia io, sia la mia ex moglie siamo lettori piuttosto assidui: libri fisici, libri digitali, quotidiani, riviste, blog, ecc. Ancora, entrambi lavoriamo principalmente con il computer e abbiamo uno smartphone.
    Abbiamo due figli, di 12 e 10 anni. Non ci siamo mai posti il problema “Dobbiamo farli leggere”: semplicemente, ad un certo punto, hanno iniziato a farlo. Né ci siamo posti tanti problemi circa computer e le altre diavolerie: entrambi hanno un loro computer, il più grande anche un iPad.
    Questo non ha impedito ad entrambi di essere grandi lettori, delle cose più disparate; di provare piacere a prendere un foglio di carta e disegnare; di giocare a lungo con giochi al computer, a pallone, a nascondino, di andare con i pattini, in bicicletta, di nuotare, addirittura di provare l’hockey su ghiaccio (non nascondo che l’averlo abbandonato non mi dispiaccia, portarli era una vera faticaccia).
    Infine il più grande, qualche giorno fa, mi ha chiesto di spiegargli bene come funziona Word perché ha iniziato a scrivere un libro e vuole impaginarlo per bene (se riesco, con molta calma, cercherò di fargli vedere che forse si può fare quaclosa di più con InDesign…).
    Ok, a parte l'(in)evitabile auto-celebrazione, non sarà che il problema stia nelle persone e nell’uso che fanno del mezzo diabolico?
    E non è probabile che i libri illustrati siano in calo perché molti di questi siano oggettivamente brutti? Brutto per brutto, almeno su un iCoso c’è un minimo di interattività, qualche minuto di divertimento in più ce l’hai.

  5. Wilson dice:

    Credo si possa avere un po’ di comprensione per l’autore: ha avuto un’infanzia segnata da un’enciclopedia, è difficile riprendersi.
    ps: le enciclopedie sono la negazione del pensiero, contengono un sacco di dati, accuratamente depurati dai contesti che li rendono importanti.

  6. Adriano dice:

    @vittomandu
    Quando mai il problema sta nel mezzo, dici: fa piacere vedere che esistono ancora “buoni selvaggi”, che vivono nell’illusione della pura neutralità dei mezzi. Ma vabbè, c’è gente che si ostina ancora a credere a illusioni inventate più di duemila anni fa, per fingere di avere un controllo sulla natura… è superfluo far notare dettagli tanto banali, come la considerazione che qualsiasi mezzo ti ha già cambiato, prima ancora che tu abbia deciso se usarlo o meno.
    Continua pure a vivere nel tuo mondo chiuso fatto di iCosi luccicanti e neutrali: gli uccelli nati e cresciuti in gabbia tendono a fare una brutta fine, quando escono.

  7. Giulio Mozzi dice:

    L’ultima tua osservazione, Massimo, è debole. Pierdomenico Baccalario è un autore molto noto (o almeno sufficientemente noto) perché sia superfluo (o almeno perché sia ragionevolmente possibile pensare che sia superfluo) spiegare chi è. Gli esempi portati da mORA al punto 3, in quanto autopromozionali, non sono pertinenti.

    Posso testimoniare di aver visto vendere, non più di dieci giorni fa, un paio di libri di divulgazione per bambini: a Padova, presso la Libreria dei ragazzi di via Manin.

    Condivido anch’io il punto 1 di mORA. Ma mi pare che sia piuttosto una questione di dosi. (Fin da piccolissimo mi fu insegnato che certi libri erano pasticciabili, e altri no. I cataloghi della Vestro erano ritagliabili, i libri di biologia di mio padre no. Ecc.).

  8. massimo mantellini dice:

    Giulio non mi pare così debole: il fatto che io non l’abbia mai sentito nominare è certo poco rilevante (in ogni caso più rilevante del fatto che tu da addetto ai lavori lo conosca) ma visto che esiste un minimo, evidente conflitto di interessi forse Baccalario avrebbe potuto dedicargli una riga. Certamente, indipendentemente da questo, Repubblica avrebbe dovuto segnalarlo ai tantissimi (facciamo 8 su 10?) che leggono il pezzo e non conoscono l’autore

  9. ArgiaSbolenfi dice:

    In effetti il punto 1 di Mora si complementa bene con la considerazione che anche avere cura dei propri averi, siano pure dei giornalini, ha la sua valenza educativa. Concetto ovviamente non trasferibile nel mondo digitale. Comunque sono polemiche inutili, credo che chiunque dotato di buon senso e buona saprà può trovare il modo giusto per crescere qualcuno sia nel mondo reale che in quello digitale.

  10. vittomandu dice:

    @Adriano
    Mi spiace, ma non hai colto il senso del mio pensiero.
    Non ho alcun dubbio sul fatto che mezzo cambia il mio modo di essere e di comunicare. E la cosa non mi spaventa.
    Quel che voglio dire è che è sbagliato incolpare un iCoso se uno non legge. Pensi che ora potremmo parlare a distanza, senza sapere nulla l’uno dell’altro, se non esistessero i computer e internet?
    Nel 1494 Trithemius scrisse: “La calligrafia su pergamena può durare migliaia di anni. Ma quanto durerà la stampa su carta? Forse due secoli. E difficilmente sarà bella.” A suo modo aveva ragione: quanto poteva apparire brutto il libro a chi era abituato ai codici miniati? Eppure oggi veneriamo il libro e ce la prendiamo con e-book, app e similari. E sì, sono molto grato al mio luccicante iCoso perché è bello, mi permette di fare cose che prima non potevo fare, di stare in contatto con un mio amico in Brasile che non vedo fisicamente da diversi anni, sono informato su come sta andando la sua vita, ho visto le foto dei suoi figli e quando riusciamo ci sentiamo via Skype. Così come ho appena organizzato un pomeriggio in spiaggia con i miei amici via Whatsapp. Sono certo che questo ti farà pensare che la mia gabbia sia ancora più “pesante” ma a me sembra più pesante il tuo pensiero.

  11. mORA dice:

    @Giulio Mozzi

    Abbi pazienza, ma non vedo l’autopromozione.

    Non ho pubblicità sul blog e non faccio il blogger di professione; il web (anche, perfino quello 2.0 – ieri Assante ha detto 3.0o-vvero-mobàil) è link. Se invece che copiare e incollare quello che ho scritto da me, ti ci rimando, è per sfruttare appieno il mezzo ed accorciare il mio intervento.

    Tra l’altro, poi, ho premesso

    Sul fatto che l’autore scriva in palese conflitto di interessi sui giornali, ho dei brillanti esempi

    .

    D’altro canto, in senso lato, non credo che tu tenga Vibrisse per autodenigrazione o per finire nell’oblio, no?! ;)

    Nel merito, poi, quei link dimostrano che è tutt’altro che infrequente che un autore scriva di sé stesso, arrivando persino al paradosso della terza persona. Siccome mi accade spesso di leggere delle affermazioni basate sul nulla, sarà deformazione professionale, ma laddove posso cito la fonte.

    È chiaro che se la fonte l’ho nel mio controllo mi è più facile risalirci.

  12. Claudio (un altro) dice:

    Ma quante storie il mondo si evolve, cambia, muta, si trasforma in qualcosa di nuovo ogni giorno.

    Stessa cosa per quanto riguarda gli aspetti pedagogici.

    Tanto rumore per nulla.

  13. Carlo M dice:

    mantellini, poche volte ho letto una sintesi approssimativa e fuorviante come quella che ha fatto lei dell’articolo in questione.

    baccalario non critica affatto il mondo delle app per bambini. al contrario, lamenta lo scarso sviluppo del settore in italia: “le app divulgative per ragazzi sono un fenomeno in forte crescita, all’estero più che in italia, dove la disponibilità di scelta è sconsolante”. più avanti l’autore, citando un esperimento, mette in evidenza che “non solo ai bambini i libri elettronici piacciono più di quelli tradizionali, ma anche che ne ricordano meglio i contenuti e sono più rapidi a rispondere alle domande di comprensione testuale. i piccolissimi (3-5 anni), imparano più velocemente a riconoscere suoni e parole, rispetto ai libri letti a voce alta da un adulto”.

    poi ovviamente baccalario esprime i suoi dubbi, ma lo fa senza seguire alcun teorema di condanna a priori del settore delle app per l’infanzia.

    riguardo a wikipedia, baccalario innanzi tutto riconosce pienamente come la sua intuizione collaborativa abbia spazzato via le enciclopedie su dvd (ovvero la elogia); quindi fa un accenno a un problema – quello della banalizzazione, dei numerosi errori, e delle imprecisioni presenti nelle voci di wikipedia (soprattutto quella italiana) – sul quale in molti hanno riflettuto, anche di recente, compresi noti giornalisti attivi nella rete, gli ideatori stessi di wikipedia, e coloro che la gestiscono quotidianamente.

    riguardo infine alla “macchina” delle storie, è evidente che baccalario non si riferisce alla app in sé, ma al supporto sul quale la app gira (il tablet, il telefono o il computer). secondo baccalario non sono le applicazioni a essere pericolose (ovviamente), ma il pericolo sta nel fatto che il bambino, se non controllato da un genitore, può inavvertitamente chiudere la sua bella app, che ha magari come personaggio biancaneve, per ritrovarsi con un semplice copia e incolla sulla pagina di youporn dedicata a una tal biancaneve… tanto per fare un esempio banale. il fatto che una app sia “un ambiente pensato per stimolare la curiosità e l’inventiva dei più piccoli” non elimina affatto questo rischio.

    se si vuole riassumere un articolo bisognerebbe cercare di essere obiettivi nel riportarne i contenuti, e non citare solo le frasi che fanno comodo, rigirandole come fanno comodo, per soddisfare la propria ossessione di accerchiamento da parte del brutto e cattivo mondo della lobby dei libri cartacei.

  14. Alex dice:

    Ma sulle vostre enciclopedie che leggevate da bambini non c’era tutta la parte sul sesso che c’era su quelle che leggevo io?

  15. Carlo M dice:

    prendo atto che i commenti non allineati vengono cestinati.

  16. massimo mantellini dice:

    @Carlo M i commenti non allineati, come sai, vengono sempre pubblicati (tranne quando il tenutario è a guardare le olimpiadi e il filtro antispam no)

  17. Dino Sani dice:

    Sui commenti non allineati posso confermare che vengono pubblicati, ne ho fatti diversi… In questo caso però ritrovo il Mantellini che preferisco leggere, lo smantellatore dei pregiudizi sulle pratiche del digitale,che giornali ormai defunti come repubblica e corriere, ogni giorno non mancano mai di attaccare con una continuità di disinformazione piuttosto sospetta.
    In questo caso il conflitto d’interesse è, scusate il gioco di parole, interessante, perchè mette in luce l’incapacità degli intellettuali italiani ad aggiornarsi ai cambiamenti linguistici che il digitale impone. E invece di pensare a come scrivere un app per bambini ecco che il raccontastorie gli spara contro. Mi ricorda tanto l’attacco di Paolo Sorrentino, il regista, contro Twitter. E a voi?

  18. Carlo M dice:

    va bene, prendo atto che stavi guardando le olimpiadi, e ritiro la protesta.
    però insisto (anche in risposta a dino sani): non mi sembra proprio che baccalario spari contro le app per bambini. la sua è una critica ragionata, e sarebbe consigliabile ragionarci su, invece di abbandonarsi alla consueta levata di scudi.

  19. Dino Sani dice:

    @Carlo. In parte hai ragione, ma nel senso che l’articolo è apparentemente innocuo. Ma titolo e alcune “perle”che Mantellini ha evidenziato, segnalano una direzione piuttosto “terroristica” dell’articolo, forse anche indipendentemente dalle intenzioni dell’autore.
    Intitolare “cosi i bambini sono meno liberi” parlando di App mi ricorda tanto gli articoli degli anni Ottanta contro gli UFO Robot.
    Dove sta la levata di scudi? Repubblica da tempo fa articoli contro il web, il digitale, gli ebook, i tablet, ecc.. Eppure sono tra i primi ad esserci presenti. Hanno paura? O sono “ordini dall’alto”alle “povere” redazioni web?

  20. Gabriele dice:

    Dal titolo dell’ articolo di Baccalario fino alla patetica storia del libraio triste, ho trovato che ci fossero le solite parole inutili contro il digitale e pro vecchi libri. I miei figli vivono in una casa colma di libri di carta, li leggono senza pensare di poterci scrivere sopra (così come non scrivono sui muri) e usano il tablet per giocare, andare su youtube e leggere fumetti o libri interi. Con lo stesso piacere con cui giocano con i mattoncini colorati o con le bambole. Si chiama evoluzione/rivoluzione. Non fine del mondo. Trasformazione. Miglioramento. Cambiamento.
    Viviamo sopra ad una libreria e di fronte ad un negozio con la mela sulle vetrine. Andiamo in entrambi senza problemi. Che sia perché ragioniamo invece di prepararci all’ Apocalisse?

  21. Giulio Mozzi dice:

    mORA, c’è un equivoco.

    Nel tuo primo intervento rinvii a tre articoli, apparsi in quotidiani diversi, evidentemente autopromozionali. Agnelli “vende” l’F12, Perotti “vende” il suo libro, Luttazzi “vende” il suo almanacco.
    L’articolo di Baccalario del quale qui si parla non “vende” i libri di Baccalario. Li “vende” così poco che Mantellini ha dovuto guardare l’enciclopedia – se ho capito bene – per sapere chi è Baccalario.
    Quindi i tre articoli da te citati sono di natura assai diversa da quello qui discusso. Per questo ho scritto: “Gli esempi portati da mORA al punto 3, in quanto autopromozionali, non sono pertinenti”.

    Sono riuscito a spiegarmi?

  22. mORA dice:

    @Giulio

    Sì, ho frainteso quello che hai scritto.

  23. stefano nicoletti dice:

    Anch’io come altri non trovo scandaloso quanto scritto da Baccalario.
    In più, aggiungo che il valore complessivo del “libro di carta” dipende solo da ciò che ci è stampato sopra. Giusto il contrario del tablet.
    Anche questo, visto che si tratta di bambini (che tra le altre cose, sperabilmente, dovrebbero acquisire anche una scala di valori), dovrebbe avere un peso nella discussione.
    Saluti.

  24. Gianmarco dice:

    Dissertazioni inutili: che dicano quello che vogliono, ormai il tablet c’è. I miei due figli (di 7 e 10 anni), in questo momento stanno smanettando su l’Ipad (mio). Sono passati da un giochino a un libro interattivo, a Timbuktu. Entrambi leggono libri cartacei, riempendo il comodino. La più grande non ne legge pochi: un paio a settimana. Venerdì scorso ha iniziato Tom Sawyer e stasera lo finisce. Sono bimbi normali che hanno il culo di avere gli stessi mezzi che avevamo noi (giornalini, libri, enciclopedie cartacee) e altri che negli anni settanta neanche gli autori di fantascienza immaginavano. Sta menata tra cartaceo e digitale mi sa tanto di invidia….

  25. stefano nicoletti dice:

    Invidia, è vero, sta tutto in quello.
    Invidia per qualcosa reso necessario, di moda, dalle campagne di diversificazione di prodotto di una multinazionale elettronica.
    Prodotto che, se domani non fosse più profittevole, scomparirebbe.

    Destino che il libro di carta non ha mai subito, in quanto supporto e non mezzo.

  26. Andrea dice:

    Si chiamerebbe full disclosure. In Italia i giornali non sanno manco cosa sia e sinceramente trovo che sia una carenza più grave della deriva dei boxini delle boiate (ma in fondo ad essa collegata, in qualche modo. Prodromo impunito, disabitudine interessata.