The problem isn’t anonymity; it’s accountability. If someone isn’t accountable, then knowing his name doesn’t help. If you have someone who is completely anonymous, yet just as completely accountable, then — heck, just call him Fred.
13
Gen
Su Wired c’e’ un bellissimo pezzo di Bruce Schneier sulle ragioni della importanza dell’anonimato in rete. Da leggere.
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Gennaio 13th, 2006 at 03:31
Grazie per il post, non avevo letto l'articolo, che ritengo estremamente importante. Solitamente diamo giustamente importanza alla privacy e alla possibilità di essere vittima di spammer, ma sottovalutiamo un grosso problema che alcuni anni fa Nicholas Negroponte aveva definito la costruzione del digital self ovvero l'insieme delle informazioni surrettiziamente raccolte in rete e organizzate in modo da costruire un'identità sulle diverse persone per fini differenti grazie alle tracce che lasciamo quando postiamo in un blog, partecipiamo ad una discussione o in un newsgroup ecc. Accountability, vuol dire proprio questo, in fin dei conti possiamo essere presenti in rete anche come pippo@provider.it, ne avevo scritto su Web Marketing Tools più di cinque anni fa.
Gennaio 13th, 2006 at 15:26
Ciao Massimo, a proposito di anonimato, sono io quello che ha acquistato l'ultimo pixel sul sito Milliondollarhomepage :-). Cosa pensi di questa idea geniale? non quella di Alex Tew che è scontata, ma di quella mia :-). Ti invito gentilmente a leggerla, sicuro che l'apprezzerai in toto. La trovi qui
http://virtualblog.splinder.com/post/6839699
ciao e grazie.
Gennaio 13th, 2006 at 15:33
Citare negroponte sulle identita' on line non e' affatto appropriato. Ci sono fior di studi sul digital self, da turkle in poi, con cui negroponte c'entra come i cavoli a merenda.
E non per nulla non ho mai letto Wmt, un fogliaccio di alte pretese ma scritto da markettari inesperti e per di piu' venduto a peso d'oro (e infatti fallito, anche se non pagava manco i collaboratori)…
Dato il contesto in cui schneier inserisce le sue riflessioni, pero', mi pare piu' pertinente parlare di reputazione e di attendibilita', non di digital self. Laonde, semmai riprenderei gillmor, che tutti citano – molto a piacere e spesso a sproposito – per magnificare il citizen journalism, ma che in realta' ha esaminato anche questo problema. E non lo ha risolto, neppure in teoria, pur proponendo l'uso di nomi e cognomi reali, preferibilmente associati a un curriculum; figurati un po' come diventa poco gestibile la situazione se uno si firma gigi', o chesso', bigiorgio…
;-)
Personalmente, credo che i tempi dei nick di battaglia in Rete siano finiti, piu' o meno quando sono finiti i Bbs. Si usano ancora in chat o in situazioni in cui si comunica tra pochi intimi, per gioco, ma per il resto sono soltanto ridicoli e infantili, buoni giusto per gli smanettoni "wannabe hacker".
Il gioco dei nick e' poco sensato non solo per i problemi legati all'attendibilita', ma anche perche' sempre piu' spesso, oggi, l'on line e l'off line si incrociano e si incontrano. Cosa che del resto accadeva gia' in tempi preistorici: anche nei primi anni '90, alla filosofia un po' da sottosuolo dei Bbs si affiancava l'Internet 'adulta' dei ricercatori, dove tutti mettevano in signature nome, cognome, qualifica e numero di telefono dell'ufficio. E che fai, se ti incontri di persona? Ti chiami con il nome del blog, o con il nick di icq, senza dire chi sei e senza specificare che sei un radiologo, o che di informatica conosci solo outlook e word? Ma andiamo….
;-)
Al di la' di ogni altra considerazione: fatte salve le cosiddette situazioni stigmatizzabili, dove l'anonimato e' utilissimo e va difeso, o attente operazioni mediatiche, come Blisset ed eredi, in tutti gli altri casi, a che serve nascondersi?
Ciao, Fabio.
Gennaio 13th, 2006 at 16:58
Metitieri torna nelle chat ad insidiare le ragazzine :)
Gennaio 13th, 2006 at 17:22
Metitieri legge qualche libro qua e la, ma come al solito fa una grande confusione e mette tutto in un calderone. Le problematiche sono ben distinte una è quella relativa alla navigazione in animato per chi lo desidera, per il fatto che le sue scelte di navigazione non vengano rese pubbliche, il secondo problema è relativo al digital self di cui si parlava, il terzo problema è quello della credibilità /attendibilità , il quarto quella della certezza di identità . I piani sono differenti anche se molto spesso si intersecano anche quando riguardano cose che apparentemente sono antitetiche, ma che sono le diverse facce dello stesso problema. Le riflessioni vanno quindi fatte considerando di volta in volta tutti gli elementi. Non per nulla è cosi attuale il dibattito sull'identità in rete.
Gennaio 13th, 2006 at 20:12
Woowww… che solide e profonde argomentazioni, goetz. Come sempre.
Be', io almeno un po' di libri li leggo (e li scrivo e li vendo anche), mentre tu sei rimasto fermo a Being digital, di cui probabilmente hai scorso soltanto qualche vecchia recensione… E in chat non ci sono solo le ragazzine, anche su questo aggiornati.
;-)
Comunque, sei tu che stai facendo una grande zuppa, di nuovo. Il digital self qui c'entra poco, te l'ho gia' detto. Anche di identita' certa, mi pare, quel pezzo non parla. Questi due temi, btw, sono poco correlati tra loro o con gli altri due che vengono invece affrontati.
Le uniche due cose in discussione in quel pezzo (ma lo hai letto, o fai come con i commenti qui, che skimmi, non ne capisci nulla, e quindi intervieni a cappella pur di scrivere qualcosa?) sono se sia possibile mantenere l'anonimato, almeno relativo o 'pseudo' (cosa che secondo me non e' quasi mai necessaria) e contemporaneamente avere un'attendibilita'. E qui si', c'e' una correlazione. Stop, l'argomento e' circoscritto a questo.
Di', ma al liceo, i temi, intendo con un soggetto preciso da seguire, senza menare il can per l'aia, non te li davano mai da fare? Perche' cambiar discorso e confondere le acque puo' essere una buona tecnica in marketting e in politica, ma in altri campi funziona male, soprattutto on line.
Buffo, tra l'altro, che tu difenda l'anonimato sociale (se cosi' si puo' chiamare quello che predica schneier nel suo articolo). Mi ricordo polemiche passate su Mlist (molto passate, direi verso il 1997, forse era ancora Imli e non Mlist) dove diversi markettari (sinceramente non ricordo chi, o se c'eravate gia' anche tu, meyer, ecc.) mi avevano lapidato perche' sostenevo (unico, come sempre) che alle tesserine di fedelta' dei supermercati era meglio associare dei dati anagrafici falsi.
Ciao, Fabio.
Gennaio 14th, 2006 at 03:19
Esaminare i temi dell'anonimato senza analizzare gli altri di cui facevo riferimento vuol dire non comprendere la portata del problema. Sono oltre dieci anni che mi occupo di problematiche legate al trust in rete e ho compreso che affrontare i temi per compartimenti stagni significa avere una visione riduttiva. Dopo aver letto singoli contributi, oggi sono più interessato a chi ha un approccio olistico al problema (più ampio) del trust in rete (che annovera le diverse dimensioni di cui stiamo parlando). E' interessante l'analisi di Barbara Misztal che ha compiuto un interessante lavoro di sintesi sulle diverse teorie del trust. Trust vuol dire identità , security, usabilità , privacy, credibilita ecc ma in una visione complessa.
Quanto alla credibilità in rete, visto che la sto studiando, mi sono reso conto quanto nelle discussioni pubbliche, conti più che la competenza specifica, la capacità di ascolto e quella di relazionarsi con gli altri. Tu Fabio hai enormi problemi di relazione, spari a zero su tutto e tutti, denigri tutte le testate, tranne quelle per cui scrivi tu, partecipi alle discussioni in chiave polemica. Tanto che ad esempio il tenutario di questo blog e tanti altri hanno rinunciato a replicare ai tuoi interventi che vengono tollerati.
Credi davvero di essere credibile? Credi che la quantità di articoli letti e scritti siano il parametro di giudizio delle persone? (Dimenticavo tra le dimensioni del trust e della credibilità in rete c'è anche l'empatia.) Se il blog è un interessante strumento di confronto, spiegaci una volta per tutte, a cosa servono gli atteggiamenti infantili del io c'è l'ho più grosso? Voi non capite un cazzo. Visto che non sei un cretino, perchè non partecipi costruttivamente ai dibattiti in corso, anche in modo deciso e controverso, ma sempre dialetticamente utile. A che cosa servono gli attacchi strumentali e le vis polemiche? In passato anche recentissimo (il mio penultimo post) mi sono lasciato andare, ho accettato le tue provocazioni e ho prodotto solo rumore per gli altri fruitori di questo blog. Ho fatto male. Non intendo farlo più. Spero di riuscire a far fede al mio impegno. Come qualcuno ha fatto giustamente notare, per i monologhi ed i dialoghi sono altri gli spazi più appropriati. Infine quanto al discorso delle carte fedeltà e più in generale sui temi dell'eccesso di marketing nella vita delle persone, credo che il mio punto di vista sia chiaro, basta andare sul mio blog. Buon Week End a tutti
Gennaio 14th, 2006 at 12:45
Goetz, l'approccio olistico spiegalo alla Liberty alliance, per esempio.
E per criticare il mio modo di discutere, troppo basato su attacchi personali (ma quando mai?), fai una sbrodolata lunghissima di attacco personale a me e alla mia credibilita'?
;-D
Anyway, a me non interessa essere credibile, qui, anche se per i piu' lo sono.
Ciao, Fabio.
Gennaio 15th, 2006 at 05:07
Vorrei segnalare questo interessante studio del MIT su privacy e accountability nei blog.
http://jcmc.indiana.edu/vol10/issue3/viegas.html