I nomi. Vogliamo i nomi. Una frase che sentiamo ripetere spesso. Una richiesta pressante, quasi un’ingiunzione. Se non ci darete i nomi, voi che li conoscete, sarete anche voi collusi, sapremo da che parte state.

Gli articoli sulla stampa che ogni giorno indicano i nomi degli indagati o quelli degli arrestati, i pettegolezzi nei corridoi dei palazzi di giustizia, le soffiate della parte avversa sulle malefatte di questo o di quello, tutti questi nomi fanno parte di una recente ingiunzione mediatica. Fate i nomi, dunque! Un’esigenza a volte indiscutibile (pensate a Cucchi o a Regeni), altre volte intenzionale (affossare l’avversario), altre volte ancora, forse la maggioranza dei casi, riconducibile a quella bassa portineria che secondo alcuni consente di vendere ancora per un po’ le parole inchiostrate dei giornali.

I nomi sono importanti perché sono l’ingrediente principale di qualsiasi gogna mediatica, nessuna notizia senza il nome (e la foto e il profilo Facebook ecc) di Barabba è interessante. Perché la ricerca del colpevole è un hobby che non può essere declinato contro ignoti. dateci un nome, magari anche uno sbagliato, dateci una foto nella quale scovare gli abissi dell’assassino.

In certi casi i nomi sono importanti anche in senso opposto. Quando serve un eroe da incensare per 5 minuti, quando la storia personale, l’iperbiografismo di chiunque che è già ora disponibile in rete a dispoisizone della bulimia dei media, costruisce la storia, la arricchisce e la rende interessante.

Non potrei essere meno d’accordo con quanto Michele Serra scrive oggi a proposito della pubblicazione dei nomi dei poliziotti che hanno ucciso il terrorista di Berlino durante un controllo di routine a Sesto San Giovanni. Serra parla di nuova normalità:


“Più banalmente: il nemico mortale del terrorismo è la normalità. L’assoluta normalità (anche di mansioni) di quei poliziotti è esemplare. La scelta di avere volto e nome ne fa parte.”


L’ostensione dei loro nomi e delle loro foto è il riflesso contrario dell’usuale richiesta: vogliamo i nomi. Non è stata scelta dai due poliziotti quell’improvvisa notorietà: è stata spinta da dietro, dalla propaganda provinciale dello Stato che ha visto nell’episodio di Sesto San Giovanni un’ottima possibilità per fare il marketing di sé stesso, a partire dai soliti tweet esaltanti del Ministro Alfano. È una gogna al contrario che sfugge, come negli altri casi, al controllo degli interessati. E che appena vengono scoperte piccole (o grandi) crepe nella costruzione del racconto (le simpatie fasciste dei due eroi ostentate sulle loro pagine social), fa chiedere a gran voce al questore di “oscurare” le loro pagine in rete a tutela della loro sicurezza.

Nulla di tutto questo è normale.

3 commenti a “Vogliamo i nomi”

  1. ale dice:

    io al di la dei tuoi ragionamenti, che condivido, non capisco perche’ si voglia, a differenza di altre volte, creare in questo caso un eroe, da anteporre al terrorista, con la stessa esatta mentalita’ di quest’ultimi, mettendo la foto e il nome nei giornali, un eroe antimartire loro

    personalmente credo che ora lui e tutta la sua famiglia possa essere in pericolo
    ma il punto che mi spaventa di piu e’ che ora a questi psicopatici terroristi si e’ aperta un’autostrada per creare un conflitto su una scala piu’ profonda
    mbo saro’ io

  2. Bruno Anastasi dice:

    condivido al 100% l’editoriale di M.M., perfetto; mi sento comunque di ringraziare i due agenti per l’eccellente lavoro svolto e sono felice che entrambi siano usciti (quasi) illesi dal pericolosissimo confronto con il terrorista; avrei preferito che fosse catturato vivo, ma so contentarmi; sulle fregnacce scritte da due ragazzotti nelle rispettive pagine facebook al momento si può sorvolare; un abbraccio e buone feste a tutti

  3. Arturo dice:

    Non ho capito perché mettere l faccia del figlio di Poletti invece sia normale. Boh, mistero.