La recente ampia discussione su AI e copyright non è altro che la versione attuale di un vecchio problema. I detentori dei diritti rivendicano l’originalità del proprio lavoro e le norme commerciali che ne regolano l’utilizzo. Dicono – insomma – che Chat GPT e i suoi fratelli non possono leggere un libro di Jonathan Franzen per poi trarne un nuovo libro che gli somigli.

È un problema vecchio e ogni volta chi lo solleva si dimentica dell’ovvio: tutto quello che chiamiamo creatività non è la scintilla scaturita dal nulla ma un’inevitabile rielaborazione – talvolta geniale altre volte meno – di tutto quello che c’era prima. Il risultato di quello che l’artista ha visto, letto e ascoltato. Il confine fra creazione e citazione è per questo ogni volta labilissimo, ogni volta il creatore (lo scrittore il musicista il pittore ecc.) rivendicherà il ruolo marginale di quella che definirà “influenza”, ogni volta provando a farci un’idea al riguardo entreremo in uno spazio discrezionale molto ampio. Disney cita Hugo o lo copia spudoratamente senza nemmeno citarlo? Chat GPT cannibalizza Franzen o lo utilizza per creare un nuovo prodotto del tutto differente?

La (grande) novità è che oggi le opere derivate le produce una macchina, con la potenza di fuoco che hanno le macchine e quindi dentro economie di scala del tutto nuove. Lo stesso fenomeno accade però da secoli, forse dai tempi di Dickens, anche se ovviamente in misura ridotta. L’ulteriore complicazione risiede nel guadagno atteso: l’imitatore di Franzen non è uno scrittore che copiandolo gli porta via i lettori ma è un tizio sbucato dal nulla che guadagna in altra maniera e che mentre lo fa – come per un effetto collaterale – intacca (forse) gli incassi di Franzen.

Il mondo – in ogni caso – è già oggi pieno di romanzi simili a quelli di qualcun altro, ma non esisteva ancora una macchina che ne produce 100 al minuto. E questo preoccupa gli autori molto più dei loro imitatori in carne e ossa.

Mentre questo accade il problema principale, che è un tipico problema di “bassa risoluzione”, rimane sullo sfondo. La domanda che dovremmo farci è questa:

tutto questo crea una diminuzione del valore complessivo per la comunità?

Noi sappiamo già oggi che le copie godono di grande successo e che questo fenomeno negli ambienti digitali si acuisce ulteriormente. I romanzi di Franzen riscritti da ChatGPT nella loro ricaduta complessiva, che prescinde dagli interessi di Franzen stesso, peggiorano o migliorano il mondo?
Mentre tutti parlano dei loro soldi e dei loro meriti l’etica complessiva degli ambienti digitali – la qualità della società in cui viviamo, sembra non interessare a nessuno.

Detto in altre grossolane parole: ChatGPT ci rende più o meno stupidi di quello che oggi siamo? Se la risposta sarà “sì ci rende più stupidi” allora utilizziamo pure la scusa del copyright per limitarne gli effetti, se la risposta sarà “no non ci rende più stupidi, anzi” allora chissenefrega dello Statuto di Anna, del Copyright, delle case editrici e di Jonathan Franzen.

Il problema è che rispondere a una simile domanda non è per nulla facile.


Ho utilizzato per molti anni un account a pagamento Spotify. Prima avevamo un account familare analogo con Apple, poi per qualche motivo che ora non ricordo lo avevamo cambiato. Avendo disdetto Spotify Premium qualche settimana fa, dopo aver ricevuto una serie di usuali mail imploranti che mi suggerivano di ripensarci, oggi ho combattuto per qualche decina di minuti (combattuto è esagerato, diciamo che ci siamo scambiati dei buffetti) con la versione free di Spotify, quella con la pubblicità. quella che in teoria dovrebbe convincermi a passare alla versione a pagamento. I meccanismi ideati per convincermi a pagare sono molti e non si limitano all’ascolto di qualche spot pubblicitario o all’ascolto casuale dei brani del disco prescelto o al numero limitato di skip possibili. Quello per me più fastidioso è l’imposizione di brani suggeriti dall’algoritmo. Così oggi per caso mentre cercavo di ascoltare l’ultimo lavoro di Capossela, ho scoperto che esiste un gruppo che si chiama Sick Tamburo. Spotify desiderava intensamente che li ascoltassi.

L’aspetto forse interessante è che in conseguenza di tutte queste limitazioni se mai domani decidessi di ritornare alla versione a pagamento di una piattaforma musicale ne sceglierei una qualsiasi a patto che non sia Spotify. Chissà se lo hanno considerato (forse sì).




Ho chiesto a mia moglie se potevo comprare un metal detector per andare a passeggiare in novembre in spiaggia alla ricerca di tesori nascosti sotto la sabbia. Mi ha detto di no.

11
Set

Molti nel frattempo sono inevitabilmente morti; molti altri sono diventati vecchi e non gli importa più granché. Moltissimi hanno sapientemente smesso di utilizzare i social network. Il risultato è che oggi quasi nessuno ha scritto dov’era e cosa faceva quell’undici settembre 2001 quando gli aerei colpirono le torri.





Allo scopo di far durare se stessa, si dice, la società dei consumi deve distruggere le cose durevoli. Non vi è più una scomparsa lenta ma una perdita violenta degli oggetti: ” il gusto acquisitivo e lo shopping costituiscono la premessa di una tale opera di distruzione di ciò che si è comprato” (Baudrillard 1976, 240).



Remo Bodei, La vita delle cose, Laterza 2009

Con tono vagamente indignato i media più seri (da loro stessi immaginati tali) danno la notizia delle reazioni infastidite del ministro paparazzato in spiaggia mentre abbraccia la moglie di lui molto più giovane e di lui incomparabilmente più carina. Per sottolineare la grave invasione della privacy e per necessario dovere di cronaca i media più seri accludono all’articolo le foto incriminate.

Per un qualche cortocircuito mentale associamo ogni volta il Superbonus 110% che ha mandato in crisi i conti dello Stato come era abbondantemente prevedibile, all’incompetenza e al populismo del M5S e del suo incomparabile capofila, Giuseppe Conte (politico improvvisato, uscito dal nulla, estratto dal cilindro dei manovrabili dal precedente governo M5S-Lega) e tutt’ora leader politico discretamente popolare. Eppure il Superbouns è stato varato nel decreto Rilancio dal governo Conte II, governo composto in parti uguali da M5S e PD. Il Ministro dell’Economia era, ai tempi, Roberto Gualtieri del PD. Per qualche ragione la responsabilità oggettiva del PD nell’affondare i conti del Paese viene in questi casi sempre un po’ dimenticata.

Spesso senti dire che ormai, al livello in cui siamo precipitati, la satira, la commedia e perfino la tragedia hanno perso buona parte del loro ruolo, travolte come sono dalla cronaca quotidiana. Rifiuti questa idea come una semplificazione, pensi alle mille straordinarie declinazione che la satira, la commedia e la tragedia hanno saputo immaginare nei secoli. Poi sale agli onori delle cronache un politico che si chiama Joe Formaggio.

Esattamente come dopo l’invasione dell’Ucraina è stato dato ampio spazio ad un tizio a caso che si spacciava esperto di geopolitica (mentre invece più banalmente era un signor nessuno che supportava le idee e le scelte dell’invasore) da giorni i giornali danno ampio spazio ad un militare che ha scritto un libretto dalle idee elementari e sciatte (ancorché usualmente reazionarie) interpellandolo su qualsiasi questione. Il ruolo dei media nel fiancheggiare l’ignoranza popolare immaginando che questo possa essere un modello di business è in Italia ormai talmente rodato da essere diventato un canone.




Sono capitato per caso sulla pagina Facebook di Matteo Salvini e non ho potuto non notare che i commenti ai post sono tutti adoranti e partecipi. Ovviamente resta il dubbio che simili commenti siano di persone reali ma l’effetto complessivo è davvero straniante. Uno dei politici più volgari fra quelli su piazza, che solleva in rete da sempre reazioni altrettanto volgari e becere, su Facebook ha oggi solo commentatori che lo stimano moltissimo. Di tutte le strategie che un personaggio pubblico può adottare con i commenti quella di presentare solo quelli positivi, disegnando un plebiscito inesistente, è forse la meno furba di tutte.