Sull’arroganza eventualmente si potrà lavorare. Esistono tecniche, molti trucchi del mestiere, a volte qualche farmaco. Essere arroganti non è solo un vizio, è anche una caratteristica molto opportuna in politica, tutti quelli che vogliono affermarsi dovrebbero possederne almeno un po’. Ma se non ci arrivi ecco in quel caso non c’è molto da fare. Se non ci arrivi è tutto molto più difficile e tu non sarai mai al sicuro. Se sei poco furbo – per dirla come va detta – non è che tu sia costretto a non fare politica ma dovresti accontentarti dei piani bassi, quelli nei quali la tua pochezza non salti troppo all’occhio. Fino a qualche anno fa il fesso assoluto non era mai giunto ai piani altissimi della politica nazionale. Ci era magari arrivato vicino, ma ragioni di forza maggiore lo avevano infine bloccato. Ora, da un po’ di tempo a questa parte, è tutto cambiato. Non è che questi siano tanto diversi dagli altri. Non è che siano maggiormente impreparati o altro. Alcuni partiti hanno semplicemente vinto troppo in fretta e si sono trovati come una tavola calda con carenza di personale nella serata della festa del paese, oppure i candidati sono stati accreditati con metodi inediti e autolesionistici. Il risultato finale è che oggi il poco furbo patentato, almeno da alcune legislature, per ragioni differenti ma tutte molto simili, è diventato ministro.

Così ora è un massacro, non tanto per questioni di intelligenza mancante in un posto dove ce ne sarebbe bisogno, quanto per meno sostanziali questioni di comunicazione. Al poco furbo che nemmeno ha ancora compreso bene cosa abbia detto o fatto di male sarà semplicissimo saltare alla gola e creare un caso mediatico, invocando e sottolineando i suoi inevitabili errori. La chiamano contrapposizione politica ma in realtà si tratta di una commedia fra poveri e poverissimi mentre lo spettatore, perfino lui ignaro delle sue colpe, osserva dal suo trespolo e scuote la testa.

21
Nov

Microsoft è una azienda tecnologica americana che negli ultimi decenni con il suo sistema operativo ha rovinato la vita a miliardi di persone in giro per il pianeta. Fattasi ricchissima e potente, avendo mancato, com’era nell’ordine delle cose, l’appuntamento con la svolta tecnologica dell’esplosione di Internet, ha acquistato e rovinato decine di geniali applicazioni, nell’illusione, particolarmente sperimentata negli ambienti dell’innovazione tecnologica, che i soldi comprino l’intelligenza. Accade invece di solito il contrario: quando il nuovo padrone applica la propria visione alle idee intelligenti di qualcun altro quelle più meno rapidamente si spengono. Ogni progetto tecnologico che riscuote per propri meriti grade successo ha una sua parabola discendente inevitabile molto difficile da gestire: quando un simile progetto viene acquistato da aziende come Microsoft la parabola discendente si accentua immediatamente. Le previsioni future sui rapporti fra Microsoft e ChatGPT sono già abbastanza scritte.


21
Nov

La ferocia di continuare a mettere in pagina per giorni e giorni un caso di femminicidio. Aggiungendo foto, interviste, particolari macabri, opinioni e commenti di chiunque, meglio se di persone orribili e disumane. Fingendo che tutto questo sia informazione. Che tutto questo sia umana comprensione e discesa in campo a fianco della vittima.

Di tutte le innovazioni possibili quella che in politica i pazienti psichiatrici emergessero e vincessero le elezioni, e non in piccoli stati sperduti in capo al mondo ma in nazioni gigantesche con decine di milioni di abitanti, era uno scenario davvero difficile da immaginare.

Qualsiasi problema, dal più stupido al più serio, potrà essere risolto con una legge. La solita allucinazione del martello e del chiodo in cui non si sa mai dove finisca l’ingenuità e inizi la malafede.


I suppose it is tempting, if the only tool you have is a hammer, to treat everything as if it were a nail. (da The Psychology of Science: A Reconnaissance, 1966, cap. 2)


Il pacchetto sicurezza che il governo Meloni ha presentato ieri è uno dei classici tic propagandistici della politica italiana. Avrei voluto scrivere “della destra italiana” ma l’evidenza dei fatti mi costringe ad allargare lo sguardo: tecniche analoghe, scorciatoie simili, sono state negli anni adottate da tutti, magari su altri temi ma sostanzialmente da tutti.

Il cittadino che legge la proposta di legge fa sì con la testa, la trova utile e ragionevole. Sibila un “finalmente”. Ovviamente gli illuminati commentatori (uno su tutti Mattia Feltri oggi su La Stampa) sono lì a segnalare le incongruenze e le miserie di simili proposte. Hanno ragione, ovviamente, ma il cittadino continuerà incurante a fare sì con la testa esattamente come qualche anno fa faceva sì con la testa al Salvini ossessionato dai migranti.

Il pacchetto sicurezza è propaganda, certo, purissima propaganda reazionaria, ma è anche, soprattutto, una scorciatoia delle più usuali. In un Paese in cui abbondano le leggi e in cui esiste una sostanziale incapacità pratica a farle rispettare, la soluzione politica breve e indolore è aggiungere nuove leggi, irrigidire quelle esistenti, aumentare le pene.

Il politico al governo sentirà così di aver fatto il proprio mestiere, se non tutto almeno tutto il possibile, e il Paese continuerà incurante ad andare alla deriva esattamente come prima. Il pacchetto sicurezza è un pacco. Esattamente come i precedenti.

Ogni singolo caso di cronaca nera potrà essere in qualche maniera avvolto da un alone di mistero. Il mistero – per ragioni in parte misteriose – segna oggi i nostri pensieri e le nostre conversazioni in maniera più persistente che in passato. Il mistero è uno dei più potenti motori dell’attenzione: paghiamo – questo da sempre – per esserne avvolti, perché qualcuno costruisca storie che lo utilizzino per intrattenerci. Il mistero dentro i romanzi – che fine ha fatto il visconte di Bragelonne nella sua campagna d’Africa? – è stato per secoli il risultato del talento dello scrittore; il mistero che avvolge i piccoli fatti di cronaca nostrana è invece, nella grande maggioranza dei casi, una semplice piccola forma di artistica adulterazione: la costruzione di una sovrastruttura su una storia vera che ne esce complicata ad arte per ragioni di puro intrattenimento. Il risultato finale di una simile elaborazione non è del tutto sovrapponibile. Fra inventare storie e adulterare storie esiste una qualche differenza. In ogni caso le prime sono abbastanza passate di moda, le seconde riempiono podcast e serie TV con la soddisfazione di tutti. Il marchio indelebile di “tratto da una storia vera” aggiunge dignità al racconto, aumenta l’attenzione del lettore. Felice e spaventato di vivere nello stesso identico mondo in cui simili fatti terribili accadono.




Che Beppe Grillo e il suo movimento politico abbiano peggiorato l’Italia non è un’opinione, è un dato di fatto. Un altro dato di fatto è che il ventre molle dell’Italia era lì ben felice e pronto a farsi peggiorare.

Nel momento in cui il linguaggio ed i gesti del comico sono traslocati dall’intrattenimento in teatro alla politica attiva il processo di imbarbarimento della politica, che era già silenziosamente in corso da tempo, è diventato palese. Anzi peggio: si è fatto orgogliosamente palese tanto che più di un commentatore ha scambiato una simile spazzatura populista per una forma di “innovazione”.

L’aspetto più rilevante di Grillo, del comico di successo Beppe Grillo paracadutato prima con grande entusiasmo poi suo malgrado in politica, non è stato tanto il suo abito reazionario (l’abito reazionario di Grillo è un altro dato di fatto, così come reazionario è il sentimento che accomuna moltissimi italiani fin da prima di Mussolini) quanto questa idea di suprema raffinazione del ruolo della politica in faccenda facilmente gestibile nel tinello della casa di ciascuno di noi. Il tinello di casa propria come rimedio per le ruberie e le indecenze della politica, nella presunzione che la mediocrità della classe politica fosse un semplice colpo di stato in cui i peggiori prendono il potere e non – al contrario – il risultato abbastanza esatto della qualità del nostro pensiero nelle nostre città, dentro i nostri tinelli.

Tutto questo equivocare, tutto questo sbagliare bersaglio potrà ovviamente essere spiegato con la medesima chiave dietrologica che lo stesso Grillo ci ha così tante volte proposto e cioè che la nascita dei Cinque Stelle sia stata non il risultato di un sogno di partecipazione democratica ma un’interpretazione inedita (e a questo punto da applausi per originalità ed efficenza) di scalata al potere da parte di un ristretto gruppo di persone, rapidamente (e opportunamente) circondatisi di una vasta platea di mezze calzette utili alla causa: la nascita di una nuova oligarchia spiegata ai moltissimi che ci hanno creduto in forma di nuovo movimento di liberi cittadini.

In ogni caso – comunque siano davvero andate le cose – non ci sono dubbi che Beppe Grillo abbia peggiorato l’Italia e non ci potrà essere di consolazione il fatto che – subito dopo di lui – altri impresentabili si siano fatti largo con metodi diversissimi ma per molti versi simili anche in nazioni con un tasso democratico storicamente meno compromesso del nostro.

Viene il sospetto che i tinelli del mondo in qualche maniera si somiglino tutti.


p.s. non ho visto l’intervista, ho solo letto il titolo, come ogni cittadino che si rispetti.

“Poi semplicemente se ne va, rinuncia, rifiuta, si tira fuori: non si fa più trovare. Ed è a sua volta curioso che la sparizione di Battisti diventi un topos del discorso sullo spettacolo italiano proprio durante gli anni Ottanta: cioè nel decennio dell’esteriorità assoluta, quando davvero apparire è essere, e il presenzialismo è una condizione necessaria per esistere. Mentre spopolano yuppies e ceti rampanti debolisti e postmoderni, e si discetta sempre più volentieri del look e dell’immagine, Lucio Battisti sprofonda completamente nell’interiorità.
La sua distanza è un gesto estetico protratto oltre ogni misura. L’impossibilità di prevedere il risultato, soprattutto nella piccola arte della musica popolare, dove quasi tutto è prevedibile, è di per sé un marchio, e un gioco, d’autore. E contemporaneamente sprofonda nelle leggende: dicono che lo invita a cena Caterina Caselli, ormai consegnatasi al management musicale e non esente da certi sospetti di rampantismo, per un incontro forse destinato a coagulare qualche progetto discografico, un cambio di scuderia, sulla base di percentuali monstre. Lui ci va, si irrita subito perché sotto la villa di campagna dei Sugar, a Montorfano, non troppo lontano dal Dosso, ci sono inopinatamente frotte di ammiratori che fanno chiasso, e incurante del fatto che tra gli invitati c’è un altro celebre suonatore di chitarra, Bettino Craxi, e che le proposte economiche sono fantastiche, prende su e se la fila all’inglese. E l’indomani fa sapere allo staff di Sugar, tramite un intermediario, che non se ne farà niente. È già diventato una voce che esce da un disco, da una distanza, da un altrove: una voce da nessun luogo”



Edmondo Berselli, Canzoni. Storie dell’Italia leggera.

(fonte)

08
Nov

C’è qualcosa di commovente nell’aspirazione dei giornali italiani di condizionare l’opinione pubblica riguardo alle faccende della politica. Ogni giorno un titolo, un’inchiesta o uno scoop che sostanziano la debolezza e la prossima fine dello schieramento politico avverso (ogni giornale italiano ha uno schieramento politico in qualche modo avverso) o viceversa ogni giorno la sottolineatura della grandezza e dell’intelligenza dei propri amici. Ci credono veramente. Non contano più nulla, nessuno li legge più, hanno messo le loro veline dietro paywall nell’illusione (commovente pure quella) che qualcuno decida di pagare per quel servizio da ufficio stampa dei peggiori ma continuano ugualmente ad immaginarsi come l’ago della bilancia del pensiero della comunità. Commovente.