Del Ministro della Cultura Sangiuliano, non solo di lui, anche di altri ministri del governo Meloni ma di lui in particolare più che di altri, colpisce la mancata di presa d’adatto della propria mediocrità. Quell’introspezione silenziosa, non necessariamente manifesta (non pretendiamo tanto), che magari consiglierebbe, nel caso di una residua quota di buonsenso interiore, atteggiamenti prudenti e affermazioni meno apodittiche in consessi pubblici. Nel caso di Sangiuliano una simile cautela è del tutto assente. Il ministro non è minimamente sfiorato dall’idea di essere una sorta di macchietta quotidianamente esposta alle invettive di chiunque: prosegue dritto per la sua strada come se niente fosse, forse immaginando che prestigio e autorevolezza derivino automaticamente dal vertice della piramide del potere infine raggiunta. Contemporaneamente l’emergere e il trionfare di personaggi come Sangiuliano, o come il ministro Lollobrigida, altra figura molto impegnata in questo processo di rimozione di qualsiasi analisi di sé, è ormai una caratteristica intrinseca, un tratto distintivo, del sistema di potere e dei suoi più recenti criteri di selezione della classe dirigente.
Ho comprato questo libretto su un argomento che mi interessa. Lo ha pubblicato un grande editore italiano, l’autore è un medico accademico, ai vertici per anni della comunità scientifica nazionale. Dopo qualche pagina leggo che la presbiopia è causata da un decadimento dei muscoli oculari che non funzionano più adeguatamente. Si tratta, in questo caso, di un’informazione che conosco: il libro me ne propone decine di altre di cui non so nulla ed è la ragione per cui l’ho comprato. Come potrò continuare a leggerle facendo finta di niente?
Nella dolorosa e un po’ indecente intervista di Fabio Fazio a Francesco Guccini, dopo un siparietto imbarazzante sui formati della musica digitale, a un certo punto il conduttore ha chiesto a Guccini qualcosa su Spotify. Guccini ha guardato Fazio con uno sguardo vuoto e ha chiesto:
“Fortyfive?”
“Tutte le volte che il commissario Maigret ritorna a casa, anche a notte fonda, la signora Maigret gli fa trovare un pasto caldo e la tavola apparecchiata”
“Tu non sei il commissario Maigret”
Sull’arroganza eventualmente si potrà lavorare. Esistono tecniche, molti trucchi del mestiere, a volte qualche farmaco. Essere arroganti non è solo un vizio, è anche una caratteristica molto opportuna in politica, tutti quelli che vogliono affermarsi dovrebbero possederne almeno un po’. Ma se non ci arrivi ecco in quel caso non c’è molto da fare. Se non ci arrivi è tutto molto più difficile e tu non sarai mai al sicuro. Se sei poco furbo – per dirla come va detta – non è che tu sia costretto a non fare politica ma dovresti accontentarti dei piani bassi, quelli nei quali la tua pochezza non salti troppo all’occhio. Fino a qualche anno fa il fesso assoluto non era mai giunto ai piani altissimi della politica nazionale. Ci era magari arrivato vicino, ma ragioni di forza maggiore lo avevano infine bloccato. Ora, da un po’ di tempo a questa parte, è tutto cambiato. Non è che questi siano tanto diversi dagli altri. Non è che siano maggiormente impreparati o altro. Alcuni partiti hanno semplicemente vinto troppo in fretta e si sono trovati come una tavola calda con carenza di personale nella serata della festa del paese, oppure i candidati sono stati accreditati con metodi inediti e autolesionistici. Il risultato finale è che oggi il poco furbo patentato, almeno da alcune legislature, per ragioni differenti ma tutte molto simili, è diventato ministro.
Così ora è un massacro, non tanto per questioni di intelligenza mancante in un posto dove ce ne sarebbe bisogno, quanto per meno sostanziali questioni di comunicazione. Al poco furbo che nemmeno ha ancora compreso bene cosa abbia detto o fatto di male sarà semplicissimo saltare alla gola e creare un caso mediatico, invocando e sottolineando i suoi inevitabili errori. La chiamano contrapposizione politica ma in realtà si tratta di una commedia fra poveri e poverissimi mentre lo spettatore, perfino lui ignaro delle sue colpe, osserva dal suo trespolo e scuote la testa.
Microsoft è una azienda tecnologica americana che negli ultimi decenni con il suo sistema operativo ha rovinato la vita a miliardi di persone in giro per il pianeta. Fattasi ricchissima e potente, avendo mancato, com’era nell’ordine delle cose, l’appuntamento con la svolta tecnologica dell’esplosione di Internet, ha acquistato e rovinato decine di geniali applicazioni, nell’illusione, particolarmente sperimentata negli ambienti dell’innovazione tecnologica, che i soldi comprino l’intelligenza. Accade invece di solito il contrario: quando il nuovo padrone applica la propria visione alle idee intelligenti di qualcun altro quelle più meno rapidamente si spengono. Ogni progetto tecnologico che riscuote per propri meriti grade successo ha una sua parabola discendente inevitabile molto difficile da gestire: quando un simile progetto viene acquistato da aziende come Microsoft la parabola discendente si accentua immediatamente. Le previsioni future sui rapporti fra Microsoft e ChatGPT sono già abbastanza scritte.
La ferocia di continuare a mettere in pagina per giorni e giorni un caso di femminicidio. Aggiungendo foto, interviste, particolari macabri, opinioni e commenti di chiunque, meglio se di persone orribili e disumane. Fingendo che tutto questo sia informazione. Che tutto questo sia umana comprensione e discesa in campo a fianco della vittima.
Di tutte le innovazioni possibili quella che in politica i pazienti psichiatrici emergessero e vincessero le elezioni, e non in piccoli stati sperduti in capo al mondo ma in nazioni gigantesche con decine di milioni di abitanti, era uno scenario davvero difficile da immaginare.
Qualsiasi problema, dal più stupido al più serio, potrà essere risolto con una legge. La solita allucinazione del martello e del chiodo in cui non si sa mai dove finisca l’ingenuità e inizi la malafede.
I suppose it is tempting, if the only tool you have is a hammer, to treat everything as if it were a nail. (da The Psychology of Science: A Reconnaissance, 1966, cap. 2)
Il pacchetto sicurezza che il governo Meloni ha presentato ieri è uno dei classici tic propagandistici della politica italiana. Avrei voluto scrivere “della destra italiana” ma l’evidenza dei fatti mi costringe ad allargare lo sguardo: tecniche analoghe, scorciatoie simili, sono state negli anni adottate da tutti, magari su altri temi ma sostanzialmente da tutti.
Il cittadino che legge la proposta di legge fa sì con la testa, la trova utile e ragionevole. Sibila un “finalmente”. Ovviamente gli illuminati commentatori (uno su tutti Mattia Feltri oggi su La Stampa) sono lì a segnalare le incongruenze e le miserie di simili proposte. Hanno ragione, ovviamente, ma il cittadino continuerà incurante a fare sì con la testa esattamente come qualche anno fa faceva sì con la testa al Salvini ossessionato dai migranti.
Il pacchetto sicurezza è propaganda, certo, purissima propaganda reazionaria, ma è anche, soprattutto, una scorciatoia delle più usuali. In un Paese in cui abbondano le leggi e in cui esiste una sostanziale incapacità pratica a farle rispettare, la soluzione politica breve e indolore è aggiungere nuove leggi, irrigidire quelle esistenti, aumentare le pene.
Il politico al governo sentirà così di aver fatto il proprio mestiere, se non tutto almeno tutto il possibile, e il Paese continuerà incurante ad andare alla deriva esattamente come prima. Il pacchetto sicurezza è un pacco. Esattamente come i precedenti.