Il mio parere al riguardo è noto ed è piuttosto distante da quello di Luca Misculin che è un giornalista che stimo.
La balla di Meloni è solo l’ultimo episodio di un processo fatto di moltissime balle precedenti, in genere più piccole, talvolta microscopiche ma ben organizzate, non per questo meno importanti. Disegna una tendenza ad un progressivo disvelamento (ogni abisso, mano a mano che lo si frequenta, assomiglia sempre di più alla normalità) ma non riguarda qualcuno in particolare. Da molto tempo (se non da sempre) il giornalismo in Italia è uno strumento del potere, lavora per il potere ed è supportato dal potere. La terzietà della stampa, insomma, il presupposto necessario perché essa possa reclamare per sé un ruolo dentro il meccanismo democratico, non è mai esistita. Questo nemmeno quando l’editoria era un business profittevole: ai bei tempi si facevano soldi accarezzando contemporaneamente i potenti amici.
I soggetti interessati in questa caricatura di sé stesso che è il giornalismo italiano (il quale talvolta prova ad ingannarci trasformandosi incidentalmente e solo per un istante in vero giornalismo nel momento in cui gli interessi del potere che lo sostiene svelano notizie e retroscena sull’avversario) sono evidentemente i tre soggetti citati da Misculin. Il potere che lo finanzia (la politica e l’industria, sostanzialmente) e ne regge le fila, i media che ne producono i contenuti ed i lettori ai quali una parte di simili contenuti sono rivolti. Dico una parte perché una quota sempre più rilevante di informazione non è rivolta a loro ma a soggetti rilevanti al di là della barricata. Molto giornalismo italiano è potere che parla ad altro potere.
Provare ad immaginare singole responsabilità dentro un meccanismo tanto potentemente distorto è complicato e probabilmente inutile. Il potere ha individuato un varco (pensate solo alla spartizione politica della TV pubblica o all’occupazione dei quotidiani quando ancora i quotidiani contavano qualcosa) e ne ha approfittato per fornirsi di un costoso megafono da far pagare talvolta ai cittadini, il giornalismo si è nascosto dietro la copertura della propria presunta autonomia (una autonomia che sappiamo inesistente) e del proprio ruolo di mediazione (che media in genere le istanze del proprio padrone e poco d’altro), il lettore è contemporaneamente vittima e carnefice del proprio destino. In parte perché non crede a quello che legge, perché istintivamente percepisce la distanza fra i propri interessi e quelli di chi organizza le notizie per lui, in parte perché non ha grandi aspirazioni informative (non le ha mai avute nemmeno quando i quotidiani vendevano centinaia di migliaia di copie ogni giorno), vive in un Paese da sempre culturalmente molto povero dove alla fine una notizia vale un’altra. L’unica sua forma di esistenza in vita è il vorticoso pendolare da un partito all’altro quando viene chiamato alle urne, almeno per quelli che ancora immaginano le elezioni come un esercizio della propria sovranità.
Le bugie di Meloni, espresse finalmente con un senso di liberatoria noncuranza, sono la fase attuale di questo cortocircuito, in un Paese nel quale esistono solo padroni e sudditi. Che il giornalismo in Italia sia fatto nella grandissima maggioranza dei casi da sudditi è un banale dato di fatto.
Maggio 3rd, 2023 at 11:18
Tutti i governi proclamano di aver fatto cose meravigliose per il popolo, e tutti i governi in qualche misura mentono. È discutibile se sia compito del giornalismo far sapere alle persone (cioè convincere questa o quella tifoseria) che il governo ha mentito.
Se non è vero che sono state tagliate le tasse sul lavoro, se bisogna fare qualcosa di piú per il lavoro, forse spetta alle organizzazioni che si occupano di difendere i lavoratori farlo sapere. Io direi che è il compito dei sindacati, qualcuno penserà che siano altri soggetti della società civile, altri diranno che lo fa già bene Confidustria in quanto rappresentante di chi “crea posti di lavoro”, altri ancora penseranno che lo faccia meglio il loro partito preferito, ecc.
In un mondo ideale i giornalisti dovrebbero poi raccontare questo lavoro di spiegazione e convincimento. Chi pensa che lo debbano creare dal nulla è invece parte del problema.
Giugno 3rd, 2023 at 11:10
No. Il giornalista si deve informare (cosa che non sempre fanno), acriticamente, mettere insieme i dati raccolti ed esporre quanto ha dedotto, con sistema che definirei scientifico (nel senso che deve essere dimostrabile). Il compito dei sindacati è diverso.
Maggio 4th, 2023 at 13:11
La situazione da lei descritta è praticamente disperata e disperante.
Temo che lei abbia ragione.
Maggio 7th, 2023 at 09:36
post spettacolare … colgo l’occasione per ringraziare pubblicamente l’autore … pur avendolo acquistato lo scorso Dicembre, per motivi del tutto indipendenti dalla mia volontà ho potuto leggere “Invecchiare Al Tempo Della Rete” solo in questi giorni … profondo, avvincente, evocativo … dopo poche pagine ho avvertito l’insopprimibile esigenza di abbinare una colonna sonora al libro e ho scelto l’album “September Of My Years” di Sinatra … l’ho appena finito e mi sento benissimo: sereno, dinamico, pieno di interessi, addirittura ottimista, grato per il privilegio di essere cresciuto all’epoca di “Tarkus”, “Fragile”, “Aqualung”, “Foxtrot”, sgomento per chi è stato adolescente negli anni Ottanta e Novanta e oggi si ritrova con Internet senza sapere cosa farci … lo raccomando a tutti
Giugno 3rd, 2023 at 08:42
Concordo pienamente con Mantellini nell’allargare il cerchio delle responsabilità per uscire da una narrazione appassionante ma inesatta, in cui i giornalisti hanno i mezzi per essere artefici del proprio destino e del destino culturale del paese.
I giornalisti pagati sempre meno, e quindi sempre più asserviti verso chi paga di più, sono invece la parte finale della catena del valore mediatico.
Attribuire alla loro categoria la responsabilità del degrado e dell’asservimento dell’informazione, o convincerci che loro possono e devono invertire la tendenza con le loro sole forze, è come prendersela per l’obesità dilagante con chi frigge le patatine nei fast food.
Per fare un grande giornalismo ci vuole una grande editoria che lo sostiene, lo finanzia e lo difende con forza, anche in tribunale quando necessario. Se la Rai non è la BBC questo non si deve al fatto che i giornalisti RAI siano moralmente o professionalmente più scadenti, ma al fatto che la RAI è TV di governo e la BBC è TV di stato.
Se sull’Unità rubata a Gramsci da Romeo scrive un criminale fascista come Valerio Fioravanti, la prima responsabilità è quella dell’editore che ha messo in piedi il ristorante, e solo in seconda battuta dello chef che ha chiamato a corte per mettere il veleno culturale nella minestra.
Con questo non intendo assolutamente sollevare la categoria dei giornalisti da ogni ruolo e responsabilità nelle condizioni attuali del Paese, ma auspicare che prima o poi la politica e la storia presentino il conto anche agli editori partecipi di questa deriva, un conto che per me è molto più salato, e con responsabilità più gravi.