Utilizzo questo tweet di Carlo Alberto, che è persona competente e che stimo da molto tempo, per riassumere una discussione che vedo ripetersi in giro in rete in queste settimane. Ho frequentato per abbastanza tempo i luoghi della politica tecnologica e delle aziende tecnologiche italiane per sapere che – come capita spesso – tutto è molto più complicato di così. Non esiste una politica progressista che sposa la trasformazione digitale ed una conservatrice che la ostacola, nemmeno in un ecosistema piccolo e provinciale come quello di questo Paese. E poiché mi annoio da solo, immediatamente e mortalmente, a ripetere ancora una volta quanto sia invece ampio e diffuso ovunque il nostro spirito anti-tecnologico, dirò solo un paio di cose a commento di queste ultime questioni che sembrerebbero indicare un cambio di rotta e l’inizio di una restaurazione di uno stato analogico.


Intanto – utilizzatelo come garrulo intermezzo – ieri ero a Bruxelles e questa è una foto del cartello esposto alla biglietteria del più importante museo del Belgio:





L’unica differenza consistente nella gestione delle questioni digitali fra il governo in carica e quelli precedenti riguarda lo spessore della classe dirigente. Il governo Meloni semplicemente non ne ha una. Non è colpa di nessuno, è una caratteristica, tra l’altro non recente, che riguarda un po’ tutti i partiti del centro destra, vale per Fratelli d’Italia più di tutti, forse perché è quello che è cresciuto più velocemente, ma vale da sempre per la Lega e per Forza Italia, movimenti politici cresciuti all’ombra di una manciata di leader onnivori e mediamente incompetenti, circondati da un inevitabile deserto culturale, da loro stessi voluto e coltivato.

Per classe dirigente non mi riferisco solo ai quadri del partito, non mi riferisco tanto all’attuale sottosegretario all’innovazione perito industriale da paragonare con il ministero, ora abolito, diretto da un dirigente d’azienda con grande esperienza internazionale, ma all’ambiente culturale che cresce, talvolta anche come un’erba cattiva, ai margini del potere e della politica. Il governo Meloni nasce con un vuoto attorno che verrà nel tempo riempito ma il cui tratto distintivo sarà ancora per molto tempo quello della più folkloristica mediocrità. Oggi per esempio la scelta di vietare i telefonini in classe da parte del ministro dell’Istruzione cita come fonte scientifica un libro trascurabile di un giornalista ex senatore di FI ora migrato in Azione, che paragona il web alla cocaina.

I governi precedenti avevano avuto il tempo per riconoscere e chiamare a sé esperti ed addetti ai lavori (lo stesso Carlo Alberto è stato spesso coinvolto in faccende del genere ma l’elenco delle persone competenti ed appassionate che hanno provato a dare una mano è lunghissimo) i quali spesso hanno creduto alle intenzioni di innovazione tecnologica che la politica annunciava. Ho idea che la grande maggioranza di costoro abbia poi scoperto due cose: che, tranne rare eccezioni e nonostante le dichiarazioni, il tema non era fra i preferiti della politica e dei governi e che anche quando alcuni apparati dedicati alla trasformazione digitale riuscivano faticosamente a creare valore e intelligenza per tutti (penso al Team digitale del governo Renzi per esempio) poi lo scenario dei decisori istituzionali se ne accorgeva a stento.

Non esiste in Italia una classe politica a favore ed una contro la tecnologia, tantomeno un simile schieramento è separabile fra destra e sinistra. Esiste uno Stato analogico molto forte e radicato, tanto presente fra i cittadini quanto fra i politici dei vari partiti. Oggi quello Stato sembra più evidente perché il processo di disvelamento dei tratti grossolani e insensati di una politica fatta con la pancia e con gli slogan è diventato un vero e proprio schema comunicativo e anche un po’ perché il velo culturale di esperti chiamati a palazzo da una politica segretamente anti-digitale non sembra essere al momento necessario. Fingere non è al momento necessario.

Un commento a “Lo Stato analogico è in ottima salute”

  1. Rosy dice:

    L’articolo rispecchia molte delle mie riflessioni, frutto di osservazioni che uniscono principi interiorizzati grazie alla laurea in giurisprudenza, con l’esperienza maturata in una vita di lavoro in ambito tecnologico (siamo coetanei).
    Continuerò a seguire il blog con grande interesse, nella speranza che, prima o poi, il dibattito pubblico inizi a coinvolgere in modo serio e pragmatico questi argomenti.

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