07
Dic

C’è una foto, che ho visto su Facebook e che ora non riesco a ritrovare.
Nella foto c’è Matteo Salvini di profilo, in cima ad una collinetta erbosa. È solo, il braccio sinistro semiproteso in avanti tiene il cellulare: è impegnato in una delle sue “dirette” e qualcuno lo sta fotografato da lontano. Il dito indice dell’altra mano è compreso nell’inquadratura del cellulare: è un dito accusatorio. Scommetterei che sta dicendo qualcosa del tipo “a noi non la si fa” oppure “L’Europa non si permetta”. Cose così. Oppure semplicemente sta offendendo qualcuno, ridicolizzano un avversario, stigmatizzando un articolo di giornale o invitando qualcuno ad andare in pensione. Cosa stia dicendo comunque non è importante.

Oltre al Salvini di profilo, e al profilo della collinetta, nell’inquadratura non c’è molto. Una sedia, mi pare, un po’ in disparte. Complessivamente è una di quelle immagini dove il vuoto prevale sul pieno. Una foto contemporanea, senza l’ossessione descrittiva che hanno le foto in genere. Pochi elementi, ben delineati, su sfondo uniforme. Più un affresco che un documento.

Dico di questa foto per due ragioni: le ragioni sono l’imbarazzo e la solitudine. Sentimenti che non riguardano solo Salvini e questa foto ma tutti noi. Utilizzo Salvini come una scusa.

Quella collinetta, più ci penso e più mi sembra la collinetta del Charlie Brown lanciatore nelle sue tragiche partite di baseball. È il luogo dell’imbarazzo e della solitudine quel bozzo di terra battuta: il posto dell’incertezza.
Di lì a poco per Charlie Brown quel dubbio che è possibile indovinare nella sua espressione (sarò abbastanza bravo? Avrò forza sufficiente? Piacerò abbastanza alla ragazzina coi capelli rossi?) si trasformerà in certezza e la palla di ritorno sconvolgerà tutto. Lui lo sa già, prima ancora di lanciare. Salvini invece no. Salvini è un Charlie Brown senza coscienza di sé, lancia palle di cuoio, dalla cima della collinetta. È convinto di fare strike. Ne lancia moltissime.
I più colti al riguardo – giudicando il lanciatore Salvini – invocheranno tratti psicopatologici o veri e propri disturbi del comportamento: aggressività, incoscienza, scarso senso dei propri limiti. Ma non ha importanza nemmeno questo: conta solo che Salvini è un Charlie Brown al contrario.

Charlie Brown però è un ragazzino. Matteo Salvini è un adulto.

Ho sempre immaginato che il senso del ridicolo dividesse le persone in due grandi gruppi. Quelli che lo posseggono, magari in eccesso, e quelli che no. Questo secondo gruppo a sua volta contiene quelli che hanno saputo superarlo e quelli che non l’hanno mai avuto. Non ho idea Salvini a quale dei due gruppi appartenga.

Un uomo solo in cima ad una collinettà che ammonisce lo schermo del cellulare il senso del ridicolo lo ha superato. O non lo ha mai avuto. È insomma un professionista, oppure un cretino. Pensandoci meglio è possibile anche un mix delle due cose assieme.

La solitudine invece riguarda il mezzo: l’occhio che trasmette. Vale per i social media ma valeva in parte anche quando l’unico occhio trasmettitore era la TV. Da uno studio illuminato o da una collinetta austriaca tu parli a nessuno. E moltissimi ti ascoltano. Pur sapendolo la fotografia che ne esce, appena fuori dal sistema di riferimento, è ugualmente quella di un uomo solo. Quella foto è un inganno, ma è anche allo stesso tempo un documento balistico.

Quella foto sa cose che non non immaginiamo. O che abbiamo dimenticato. La foto fotografa la solitudine del leader. Descrive la solitudine della tecnologia. Descrive noi conficcati là dentro. È un documento tecnico dei nostri tempi. Chi siamo, dove stiamo andando eccetera eccetera.

E Matteo Salvini allora forse non è un Charlie Brown al contrario. Forse è solo un Charlie Brown cattivo. Insomma qualcun altro. Oppure non so, un Charlie Brown che a un certo punto ha detto basta a tutte quelle palle di cuoio che gli ritornavano indietro e ha scelto di reagire nella maniera peggiore. E tutti gli altri, dietro allo schermo del suo telefonino, hanno fatto lo stesso. E il gioco si è fatto tragedia. E quella fotografia, che è scomparsa negli aggiornamenti della mia colonna su facebook e che fra poco avrò dimenticato, è la foto di quella tragedia.


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