Ogni lustro o giù di lì qualcuno annuncia che il problema sarà risolto. Le regole saranno cambiate. I controlli saranno stringenti e invalicabili. I furbi verranno in questa maniera allontanati.


“Fatto è che il nuovo scandalo è sale sulle ferite di tantissimi ordinari, associati, ricercatori perbene che fanno il loro mestiere con dedizione disciplina onore e vivono malissimo questi scandali. Il caso simbolo è quello di un concorso per Otorinolaringolatria. Bandito nel 1988, vinto da sedici parenti o raccomandati, sanzionato da condanne in Assise, in Appello e in Cassazione (tredici anni dopo i fatti) non fu mai seguito da provvedimenti seri” (Gian Antonio Stella, Corriere della Sera oggi)



E ogni volta che uno scandalo esplode, un concorso viene truccato, un nipote del Ministro assunto, qualcuno giustamente fa notare che ci sono tantissime persone per bene, che le erbe cattive sono una minoranza che sarò bene estirpare al più presto.




È un ciclo, lo abbiamo visto ripetersi tante volte: a segnalarne la ricorsività si viene tacciati di essere gufi o peggio collusi col malaffare imperante. In ogni caso il risultato finale non cambia. Ogni cinque anni o giù di lì c’è un Cantone o un Gian Antonio Stella che ci riportano all’ordine: si tratterà di aspettare che le acque si plachino un po’, poi tutto tornerà come prima. Passata la festa gabbato lo santo.

A questo punto le faccende rilevanti mi paiono solo due. Perché questo avviene e come si fa a uscirne.

La prima è banale ed evidente a tutti. Perché nessuno è innocente. Perché “i tantissimi ordinari, associati, ricercatori perbene che fanno il loro mestiere con dedizione disciplina onore“, per dirla con Stella sono stati assunti dentro quel medesimo schema collusivo che oggi ci indigna. E lo hanno accettato. E come noi, come tutti, sono persone “perbene” fino al momento in cui hanno esercitato la svagatezza di chi aderisce a certe condizioni che magari non riguardano loro direttamente, ma tutto il sistema attorno sì. Ovviamente un simile discorso non riguarda solo le università o la sanità pubblica o i posti di lavoro nella Pubblica Amministrazione. Vale nel privato come nel pubblico, con le sue eccezioni ma con la sua costante caratteristica relazionale. Il sistema è marcio e noi abbiamo lo stesso accettato di farne parte. Come avremmo potuto fare diversamente? Lo ha ripetuto anche il ministro Poletti, che non a caso è un romagnolo ingenuo a cui le cose scappano di bocca con grande facilità. Conta più la partita di calcetto eccetera eccetera. Nessuno è un gentiluomo per la sua cameriera, noi non facciamo eccezione.

La seconda: come si fa ad uscirne? Beh questo onestamente non lo so. Secondo me non ne usciamo. Ma sarei felicissimo che qualcuno mi dicesse che sbaglio e mi spiegasse come.


17 commenti a “Le mele quasi marce che siamo noi”

  1. roberto dice:

    Ieri, discutendo con alcuni amici, cercavamo una soluzione. Pensavamo ad un sistema completamente informatizzato ed automatico: carichi le pubblicazioni, le citazioni, le riviste, le cose fatte ed il sistema elabora un punteggio. In automatico.
    Poi però ci sarebbe da capire se nelle citazioni ti dicono bravo o dicono che sei un idiota. Allora scherzando ci è venuta l’idea di Chatroulette! Esaminatori ed esaminandi on line, anonimi e scelti a caso discutono. Poi l’esaminatore compila una scheda e l’esaminando passa ad un altro esaminatore scelto a caso. Alla fine si fa la media delle schede. Il problema è garantire l’anonimato ma ci si potrebbe lavorare.

  2. Andrea dice:

    così, secondo alcuni. E, per quanto conta, concordo.

    http://www.corriere.it/cronache/17_settembre_26/universita-legare-fondi-reputazione-2fc4aeb8-a2f5-11e7-82cf-331a0e731b92.shtml?refresh_ce-cp

  3. andrea dice:

    “La prima è banale ed evidente a tutti. Perché nessuno è innocente. Perché “i tantissimi ordinari, associati, ricercatori perbene che fanno il loro mestiere con dedizione disciplina onore“, per dirla con Stella sono stati assunti dentro quel medesimo schema collusivo che oggi ci indigna.”

    non è uno schema collusivo: si tratta di cooptazione e, spiace doverlo ricordare, in una comunità scientifica si entra solo per cooptazione — punto. il problema è che la cooptazione non si concilia con un concorso (previsto dalla costituzione) e ciò obbliga all’illegalità.

    situazione ovviamente esacerbata dai tagli continui al settore dell’istruzione superiore: dall’approvazione della legge gelmini i docenti universitari sono diminuiti di più del 20% mediante il blocco del turnover. per questa ragione quella che doveva essere un’abilitazione scientifica alla quale sarebbero seguiti i concorsi locali nei singoli atenei si è trasformata in un preconcorso (anche perché, grazie al piano straordinario associati, tutti gli abilitati sono stati chiamati sostanzialmente senza concorso locale). lo sapevano tutti nel 2012 — anche io che all’abilitazione sono stato sonoramente trombato.

    fa però specie che questa notizia — a seguito di una denuncia del 2012 (la prima tornata dell’ASN) esca proprio nei giorni del primo sciopero dei docenti universitari.

    oggi sono tutti indignati, e tutte mele sono marce: chiudiamo sta benedetta università, che non serve a nulla, ed usiamo i molti soldi risparmiati per costruire campi da calcetto, e che la storia sia finita.

  4. Nicodemo dice:

    spiace doverlo ricordare, in una comunità scientifica si entra solo per cooptazione — punto.

    Per merito. Non per spartizione. Altrimenti, anche qui molto dispiaciuti, non è una comunità scientifica.

  5. mario dice:

    io ho fatto parecchi anni anni con borse di studio e so (come sanno un po’ tutti) per esperienza personale che in realtà i concorsi non truccati sono rarissimi (dico così per carità di patria ma io non ne ho mai visto uno). Questo sistema è difficilissimo da cambiare perchè funziona nella forma per concorso ma nella sostanza è per chiamata diretta. Si rimane ingabbiati in questo meccanismo perchè si lavora tanti anni dietro a un professore nell’attesa che questo abbia a disposizione un posto da assegnare a te. Il concorso viene quindi organizzato per dare una copertura formale alla tua assunzione (o avanzamento di ruolo ecc.). Mettersi contro questo sistema significa avere il coraggio di dire “caro professore, ho fatto lo schiavo per 11 anni, adesso che ho una speranza me la voglio giocare onestamente in base ai titoli”. Richiede un rigore morale incredibile oltre al dover, di fatto, rinunciare a lavorare all’università.

  6. andrea dice:

    merito, la parolina magica che mette tutti d’accordo… salvo che il merito va valutato, e ovviamente con metodologie oggettive: ed ecco ANVUR, con i suoi impact factor, indici citazionali, riviste di fascia A e B, ovviamente concordate con le società scientifiche. salvo che poi queste ultime si mettono anche a comprare testate di riviste scientifiche con alto impact factor (che, essendo di valore per le carriere accademiche, costano) per spolparle in settori disciplinari contigui, o gli accademici creano network per scambiarsi citazioni, senza contare il mercato del coautoraggio, e via dicendo… esiste una sterminata bibliografia su questo tipo di meritocrazia in ambito accademico, e dei danni che sta provocando al progresso scientifico (in alcuni ambiti disciplinari percentuali che sfiorano il 50% dei dati sperimentali non sono replicabili — e magari il rimanente nessuno ha tempo nemmeno di provarci, a replicarlo).

    è strano che gli americani, che detengono gli atenei più prestigiosi — senza nemmeno voler entrare nel merito del ranking — lascino liberi i dipartimenti di chiamare chi vogliono, senza concorsi, senza valutazioni comparative, senza analisi bibliometriche o scientometriche. e non mi si venga a dire che lì gli atenei sono privati…

    la cooptazione funziona così, e se i cooptati non sono meritevoli, allora non lo sono nemmeno i cooptandi. semplice logica, con tutte le logiche conseguenze che ne conseguono.

  7. Emanuele (l'altro) dice:

    Forse se ne potrebbe uscire guardando come funziona all’estero una volta tanto. Via i concorsi, i dirigenti di dipartimenti e facoltà assumono chi gli pare e poi lo stato finanzia l’università in base ai risultati raggiunti, che non sono solo il numero di laureati ma le pubblicazioni, i brevetti, gli studi che ottengono risonanza internazionale, la capacità di attirare fondi privati nella ricerca, la collaborazione in progetti internazionali ecc. ecc.
    Così se vengono assunti degli incapaci che non produnono niente di importante la reputazione delle facoltà ne risentirà, non attirerà fondi privati e non avrà più fondi pubblici: in poche parole fallirà e con lei i responsabili.

  8. Antonio dice:

    Eliminare i concorsi.
    Assunzione diretta.
    Se Mantellini assume Fanelli come professore e Fanelli si dimostra una capra, Fanelli viene licenziato (e si può fare perché è stato assunto non tramite concorso pubblico) e Mantellini deve spiegare al board dell’università in base a quali criteri ha ritenuto Fanelli idoneo all’insegnamento, con relative conseguenze.
    Magari non si elimina il problema, però forse si limita il numero di capre che insegnano.

  9. Boris Limpopo dice:

    Mi hanno fatto, come (penso) a tutti i dirigenti pubblici, in corso sull’anticorruzione. Ci hanno spiegato che è corruzione anche telefonare al medico dell’ospedale, che hai conosciuto a calcetto o in analoga occasione sociale, che sta venendo in ambulatorio la badante di tuo padre e ti farebbe piacere avesse per lei un occhio di riguardo. In effetti, ricade nella fattispecie, dice il giurista. Sì ma – dice il buon senso – se tutto è corruzione e tutto va trattato allo stesso modo, i veri grandi lampanti casi di corruzione, quelli che hanno indignato l’opinione pubblica e sono alla base della nuova legge, finiranno sommersi da milioni di faldoni prima, e tutti prescritti poi. De minimis curat praetor.
    A proposito. Il docente del mio corso era il figlio di un dirigente in pensione della mia amministrazione.

  10. Giuseppe Cappa dice:

    Mah, la cooptazione diretta sarebbe una soluzione in un paese con un minimo (non tanto) di senso del pudore. Qui in Italia, dove la responsabilità individuale è considerata dalla popolazione un sacrilegio ben peggiore di una bestemmia in chiesa durante l’eucarestia, trasformerebbe l’Università in un letamaio peggiore di quello che è adesso.

    Non lo so in effetti se se ne possa uscire. Di certo non con ulteriori regole.

  11. Signor Smith dice:

    La cooptazione diretta è la soluzione. Ma il “cooptatore” deve, come detto da altri, rispondere delle persone che ha cooptato. Anche con il suo posto. Fine della storia. E, dunque, fine del “sogno”.
    Tenerissimo l’appello della ministra Fedeli contro la “malattia” dei concorsi truccati: “Invito i rettori delle università che hanno all’interno questa parte di malattia di costituirsi parte civile” come se i rettori venissero eletti con un “sistema” diverso.

  12. lorZ dice:

    Una soluzione potrebbe essere pubblico, privato, uguali.
    Con alcune attenzioni certo, pochissime, di principio. Si parla pur sempre del pubblico ma regole e dinamiche uguali, quindi libero accesso e libera uscita.

  13. Umberto dice:

    La cooptazione non può essere una soluzione, dove il sistema è marcio in ogni sua componente. Quello che succede nel pubblico succede allo stesso modo anche nel privato, non c’è concorso ma non cambia nulla, si assume per chiamata diretta sempre ai soliti raccomandati per convenienza, piaggeria o do ut des. Però si fingono colloqui e selezioni e si fa finta anche di crederci E i migliori o si adeguano all’andazzo o se ne vanno altrove, laddove ancora conta il merito e non le conoscenze . Tutti sappiamo che non cambierà mai nulla, le mele marce siamo proprio noi è vero ,ma ogni volta ce la raccontiamo, e così si sopravvive.

  14. Emanuele (l'altro) dice:

    La cooptazione funziona se è affiancata dalla responsabilità diretta di chi assume. E questo si ottiene come detto tenendo conto dei risultati e solo in base a questi assegnando fondi.
    Il clientelismo e il nepotismo esistono dove ci sono soldi da spartirsi. Togli i soldi e gli togli l’ossigeno. A quel punto le università saranno obbligate a funzionare sul serio per ottenere fondi pubblici e privati e quindi costrette ad assumere gente competente.
    Io non dico che spariranno tutte le porcherie ma che il sistema dei concorsi sia impossibile da gestire in questo paese è lampante.

  15. E. dice:

    La cooptazione sarebbe la soluzione migliore e funzionerebbe solo se i docenti ordinari e i capi dipartimento dovessero poi rendere conto (seriamente, quindi soprattutto in termini economici) della produttività dei loro sottoposti. Allora verrebbero cooptate solo le persone migliori. Quando si arriva all’ordinariato non si è praticamente più sottoposti a nessun giudizio di merito. Non dico che non esistano docenti bravissimi che, seppur arrivati al vertice della carriera, non solo continuano ancora seriamente a fare ricerca, ma tentano persino progetti europei allo scopo di raccogliere fondi per borse di studio per i loro allievi. Merce rara in Italia. Perché poi dovrebbero darsi tanto disturbo? Nessuno li mette in discussione diversamente da quello che succede spesso in altri paesi dove trovare i fondi per la ricerca attraverso i grant è un imperativo (perché sei sottoposto a giudizio) e quindi chi ha raggiunto posti di vertice di fatto concorre a creare posti di lavoro per allievi meritevoli. Si crea un circolo virtuoso. A proposito di progetti: vogliamo parlare degli assegni di ricerca? Dopo sei anni di lavoro come assegnista, in una situazione di assoluto precariato, quando teoricamente si è diventati davvero in grado di fare ricerca e quindi si potrebbe essere utili all’università italiana (anche in termini di elaborazione di progetti europei che non si possono fare senza un sostanzioso curriculum), questa ti spedisce a casa. Per quale ragione? Nella sua sciagurata riforma la Gelmini aveva previsto che in quel lasso di tempo l’assegnista venisse assorbito come ricercatore a tempo determinato, previo concorso. Peccato che siano stati tagliati i fondi e i posti da ricercatore siano pochissimi. Oltretutto alcuni sono riservati. A chi? Fate una statistica sui cognomi che ricorrono nelle università italiane.
    Quindi l’università dopo aver investito sull’assegnista (perché di fatto ha speso denari!), nel momento in cui potrebbe raccogliere i frutti della sua preparazione… lo butta via.
    L’unica risorsa per quest’ultimo è quindi portare all’estero le sue capacità (sempre che possa farlo).

    E.

  16. andrea61 dice:

    Gherardo Colombo, uno che se ne intende e che da anni ha deciso di dedicare la sua vita a far formazione nelle scuole, alla domanda su come mai in Italia non viene varata una seria legge che combatta malaffare, furberie e tuffarelle ha risposto che tale legge metterebbe in crisi ameno l’80% degli italiani adulti.

  17. Insula dice:

    Come uscirne non lo so. Ma dato che tutti i “cervelli in fuga” affermano che nella loro nuova patria le cose vanno diversamente: il merito viene apprezzato e la raccomandazione non esiste….allora perché non copiare quello che fanno gli altri paesi?