Non mi piace l’ironia sugli italiani che hanno un romanzo nel cassetto. Trovo che avere un romanzo nel cassetto non sia male. Non mi pare ci siano molte ragione di essere presi in giro per questo. E invece quando leggo simili accenni a questa nostra caratteristica nazionale ne sento parlare sempre con i toni dello scherno.
Ho una lista lunghissima di cose orribili che possiamo fare per ammazzare il tempo e in questa lista lo scrivere un romanzo non è compreso. Se poi il romanzo nel cassetto sarà uno dei più brutti del mondo, il che è piuttosto probabile, non avrà molta importanza; non sarà la morte di nessuno. Si tratterà invece di tempo speso bene.
Essere creativi, anche solo provare ad esserlo, è una delle migliori forme di vitalità. Sono stato, molti anni fa un mediocre musicista, oggi sono un mediocre scribacchino, ma alcune delle ore più intense e belle della mia vita le ho passate molti anni fa scrivendo brutta musica, altre più recentemente mettendo in fila parole. Scrivere brutta musica o brutti testi è un consiglio che mi sentirei di dare a chiunque. Avere un brutto romanzo in un cassetto è molto meglio che non averne nessuno.
Scrivere un brutto romanzo esplora i nostri limiti. Se escludiamo alcuni che di fronte al proprio lavoro appena terminato penseranno ogni volta di aver prodotto un capolavoro, scrivere qualcosa di nostro è un’ottima maniera per confrontarci col resto. E dentro il resto c’è un po’ di tutto ma ci sono – soprattutto – i romanzi belli e imperdibili, il talento inarrivabile di qualche grande scrittore che si spalanca di fronte ai nostri occhi. Ricordo un aneddoto di uno scrittore italiano decentemente pubblicato che dopo aver letto 2666 mandò un sms lapidario ad un collega: “Letto Bolaño, cambiato mestiere”. Non so se la storia sia vera e non ne ricordo i particolari esatti ma, nel caso, fate come se lo fosse. Scrivere ci avvicina agli altri, crea legami e segnala salubri distanze.
Scrivere brutti romanzi o comporre mediocri canzoni porta noi stessi al cospetto del dio del talento. Ci ricorda la rarità della scintilla, l’attesa di quel pescatore che siamo noi di fronte a uno stagno senza pesci. Non si tratta di tempo sprecato, è vero il contrario. È un percorso di crescita, a patto di riuscire a viverlo col necessario distacco. A patto – soprattutto – di non averlo per davvero quel talento. Quando Guido Morselli si suicida, sparandosi un colpo di pistola il 31 luglio 1973, nel suo studio viene ritrovata una cartella dal titolo “Rapporti con gli editori”. È la minuziosa contabilità dei rifiuti ricevuti dalle principali case editrici italiane e degli scambi epistolari con alcuni dei più noti intellettuali del tempo (Calvino, Pannunzio, Fruttero, Foà, Pampaloni). Dopo la sua morte i suoi romanzi vedono la luce e Giulio Nascimbeni scriverà sul Corriere della Sera:
« La prima tentazione è di dire che c’è stato anche un Gattopardo del Nord. Viveva in luoghi profondamente lombardi, tra Gavirate e Varese. Scrisse migliaia di pagine. Sperò a lungo che gli editori si accorgessero di lui. È morto il 31 luglio dell’anno scorso. Adesso esce un suo romanzo, Roma senza papa, pubblicato dalla Adelphi, e se ne resta attoniti, come davanti a un frutto raro e inimmaginabile. »
Un frutto raro e inimmaginabile, succede, ma non è di questo che stavo parlando. Non è il talento misconosciuto che mi interessa: mi attirano di più le creazioni fallimentari, gli esercizi di stile che con il talento e l’arte hanno legami molto più vaghi e distanti. Conta il vederlo in lontananza quel talento, sperare che un giorno si occuperà di noi mentre lo stiamo pedinando facendo finta di niente. Quell’inseguimento senza sparatorie è un’ottima maniera, una delle tante, per essere umani.
Scrivere un brutto romanzo è come vedere un bellissimo film dentro la propria testa, goderselo fino in fondo, gioire dei colpi di scena e degli sviluppi inattesi della storia. Come ogni esperienza intellettuale ha i limiti della solitudine, vive dentro di noi, ci costringe ad una continua analisi che non sapremo mai quanto sia corretta. Scrivere un brutto romanzo lascia uno spiraglio all’imperscrutabile, che è poi la ragione per cui lo scriviamo.
Ho scritto l’inizio di un romanzo. L’ho riletto stasera. È brutto. L’ho chiuso nel cassetto.
Marzo 19th, 2017 at 18:09
Scrivere, o comporre musica, ci mette di fronte ai nostri limiti, ci obbliga a pensare, a guardarci dentro e a confrontarci con il mondo delle idee e dei valori, anche degli altri. Cito Simone Weil, che ripeteva spesso alle sue alunne che scrivere bene è iniziare a pensare bene. Se ho imparato qualcosa da internet, dai blog, è questo. Grazie anche a Mantellini.
Marzo 19th, 2017 at 23:22
da mediocre copy e scrittore di racconti illeggibili posso darti ragione… è favoloso quando la musa cleo ti carezza il collo e ti spinge a “creare”… peccato solo che questi stati siano (almeno per me) piuttosto rari :)
Marzo 20th, 2017 at 09:25
L’ironia sugli italiani con il manoscritto nel cassetto, almeno per quanto mi riguarda, non nasce dal fatto che abbiano un manoscritto nel cassetto o che vogliano scrivere. Anzi, io penso che scrivere e puntare a farlo bene sia una un esercizio utile e gratificante. Questo a prescindere dal fatto che poi piaccia a qualcuno o venga pubblicato.
Quello che non mi piace e che personalmente critico è che la maggioranza di quelli che hanno un manoscritto nel cassetto non si mettono nell’ottica di imparare. Scrivono perché scrivere costa poco, perché sappiamo farlo tutti, perché cosa ci vuole.
Accompagnato poi dall’assoluta indisponibilità di leggere cose d’altri e d’imparare.
A me fa tantissima rabbia questa mancanza di ambizione.
Però qui parliamo già di tirarlo fuori, il manoscritto, dal cassetto.
Detto questo, ma no, non lasciamolo nel cassetto l’incipit. Facciamolo leggere a qualcuno! Il proprio giudizio su quello che si scrive non è mai obbiettivo :)
Marzo 20th, 2017 at 09:48
La domanda è per chi (o per cosa) si scrive. Il consiglio migliore è scrivere di quello che si conosce bene, purtroppo in tanti casi questo prezioso suggerimento non viene raccolto.
Marzo 22nd, 2017 at 20:41
Sonore felice di aver scritto qualcosa ..sono orgogliosadi quel poco che ho generato con quel pizzico di creativa destrezza che ho saputo realizzare. Credo che se al mondo ci fossero più scrittori (non importa se Geniali!) , meno guerrafondai e falsi miti il.mondo sarebbe migliore. Lo.dappiamo. e l’hanno.già detto altri. Con stima, carla
Aprile 1st, 2017 at 16:17
[…] romanzo che forse tutti nascondiamo nel cassetto. E del perché non sia affatto un male averlo scritto, anche se davvero è molto […]
Giugno 2nd, 2017 at 09:33
[…] chi conserva un brutto romanzo nel suo cassetto segreto; e del perché sia meglio di chi, invece, non lo […]