L’editore di Repubblica detesta Google per ragioni sue da molto tempo. E ogni volta che può attacca Google nelle maniere laterali che gli sono possibili. Lo fa molto spesso attraverso gli articoli di Federico Rampini, editorialista tuttologo di stanza a New York. Quello comparso su Repubblica di ieri è un esempio tipico di un simile fronte di contrapposizione editoriale fra De Benedetti e Google. Osservarlo da vicino è interessante.
La scusa è un articolo del New York Times in cui ci si domanda (correttamente) quali siano i criteri secondo i quali in Europa, dove esiste questa misteriosa normativa sul cosiddetto “diritto all’oblio”, Google scelga quali domande di oblio accettare e quali rigettare, anche alla luce di alcune proteste da parte di associazioni e singoli cittadini che vorrebbero entrare dentro le logiche della macchina decisionale (una 50ina di avvocati localizzati nella sede di Google a Dublino). La sentenza della Corte di Gustizia Europea del resto affida a Google l’onere di vagliare e decidere sulle singole richieste. In ogni caso i ricorsi (che sono comunque possibili) sono stati fino ad oggi nell’ordine dell’1%.
Vediamo cosa scrive Rampini:
Ma oggi un’inchiesta del New York Times sostiene che quella sentenza non ha affatto ridimensionato Google. Al contrario, ha reso il gigante dell’economia digitale ancora più potente di prima. Google si sarebbe trasformato nel tribunale di fatto, che giudica l’ammissibilità delle richieste di cancellare questa o quella informazione dal cyber-spazio
Al centro della sentenza, c’è una questione di grande importanza, cioè la capacità di Internet di preservare per sempre qualsiasi informazione su di noi, anche se sbagliata ed eventualmente calunniosa. Oppure vera, ma comunque lesiva della reputazione.
La Corte ha stabilito che se un cittadino lo chiede, Google deve togliere dal suo motore di ricerca dei contenuti dannosi o lesivi della sua reputazione
Google riceveva in media cinque milioni di richieste a settimana, per la cancellazione di contenuti che sono protetti da copyright (esempio: brani musicali o film su YouTube). Ora deve vedersela con un altro genere di richieste: la cancellazione di notizie sgradite, calunniose o diffamanti sul nostro passato; fotografie che ci ritraggono in pose indecenti, insulti contro di noi sui social media, e così via.L’inchiesta del New York Times rivela che in questi due anni Google ha svolto il ruolo di un vero e proprio tribunale, esaminando 418.000 richieste di “oblìo e cancellazione”. Al ritmo di 572 al giorno. Ed è Google ad avere deciso, come un giudice, quali richieste approvare: meno della metà.
In realtà il NYT non ha fatto nessuna inchiesta, non ha rivelato nulla (il database delle richieste è pubblico e online da sempre, enumera le domande accettate e quelle respinte ed è aggiornato in tempo reale) la definizione di diritto all’oblio è (intenzionalmente?) errata. I contenuti che la sentenza prevede si possa chiedere di rimuovere dalle ricerche di Google non sono quelli calunniosi e diffamatori (per i quali esistono ovviamente normative nazionali ad hoc) ma semplicemente quelli “non più rilevanti” secondo una definizione per forza di cose vaga e pericolosa ma che in ogni caso attiene alle norme sulla privacy e non c’entra nulla con i reati di calunnia o diffamazione che riguardano il codice penale.
Il disegno di simili “editoriali”, che si ripetono da anni non solo su Repubblica, è tanto chiaro agli addetti ai lavori quanto oscuro ai normali lettori di Repubblica che, articolo dopo articolo, si convincono della pericolosità di Google (o di qualsiasi altro soggetto che abbia conflitti di interesse con l’ambiente editoriale) basandosi sulla continua ripetizione di affermazioni inesatte o vaghe o totalmente fuori contesto. Esattamente come avviene in questo caso.
Aprile 20th, 2016 at 12:04
il problema è più generale, fidarsi di quello che scrive Rampini.
Aprile 20th, 2016 at 13:14
@.mau. @ MM
Il problema è più generale: leggere Renpubblica.
Ricordo che il buon CDB era (è?) quello che vorrebbe tassare le ADSL, visto che sono il mezzo con cui “il popolo della rete” legge i giornali online a scrocco.
Però non è che conseguentemente ne oscura il sito, eh…
Aprile 20th, 2016 at 14:11
Ma soprattutto: Repubblica considera corrispondenza dall’estero uno che legge il New York Times a New York?
Aprile 20th, 2016 at 15:04
I Giornali stranieri fanno gli articoli, di solito documentandosi. Quelli italiani li copiano e, a volte, citano. Spesso leggendoli male. Il problema è questo, nel giornalismo italiano nessuno fa più ricerca per scrivere un articolo, ma si fa ricerca di cosa hanno scritto gli altri….
Aprile 20th, 2016 at 15:06
L’uso del termine “rivela” (“L’inchiesta del New York Times rivela…”) meriterebbe uno spin-off tutto suo.
Un tempo era un’astuzia retorica, l’uso scaltro di un termine che titilla il lettore con l’idea (anche un po’ voyeuristica) di losco occultamento scoperto dal nobile giornalista che con la sua attività di inchiesta squarcia il velo.
“Gianni ha detto che oggi dal panettiere all’angolo c’è la focaccia alle olive”. “Ah, beh”.
“Gianni ha RIVELATO che oggi dal panettiere all’angolo c’è la focaccia alle olive”. “NO! Ma davvero? Ma non ci posso credere! E come ha fatto a saperlo? E quel panettiere che cercava di tenerlo nascosto!”.
No, ormai siamo oltre a questo. Ormai sui giornali italiani siamo al vero e proprio tic linguistico. Verbi un tempo esistenti, come “dire”, “affermare”, “sottolineare”, “evidenziare”, “sostenere”, ecc., ormai non riescono più a concepirli. Solo rivelazioni (a volte rivelazioni choc).
Aprile 20th, 2016 at 20:16
Da un giornalista che riempie libri di banalitá da “forse tutti non sanno che”, spacciandoli per incredibili narrazioni del mondo che cambia, non mi aspetto nulla di più che articoli come quello citato.
Aprile 20th, 2016 at 20:32
… non sono un addetto ai lavori: quale sarebbe questo “disegno”? Semplicemente gettar cacca su Google perché è grande e cattivo e ci ruba i click?
Aprile 20th, 2016 at 23:06
Che poi, per questa cosa del “diritto all’oblio”, Google spende solo valangate di soldi per fare quello che dovrebbe fare la giustizia (o comunque non Google) e perde anche in immagine.
Per argomentare la “cattiveria” di Google bisognerebbe leggere qualche libro o qualcuno che ci ha studiato su. Per esempio questo: http://www.ippolita.net/libro/luci-e-ombre-di-google
Aprile 20th, 2016 at 23:14
@Giuseppe
le racconto un episodio divertente. Nel 2014 muore il chitarrista Paco de Lucìa (che io manco conoscevo). Un mio collega ha l’abitudine, quando muore uno famoso, di editare la pagina di wikipedia scrivendoci una o due stronzate galattiche, ma verosimili. Quella volta scrisse che ‘Paco’ era diminutivo di Francisco Franco (!?!), ebbene, praticamente _tutti_ i quotidiani pubblicarono la notizia, alcuni rettificarono alcuni no. Ad esempio
http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2014-02-26/addio-chitarrista-flamenco-paco-de-lucia-100320.shtml?uuid=ABNqFHz
(in realtà se n’era inventata pure un’altra ma non ricordo).
Cosa c’entra questo col post di Mantellini? Che ormai il grosso del lavoro del giornalista è fare ctrl+c+v, e non appena se ne accorgeranno in troppi la stampa non se la cacherà più nessuno. Due dita so usarle anche da me.
Aprile 20th, 2016 at 23:37
A me piacerebbe sentire uno che ha fatto richiesta di blocco del risultato su Google per motivi di *oblio*. Per esempio, lo scrivente (ovviamente per un terzo cliente). Sono certo che ne sentiremmo delle belle, al di la’ dell’articolo sconclusionato di Rampini.
Poi ridiamo.
Aprile 20th, 2016 at 23:40
P.S.: Poi, se andiamo a trattare dei contenuti diffamatori o *calunniosi* (il riferimento, cosi’ messo, e’ assai poco corretto), ridiamo ancora di piu’.
Google, notoriamente (almeno per chi se ne occupa realmente) ha un *sistema* tutto suo che non e’ che abbia tutta quella rilevanza con gli ordinamenti giuridici, tanto meno con quello italiano.
Aprile 21st, 2016 at 00:53
Google avrebbe tutto il diritto di autosegnalarsi il diritto all’oblio degli articoli di Rampini su Google.
Aprile 21st, 2016 at 09:38
LOL!!!
Aprile 22nd, 2016 at 10:14
@stefano
l’episodio che racconti non è divertente, è rappresentativo dell’idiozia del tuo collega
Aprile 22nd, 2016 at 15:59
@fabio
è rappresentativo dell’idiozia di una categoria che non offre valore aggiunto e pretende di farsi pagare. O quando lei va dal macellaio quest’ultimo invece che allungarle le costate le mette il coltello in mano e indica la mucca?