Contrappunti su Punto Informatico di domani.
L’idea del passato Ministro dell’Istruzione Profumo a riguardo dei libri elettronici nella scuola italiana era una idea coraggiosa. Coraggiosa ma sbagliata. Si basava, mi pare, su due presupposti ragionevoli ma irrealizzabili. Il primo che il passaggio forzoso, teatralmente imposto, dal vecchio libro di carta ai tablet in tempi tutto sommato brevi, avrebbe innescato una reazione virtuosa: ho ascoltato più volte gli uomini del Ministero spiegare come attraverso l’ingresso nelle case degli studenti dei nuovi device (pagati dalla riduzione dei costi imposti all’industria editoriale) le nuove competenze dei ragazzi avrebbero poi avuto effetti ulteriori. I cosiddetti nativi digitali avrebbero non solo goduto dei vantaggi delle nuove tecnologie didattiche ma avrebbero anche agito da catalizzatori per l’alfabetizzazione digitale del loro genitori, chiudendo così il gap che ci divide storicamente dagli altri paesi europei.
Il secondo aspetto critico, il più grave, è stato quello di innamorarsi di una idea senza tenere in alcun conto l’ambiente circostante. E l’ambiente circostante, chiunque lo avrebbe potuto circostanziare molto bene al Ministro, era quella parte della carta geografica nella quale gli antichi di solito scrivevano Hic sunt leones.
Fra i vari leoni che dominano la foresta e terrorizzano gli animaletti circostanti, gli editori italiani sono forse la categoria più agguerrita, anche se non l’unica. In primavera la Associazione degli Editori Italiani, scesa in difesa dei propri interessi economici, dopo aver cercato invano di convincere il Ministro, aveva impugnato davanti al TAR la decisione di passare al libro elettronico nelle scuole nel giro di qualche anno. Chiedevano gli editori che tale scadenza fosse procrastinata per una serie molto lunga di motivazioni, alcune condivisibili come quella della situazione digitale della scuola non esattamente florida, altre francamente patetiche come le invocazioni sui possibili rischi per i nostri pargoli alle prese con le onde elettromagnetiche.
Così nei giorni scorsi il nuovo Ministro dell’Istruzione Carrozza ha acconsentito alle richieste dell’AIE ed ha rinviato l’adozione degli ebook all’anno del mai. La decisione del Ministro è tecnicamente incontestabile anche se segna, per l’ennesima volta, la vittoria di un mondo vecchio e corporativo rispetto a qualsiasi ipotesi di cambiamento.
Del resto gli editori, che negli anni nel comparto scolastico hanno frequentemente avuto mano eccessivamente libera, non sono gli unici frenatori dell’innovazione del Paese. Fra i leoni della foresta andranno inseriti molti insegnanti, l’amministrazione scolastica in genere e perfino, sarei pronto a scommetterci, le associazioni dei genitori pronte a preoccuparsi e a stigmatizzare qualsiasi mutazione di un equilibrio immobile e polveroso.
Per tutte queste ragioni ambientali il sogno di Profumo era un sogno irrealizzabile. Ora le cose da fare dal mio punto di vista sono poche e molto semplici. Tutte passano attraverso la rete come luogo centrale del rinnovamento didattico:
1) Tutte le scuole italiane dovrebbero essere al più presto collegate a Internet in banda larga. Che io sappia oggi non esiste nemmeno un registro di quanti istituti siano collegati e quanti no. Per fare questo, al di là dei piani nazionali e regionali che spesso lasciano il tempo che trovano, sarebbe necessario che il Governo chiedesse la collaborazione delle compagnie telefoniche (o che, ancora meglio, le compagnie telefoniche si offrissero di collaborare all’innovazione del sistema scolastico).
2) Dobbiamo immaginare un periodo intermedio durante il quale la didattica si sposti gradualmente verso Internet. Questo consentirà agli insegnanti di immaginare nuovi modelli di insegnamento (si pensi solo all’uso delle mappe o di wikipedia o dei documenti condivisi) ed al Ministro di trovare la maniera di formare il personale ed incentivare i migliori. La dotazione iniziale è quella di un portatile, un video proiettore per ogni classe (anche qui non sarebbe male che aziende e privati decidessero di dare una mano) e una connessione a Internet performante (non una ADSL da 7 mega per tutto l’istituto).
3) Abbiamo necessità che l’editoria scolastica si sposti verso Internet, in formati possibilmente aperti. Abbiamo bisogno di negoziare il nuovo ruolo dei leoni, possibilmente senza passare dai tribunali regionali. Più che libri di testo in PDF abbiamo bisogno di piattaforme didattiche in rete nel quale i contenuti siano sulla nuvola e facilmente gestibili.
4) Dobbiamo iniziare sperimentazioni didattiche nuove nell’ambito delle quali l’adozione degli ebook sarà certamente possibile e auspicabile. Tutto questo rappresenterà però, caro Profumo, la fine e non l’inizio di un processo che sarà comunque lungo, doloroso e difficile.
Luglio 21st, 2013 at 12:16
Tutto vero. Gli editori scolastici sono leoni assai famelici. Un collega di storia dell’arte ha avuto a che fare con un testo in PDF che:
– era privo di link: per andare da pag. 17 a pag. 156 si poteva solo fare un paziente scroll;
– era pesantissimo per via delle molte immagini (nessuno aveva pensato di dividerlo in blocco, o meglio ancora di sostituire le immagini con link);
– si autodistruggeva dopo 10 mesi dall’acquisto, o meglio dall’inizio della licenza d’uso;
– non permetteva né sottolineature né taglia e incolla.
Bello, eh? Zero costi di stampa, magazzino e distribuzione. Zero lavoro aggiuntivo per la redazione rispetto al cartaceo. Zero perdite dovute al mercato dell’usato. Il prezzo? Il 70% dell’edizione cartacea. Morale? Dopo un mese buona parte della classe aveva acquistato anche il libro cartaceo.
Luglio 21st, 2013 at 15:38
Mi pare se ne fosse già parlato, e non vedo il motivo per tornarci su, a parte riempire il settimanale appuntamento con PI.
Comunque:
1) le compagnie telefoniche sono alla canna del gas, non investono nemmeno nelle infrastrutture su cui fanno core business, figurati su quelle scolastiche
2) al POLIMI, spesso si studia e si fanno i relativi esami con dei testi (in realtà PDF) forniti direttamente dai docenti, in forma gratuita. Non vedo perché all’università sì e nelle scuole di ordine inferiore no. Gli esami, ad esempio algoritmi e principi dell’informatica, si fanno con carta e foglio a quadretti.
3) Se dobbiamo usare internet, allora è inutile metterla a scuola, tanto varrebbe tenere i bambini a casa. Ma chi li guarda? Ecco, allora viene la domanda 3 bis: serve internet a scuola? Non vorrei sembrare veterotrombone, ma spesso, spessissimo no. Al computer devi arrivarci dopo aver imparato i concetti, ed i concetti si possono benissimo spiegare con lavagna e gesso (o lavagna bianca e pennarello relativo). Non vedo cosa aggiunga internet al fatto di studiare la storia.
4) la rete si sta trasformando in televisione; la scuola deve dare strumenti per essere produttivi, non sono in ambito lavorativo, ma anche (sopratutto?) personale, ovvero avere gli strumenti per fare. Fare cosa? quel che vuoi. Se non hai strumenti non fai nulla, né in rete, né davanti ad un PC, né davanti ad un pezzo di legno.
5) c’è una cosa che non mi è mai piaciuta dell’uso del computer in didattica, ed è che si può cancellare, copiare ed incollare. Nella vita spessissimo hai una possibilità, e la cogli o la perdi. Non è dato né il backspace, né il C&I. E che la formazione debba preparare al peggio, ovvero alla creatività, non mi pare in dicussione.
* * *
Ma ammettiamo che la tua proposta sia ragionevole, come quella di Profumo.
Metti una fibra in ogni scuola (ogni, bada bene, anche quelle delle comunità montane), metti che le telco si votino alla filantropia (da qui al 2020 è previsto che il 50% degli addetti scompaia, però), metti che le case editrici si rassegnino a regalare i libri (perché senza un sistema vessatorio di protezione questo farebbero – e non dico che sia un male che sparissero, a partire dalle antologie, che ci hanno piegato la schiena per essere usate a 2% della foliazione), metti tutto ed altro che adesso non mi viene.
Con questi insegnanti?
Con le classi in cui i genitori aspettano fuori gli insegnanti col cric perché hanno bocciato il pupo, pur non avendolo mai visto a lezione?
Il tutto anche nelle scuole di periferia in cui il massimo che si può è strappare qualche giorno al mese i ragazzi dal disagio sociale?
Certo, sarebbe bello.
Però nella migliore delle ipotesi si finirebbe con una maxigara consip con la quale un consorzio temporaneo d’impresa svuota i magazzini dai Celeron a prezzi da ASUS Lamborghini.
E la genstione della sicurezza informatica, dell’affidabilità a livello di singola scuola e della disponibilità dei servizi la facciamo fare ai bidelli?
Facciamo un concorsone per sistemisti da piazzare uno per scuola? O un’altra gara per tutto quanto sopra vinta dai turchi che hanno preso la meccanizzazione del catasto, che non comprendendo spesso i nomi e i toponimi li hanno scritti come veniva?
* * *
E chi dovrebbe fare tutto questo? Il governo Letta?
Ah, no, il prossimo governo a 5 palle col 51%… già.
Luglio 22nd, 2013 at 00:18
Da insegnante under 40, conosco benissimo i limiti webculturali di molti miei colleghi, ma vi prego non facciamo passare l’idea che la digitalizzazione integrale dell’attività didattica sia la soluzione all’ignoranza diffusa dei nostri allievi. Se la forma mentis è quella della ricerchina realizzata spizzettando qua e là dal web, nessuno s’illuda che dai nostri istituti escano persone meno incompetenti, imbranate, incapaci di concentrazione e impegno di quanto non accada adesso. Non è il mezzo che crea l’intelligenza, semmai questa fa fruttificare quello. Rimando tuttavia al pippone postato sul mio blog, così non appesantisco di qua. http://machittevole.blogspot.it/2013/03/de-novis-scholasticis-artibus-et-eorum.html
Luglio 22nd, 2013 at 03:14
Mentre il “sogno” di Mante di avere Internet nelle scuole, al momento appare piuttosto utopico in un Paese che ha un Parlamento che decreta x uccidere il free wi-fi, credo che si possa pensare agli ebook – che certo danno il loro meglio connessi alla rete – indipendentemente da Internet. Se ci fossero sempre le due versioni dei libri di testo, cartacea e digitale, le famiglie potrebbero scegliere di quale peso caricare le cartelle dei propri figli e di quale costo caricarsi per l’acquisto (soprattutto se gli ebook costassero come dovrebbero, ovvero almeno un terzo dei cartacei). Non servirebbero investimenti né grandi rivoluzioni e un po’ alla volta si cambierebbero gli scenari.
Piuttosto,sugli ebook, sarebbe ora di discutere, oltre alla politica suicida dei prezzi in Italia (troppo alti), anche e soprattutto la logica che sta dietro il sistema di acquisto odierno, che assomiglia più a una sorta di noleggio dai distributori, che hanno in più la possibilità di controllare cosa e come leggiamo. Questi sono i temi che andrebbero chiariti, prima di passare all’epoca digitale anche nelle scuole per i libri. Continuando anche a giocare coi gessetti che é sempre molto istruttivo e divertente (con buona pace di insegnanti nostalgici e del grillino che non ha ancora fatto outing mORA…)
Luglio 22nd, 2013 at 03:17
….è aggiungo: vogliamo parlare dell’IVA al 21% sugli ebook e al 4% sui cartacei? Qualcuno riesce a spiegare perché è che senso ha????
Luglio 22nd, 2013 at 08:25
… è aggiungo: l’IVA al 4% fa scopa con il fatto che sui libri cartacei si può praticare uno sconto massimo del 15% per legge, mentre sugli e-book il prezzo e lo sconto sono liberi.
… èssendo questo il paese che conosciamo, appena si mette mano al riordino voluto da qualche mente fine, si equiparano gli e-Book ai libri fisici, con buona pace di questi con la grammatica e la punteggiatura disinvolte ma duopuntozzero.
… è poi nello specifico mi pare che gli osservatori di dito siano molti di più che non quelli di luna, ormai.
@Dino Sani
… è evidente che non leggi quel che scrivo.
Ho scritto
e bada che i docenti del POLIMI sono pagati, eh, non lo fanno mica per bontà.
Ora la tua soluzione sarebbe migliore di questa (ti faccio un disegnino così non rischiamo fraintendimenti: libri gratuiti in formato PDF, aperti) perché …………………………………………..
Riempi i puntini.
Luglio 22nd, 2013 at 09:23
Lo sconto Max del15% è una delle vergogne italiane, frutto del duopolio Pd-pdl (Feltrinelli-Mondadori) che contro Amazon non avendo strategie commerciali alternative han pensato bene di farsi proteggere dai soliti amici….
Sulla gratuitá dei libri se ne potrebbe discutere, ma io mi sono limitato semplicemente ad equiparare i due prodotti, come disponibilità e IVA. Poi starà agli editori scegliere il prezzo (e al mercato accettarlo).
Resta il fatto che le domande sugli ebook, come ho detto, sono ben altre….
Luglio 22nd, 2013 at 11:47
La mia impressione è che oggi gli insegnanti si trovino nella stessa situazione degli arbitri di calcio: tutti gli altri hanno strumenti migliori di loro. Come nel calcio qualunque spettatore può “vedere meglio” degli arbitri (che non sono dotati di tecnologie audiovideo), così nelle scuole tutti possono utilizzare internet dai loro dispositivi portatili (e da quelli fissi a casa), tranne i professori durante il loro lavoro (ma non da casa, ovviamente). Questa è la vera anomalia, e dire che Internet modifica il modo di insegnare e di apprendere è una gran banalità: da anni il modo di apprendere è cambiato e il nostro modo di comunicare, soprattutto. Continuare a far finta di niente e parlare di gessi e lavagne (che a me piacciono, non sono necessariamente da buttare ma semmai da integrare) mentre il mondo corre sulle reti e sulla comunicazione digitale significa volere affossare definitivamente la Scuola e allontanarla sempre più dalla vita quotidiana delle persone. Qualcuno forse ha interesse che cio’ avvenga….
Luglio 22nd, 2013 at 11:50
Avendo insegnato per un lungo periodo di tempo ai giovani e agli adulti (per questi, in piccola parte, lo faccio ancora) attraversando una notevole evoluzione strumentale, mi fa piacere che si sviluppi questa discussione e per questo cerco di dire alcune cose sintetiche.
1. Non mi pare che Mantellini voglia sostituire l’insegnamento con la rete e che neppure lo volesse l’ex ministro, ma spero che l’iniziativa fosse mirata alla sostituzione dello strumento “libro di testo”. Se così non fosse sarebbe da preoccuparsi molto. A mio parere l’insegnamento non serve, solo, a trasferire nozioni, ma anche concetti, schemi di interpretazione, strumenti e il loro uso complessivo, anche pratico. Internet fornisce una marea di materiali, ma non la capacità di metterli insieme. I giovani/gli adulti sono sottoposti oggi a una quantità enorme di sollecitazioni che pretendono di dare conoscenza e perciò devono fare selezione. In questo la rete non li aiuta, anzi navigando si possono indirizzare alle cose che li divertono piuttosto che andare a cercare il significato di parole e concetti che usano normalmente confidando nel fatto che, volendo, possono sempre trovarlo. Manca cioè un processo di sintesi cognitiva (ricostruzione sintetica personale di quanto viene proposto da testi e docenti) per cui, sempre a mio parere, l’interpretazione degli eventi con i quali hanno a che fare viene distorta. Questa è una deriva che deve essere fermata se si vuole impedire che contribuisca a distruggere definitivamente la qualità della formazione di massa (come diceva in contrapposizione a una scuola di classe).
2. Nella mia esperienza ho potuto vedere che ogni innovazione può nascondere un business. Cito due esempi:
– la cosiddetta alfabetizzazione informatica attuata alcuni anni fa dal ministero della pubblica istruzione, finanziata con la vendita delle frequenza UMTS, che non ha avuto alcuna ricaduta se non per i docenti dei corsi (tra i quali c’ero), per chi ha prodotto i materiali, per le società di formazione;
– la formazione per la sicurezza sul lavoro, certamente utile se non si riduce ad essa l’insieme dell’intervento.
In entrambi i casi nessuno, dico nessuno, si è preoccupato (si preoccupa) di andare a vedere come sono usati le nozioni e i concetti trasmessi. Cioè di curare la ricaduta della formazione.
Non c’è da stupirsi se le case editrici hanno fiutato e difendono il business dei testi digitali.
Questo schema non muterà se il ministero non decide di fissare delle regole di gestione del processo. Dovrebbe essere noto che il mercato non ha regole perfette, meno che mai nei periodi brevi. Ma questo viene dimenticato e lo spazio viene occupato dalle varie lobby e dai trust.
Tra queste regole dovrebbero esserci:
– un processo di riqualificazione del lavoro del docente nel momento in cui viene proposto, in modo anche pesante, uno strumento che fino allora non era usato;
– un processo di riorganizzazione dei settori delle case editrici che vengono interessati.
L’esecuzione dovrebbe essere sottoposta a verifica.
3. In conclusione credo che l’introduzione di strumenti che potenziano l’istruzione sia di per se stessa obbligatoria, non solo necessaria, ma che essa non possa essere abbandonata a se stessa. Come è già successo.
Luglio 22nd, 2013 at 18:22
Proporre l’iPad a scuola come han fatto Passera e Profumo non è coraggio: vuol dire fare della facile presa elettorale per coprire gravi colpe e carenze intellettuali e politiche: apparentemente buone intenzioni per strumenti sbagliati nei posti sbagliati nei tempi sbagliati.
Si tratta di una questione invece delicata e interdisciplinare, da affrontare necessariamente con una grande umiltà e conoscenza dei processi educativi e conoscenza di tutta la tecnologia a disposizione
ci vuole del coraggio: essere arrivati fin lassù al vertice, al Ministero, ed essere incompetenti allo sbaraglio: e non è un problema di lobby, prima dobbiamo aver le idee chiare, prima di “stracciare con la fantasia” le corporazioni
l’iPad è un gadget costoso e abbastanza chiuso e limitato, ed è difficilmente uno strumento didattico usabile per mettere mano al testo, le immagini, per mettere mano e rileggere e cambiare liberamente con degli appunti come un libro sottolineato in mille colori e adesivi colorati
ha uno schermo piccolissimo, leggetevi le indicazioni del ministero della salute per quanto riguarda la vista e l’uso del terminale: prescrive uno schermo di almeno 15-19 pollicioni, non un tablet.. e parallelamente sul piano politico: il completo smantellamento della prevenzione e delle buone norme per la salute. Piano politico ma soprattutto pedagogico e sociale.
con android è ancora peggio, stiamo un po’ sopravvalutando la capacità smanettona dei pargoli. Ma poi non è nemmeno quello il senso della didattica: diventare smanettoni.
Cioè qui parlano persone di un’ignoranza mostruosa (proprio perchè Ministri). Le intenzioni sono buonissime, ma in tempi di ricatti mostruosi “AUT AUT”: prima di tutto occorre rispristinare i finanziamenti pubblici tagliati e uniformarci al resto della Unione Europea! e dare un senso alle priorità in tempo di spending review (un altro modo per giustificare l’idea di una didattica sottofinanziata): a parità di spesa, caro Profumo, preferirebbe avere un ufficio a norma e non pericolante oppure un bellissimo iPad?
non abbiamo nemmeno edifici a norma e molti ragazzi rischiano di rimaner sotto le macerie con il tablet, ci rendiamo conto? Detto questo è anche indispensabile dotare le scuole di tutte le tecnologie necessarie e la politica deve essere sopra qualsiasi interesse corporative e lobbistico
gli editori o si adeguano, oppure devono adeguarsi. Dare un senso alle priorità.
Luglio 22nd, 2013 at 18:43
@frank da utente iPad mi permetto di dissentire sulle tue considerazioni “l’iPad è un gadget costoso e abbastanza chiuso e limitato, ed è difficilmente uno strumento didattico usabile per mettere mano al testo, le immagini, per mettere mano e rileggere e cambiare liberamente con degli appunti come un libro sottolineato in mille colori e adesivi colorati”. Ci sono tante applicazioni che lo rendono estremamente utile all’apprendimento, con tutte le funzioni di “note e remix” che vuoi… semmai il problema non è scolastico ma “culturale” sulla chiusura del “mondoapple” (come del “mondoamazon”, e presto del “mondogoogle”).
Comunque mi sembra che una cosa è un ebook reader, altra è l’iPad, che ovviamente uso benissimo per leggere libri e riviste.
La scuola dovrebbe rendere accessibili i testi su qualunque dispositivo per libri digitali. Sta alle famiglie poi scegliere di quale dotare i propri figli.
Certo se per te il 10″ iPad è piccolo….non hai idea di cosa possono fare i ragazzi con schermi molto molto piu’ piccoli…
Luglio 22nd, 2013 at 19:23
l’iPad non è uno strumento pensato per la didattica, e non lo può diventare nemmeno con le app
prova a scrivere formule matematiche di una certa lunghezza.. e appunti, cominciare ad abbozzare la risoluzione, ci vuole altra tecnologia.
uno dei problemi maggiori dell’apprendimento, e quindi degli strumenti e delle competenze, è appunto l’estrema facilità di distrazione: è didatticamente devastante
secondo punto, la salute e la prevenzione: passare ore su un foglio di carta non è come passare ore su uno schermo. Quindi dev’essere ebook reader, ma dev’essere anche estremamente facile da gestire per sottolineare e per quanto riguarda gli ipertesti
la tecnologia c’è: bisogna metterla insieme con armonia e saperla usare in relazione all’obiettivo didattico
con schermi più piccoli si può far molto, e non si può far molto altro
Luglio 22nd, 2013 at 19:46
altrimenti sarebbe un adattamento stupido e deleterio per la didattica: la tecnologia dev’essere ideata e forgiata in base alle necessità reali dell’uomo
ma nessuna strada è preclusa: anche l’ibridazione tra tecnologie, vecchie e nuove
ma chi l’ha detto che il vecchio non va più bene e il nuovo è così polivalente e utile? ma assolutamente no, non ci siamo.
ma i dizionari possono già diventare digitali e sono parecchi chili in meno, il cartaceo può arrivare dove la macchina non arriva ancora: ma nel frattempo si può già far molto, siamo in pesante ritardo
Luglio 23rd, 2013 at 14:15
[…] questo lucido post, Mantellini, spiega le ragioni dell’abbandono da parte dell’attuale Ministro dell’Istruzione […]
Luglio 24th, 2013 at 00:08
Di fronte a questo corporativismo vorrei spezzare una lancia in favore della pirateria.
Si prende il libro cartaceo, possibilmente di seconda mano, comprandolo con una colletta, lo si scannerizza con un pdf writer crakkato, poi si distribuiscono le copie pirate gratis a tutti.
i vantaggi sono molteplici: le famiglie comprano il PC portatile o tablet ai figli risparmiando sull’acquisto dei libri, scendono sensibilmente i prezzi dei libri cartacei (oggi costano un centesimo in meno di quanto costa fotocopiarli in copisteria) e la scuola, lo stato, non devono spendere nulla.
Luglio 28th, 2013 at 08:56
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