Ha creato molte discussioni in questi giorni un post scritto da Galatea sul suo blog dal titolo: “La malinconia del blog: perché sulla rete in Italia c’è il soffitto di cristallo?”. Io spero non siano molti quelli che in questi anni abbiano tenuto un blog nell’attesa di essere notati dal luccicante mercato dei contenuti. Non ho mai creduto in passato alla affermazione generica e totalizzante che i blogger fossero poveri cristi che avrebbero voluto fare i giornalisti e sebbene ritenga plausibile e perfino rispettabile il fatto che Galatea si attenda qualcosa da un mondo che invece improvvisamente scopre limitato da un soffitto di cristallo, davvero mi pare questo uno scopo residuale del tenere un blog. C’è in questo aspirare ad altro una presunzione di valore che un po’ mi infastidisce. Come se la ampia distribuzione e la qualità dei contenuti fossero vicini di casa da sempre, come se scrivere in un posto con 50 lettori declassi le parole che riempiono quel luogo a spazzatura amatoriale (o elevino un programma condotto da Pupo a qualcosa di differente da schifezza non amatoriale). Comparire in TV o pubblicare un libro come dichiarazione di esistenza in vita? Suvvia. Diverso il discorso dei contenuti prodotti in rete (uno dei filoni che la discussione su FF e da Galatea ha preso). E’ interessante osservarli e osservandoli constatare che la direzione predefinita, il senso unico ideologico dalla rete verso il mondo emerso di cui abbiamo discusso per così tanti anni, si indebolisce ogni giorno di più. Se Galatea scriverà un post come questo fra qualche tempo forse le sue aspettative di Cenerentola andranno vigorosamente revisionate e piuttosto che ad un programma TV con Lilli Gruber viaggeranno dalla rete verso la rete. Ed anche quella rete sarà dotata di un paradossale quanto inevitabile soffitto di cristallo. Eppure anche dentro questo nuovo obiettivo nelle aspirazioni di Galatea ci sarà qualcosa di piccolo e importantissimo che nel frattempo sarà andato perduto.
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Gennaio 10th, 2010 at 09:46
“Frammenti di vita nei cortili” mi ha aperto un cassetto della memoria che rimanda vagamente al testo di una vecchia canzone di Battiato… magari sostituendo “frammenti” con “segnali”. :-)
Gennaio 10th, 2010 at 11:19
Veramente il post non voleva dire solo quello: la prima parte, almeno nelle intenzioni, era sottilmente ironica, anche se non se ne è accorto quasi nessuno, il che probabilmente conferma che non sono poi molto brava a scrivere. Oltre che un generico lamento del tipo: “Oddio, sono geniale ma nessuno si accorge di me da Vespa!”, il post voleva narrare un certo disagio che però, in questo preciso momento, mi pare che in rete sia abbastanza diffuso presso molti, soprattutto fra coloro che -magari un po’ ingenuamente all’inizio- avevano pensato che la forma blog, partendo “dal basso”, consentisse finalmente, in Italia, quei miracoli che sentiamo raccontare spesso nei film o nelle cronache americane. Non diventare la meteorina di Fede, ma riuscire a rompere alcuni meccanismi di cooptazione che fanno del sistema italiano un sistema molto chiuso, al limite del blindato, e confrontarsi nel merito delle questioni in cui si ha competenza quasi alla pari con chi fa opinione attraverso i media tradizionali .
Tu stesso rilevavi, qualche giorno fa, parlando della polemica sulle affermazioni di Sartori, come l’insigne politologo fosse stato contestato puntualmente sulla rete da una serie di post di blogger competenti. Ora, molto ingenuamente, se in Italia il “blogger” (ovviamente quello che parla di cose su cui ha competenza specifica) in quanto tale fosse stimato un pelino di più, credo che le contestazioni mosse a Sartori sullo specifico, essendo ben argomentate, avrebbero avuto sui media tradizionali maggior rilievo: almeno quel tanto da spingere il prof. Sartori a rispondere puntualmente a quanto gli era stato obiettato. Invece questo non è successo. In parte, secondo me, ciò è dovuto anche al fatto che nella percezione comune anche di chi lavora negli altri mass media il mondo dei blog e chi li scrive sono qualcosa che non va preso in seria considerazione, perché si tratta, in buona sostanza, di un universo di gente che si sfoga sul suo sitarello in maniera effimera; una categoria di pittoreschi dilettanti che non meritano una vera e propria considerazione.
Quello che mi colpisce, e sui cui volevo incentrare l’attenzione attraverso il mio post, era che anche quando il blogger riesce ad entrare a far parte del mainstream, e cioè viene invitato da Vespa (ripeto: uso “Vespa” come metafora del mondo della comunicazione televisiva che in Italia rappresenta la comunicazione di massa) o arriva farsi fare un contratto di collaborazione con un giornale di tiratura nazionale, l’atteggiamento tenuto dai media per presentarlo è spesso di sufficienza: si dice che per anni è stato un “blogger”, ma pare, da come viene trattato, che la sua attività di blogger vada in qualche modo considerata solo una pittoresca gavetta prima di essere riuscito a diventare “qualcuno” davvero, o un simpatico hobby che il fortunato continua a coltivare nonostante sia finalmente diventato qualcuno.
L’impressione che si ha è che il bloggerX non venga in realtà invitato alla trasmissione Y perché è un blogger che per anni ha avuto migliaia di lettori sul suo sito (e quindi una qualche “competenza” intrinseca l’aveva sviluppata), ma perché poi è diventato un romanziere pubblicato sulla stampa tradizionale, l’opinionista di un giornale, etc. Per questo parlavo di “soffitto di cristallo”: perché mi pare che il successo sulla rete (successo, specifico, legato al fatto che si è reputati competenti nel proprio campo, sia esso un blog che parla di politica, di economia, di narrativa o – perchè no?- di gossip) in sé non sia percepita e non sia presentata come qualcosa che dà per se stessa il diritto ad essere presi in considerazione o certifica una abilità reale a prescindere dal fatto che poi questa venga esercitata e abbia successo anche fuori dal web . In sostanza, la mia impressione è che il blogger venga cooptato all’interno del sistema solo quando perde la sua specificità di blogger e diventa omologato a qualsiasi altro “esperto” di formazione dal curriculum più tradizionale, mentre forse il sogno di chi aveva aperto un blog (un sogno ingenuo, molto simile alla favola di Cenerentola, ne convengo) era invece che il modo di comunicare del blog costringesse la tv, la stampa e l’editoria a pescare dalla rete persone “nuove”, che proprio per il loro curriculum diverso a la loro diversa esperienza potessero svecchiare un po’ l’ambiente.
Ora, mi rendo conto, forse se il post lo avessi scritto così sarebbe stato più chiaro, e magari mi sarei evitata di prendermi una valanga di commenti e di accuse di aver aperto un blog con l’unica ambizione di diventare una specie di velina. Cosa per cui non solo non ho più l’età, ma per cui, anche quando l’età c’era, non ho mai avuto gran vocazione.
Scusa il commento troppo lungo.
Cordiali saluti.
Galatea
Gennaio 10th, 2010 at 11:27
Grazie Galatea,
pero’ converrai che le aspirazioni di emersione di un blogger sono una cosa, la reputazione riservata fuori dalal rete ai contenuti di rete un’altra…in quel caso il soffitto di cristallo riguarda i media e non i blog mi pare, saluti
Gennaio 10th, 2010 at 11:35
Insomma son cose che diceva Metitieri ormai da anni, la solita solfa del solito disagio. Magari non tutti hanno queste aspirazioni, non tutti vogliono una reputazione (e se ce l’avessero già?).
D’altronde anche Mantellini quando viene invitato alle conferenze lo chiamano “bloggher”.
Gennaio 10th, 2010 at 12:21
Convengo che essere presentati come “blogger” ha poco senso, io preferisco quando a un convegno qualcuno mi presenta raccontando quello che ho fatto o faccio e aggiunge solo alla fine che ho anche un blog.
Se a qualcuno interessa ho commentato il post di Galatea qui
http://robertodadda.blogspot.com/2010/01/being-there.html
bob
Gennaio 10th, 2010 at 13:22
@Dario
Mantellini lo chiamano “blogger” perché, oggettivamente, il suo mestiere con i convegni +/- geek cui partecipa con una certa assiduità non c’entra una beata nel 99% dei casi.
E’ un caso a sé.
Gennaio 10th, 2010 at 13:47
Segnalo questo articolo del 2005
http://www.simonecarletti.it/blog/2005/08/perche-un-blog/
Gennaio 10th, 2010 at 14:21
Quando era oramai chiaro che il blog stava per diventare un fenomeno di massa (~2006) un direttore editoriale butto’ in una mail “e’ ora che ti apri un blog anche tu eh”, e io gli risposi picche… il mio pensiero andava ad un mio esperimento antecedente (~2000), commentaria.com, che come suggerisce il nome era un “cose da commentare”. Mi scrissi (in Perl; acquisire maggiore esperienza su quel linguaggio era uno degli obiettivi secondari) una roba che poi nel giro di pochi mesi sarebbe stata chiamata Wiki, e ci aggiunsi un sistema di news. La mia necessita’ nasceva dal fatto che ero circondato da persone che mi vedevano davanti al computer e pensavano (perche’ spesso lo dicevano): “stai sempre davanti al computer senza fare niente”. E quindi volevo raccontare agli anonimi che erano li’ fuori come vedevo io – solo, perche’ nessuno dei miei amici locali era neanche lontanamente vicino alla comunicazione mediata dalle macchine (a parte il cellulare che pero’ veniva considerato come un telefono, non come un computer) – certe cose; ricordo che il primissimo articolo scritto tanto per poter testare il codice ancora in beta era sui Villaggi Turistici, dove vedevo andare il macellaio romano con la capezza, per essere piu’ trendy, finendo per fare le stesse identiche cose che faceva ad Ostia con la sola differenza che a Sharm El Sheikh aveva senso andare a vedere i fondali, cosi’ probabilmente mentre lui era sott’acqua la moglie si intratteneva con l’Animatore. Questo per lo meno era il tenore dell’articolo. Niente di speciale; poi magari da li’ a breve visto in un film dei Vanzina. Lo scrivevo pero’ per me e i miei 4 amici che con me avevano iniziato ad usare Internet; magari per videogiocare o realizzare dei punti di ritrovo virtuali (ie: dove andare a leggere le novita’ degli altri amici anche quando non hai il tempo o la voglia o la forza di uscire, magari dopo l’universita’ o il lavoro o le faccende domestiche). Per noi questo era chiaro. Per molti che oggi si affacciano sul web invece non lo e’. Con 8 anni di Web 2.0 cio’ che si vede allo schermo e’ diventato un fenomeno di costume, svincolato quasi del tutto da una qualsivoglia parvenza di utilita’. E’ troppo simile a cio’ che c’era in un altro frame plasticoso, all’altra scatola magica di cui un indiano ha paura perche’ piatta ma con gli uomini dentro. La Tv. E li’ nasce la c.d. “illusione forsennata di ricchezza” (Tremonti, AnnoZero, novembre 2008 circa); qui intesa non solo in termini economici ma anche in termini di popolarita’ (cfr. Google). Ed e’ in questa confusione tra media diversi che nasce l’illusione … una qualsiasi illusione. Non a caso molti dei piu’ abili comunicatori visti in questi 8 anni o sono persone fuoriuscite dalla compagine Fininvest, o sono persone pagate (magari senza neanche saperlo) dalla stessa mano che paga nani e ballerine in Tv e in Parlamento. Scrivere per se, magari usando uno pseudonimo per non essere spudorati, e’ l’unico modo per evitare il concretizzarsi di tutto questo a livello macroscopico. Ma ovviamente e’ una prassi che un markettaro, un politico, o un giornalista, non sentono… non capiscono… e in genere neanche intuiscono. Perche’ sono abituati a concentrare l’attenzione sulla propria persona; esattamente come il nano con quel suo librucolo che invio’ a milione di famiglie per la sua “scesa in campo”. Magari solo in scala minore. Usare uno pseudonimo, magari certificato da un meccanismo crittografico che permetta di mantenere si l’anonimato ma garantire a chi legge che sta parlando sempre con la stessa identica fonte a cui e’ avvezzo e a cui attribuisce autorevolezza, reputazione, etc, non impossibilita l’attivita’ professionale… ma evita che un qualsiasi pinco pallino possa scalare la societa’ finendo per attrarre tutte le mosche e le Vespe che essendo nulle di loro hanno bisogno di consumare l’autorevolezza altrui per continuare la loro misera esistenza. E oltretutto evita tutta una serie di fenomeni lesivi della privacy che stanno tornando (di nuovo, come nel 1996) prepotentemente in auge. Si veda i recenti allarmi dei garanti privacy europei; ad esempio.
Parliamo anche dell’aspetto economico. Fin dai tempi di Shakespeare, e poi con lo Statue of Anne, solo l’1% degli autori ha potuto mangiare della propria arte. Sono cambiate tante cose di allora, ma questo dato non e’ mai cambiato (per lo meno cosi’ si evinceva da un post di tal Leonardo Maccari, se ricordo bene; che si e’ andato a cercare e spulciare una serie di dati). Internet potrebbe cambiarlo. Come? CreativeCommons. Che e’ fallata perche’ si concentra sul piano squisitamente legale… di licenza… di diritto. Si ferma al piano “meccanico” (qui intendo “legge come macchina”, non “tecnologico”). Quando invece per raggiungere il risultato si deve guardare a questioni architetturali; concentrazione (in Stato, Banca, Editore, SIAE, etc) e distribuzione (verso gli individui che scrivono, ballano, arteggiano), o distribuzione diretta da me fruitore a te scrittore di blog? Nel secondo caso, visto e considerato che esistono milioni di persone assolutissimamente interessanti da seguire… beh… le folle si sparpagliano, le superstar scompaiono, lasciando solo un 5-10% di autori che mangiano con la propria arte. Che non e’ “coda lunga”, ne’ “punta dolce”; e’ fisiologia. Ogni essere umano ha solo 24 ore al giorno, e usandole tutti i giorni ha bisogno di raggiungere il suo giga di entropia… in particolar modo da giovane e curioso. Quello e’ il limite degli artisti. Si puo’ sostenere la produzione artistica molto meglio di quanto si e’ fatto negli ultimi 1000 anni al solo costo di non avere piu’ dei Michael Jackson, le Madonne, e gli Eros Ramazzotti. Le superstar. Che in termini di arte ci sarebbero comunque, ma non guadagnerebbero piu’ in 5 anni l’equivalente di un bilancio statale; del bilancio di decine di milioni di persone. Solo chiesa e mafia, oltre alle superstar e gli stati, dispongono di tale ricchezza; qualcosa dovrebbe indicare.
Questa evoluzione ovviamente si intoppa sulle pratiche scorrette di governanti e i loro circensis, di industriali e le loro velleita’ di costruire piramidi, etc. Ma anche sulla capacita’ diffusa di distinguere tra chi scrive per se e chi scrive per concentrare buoi sul proprio ego. Accusa e complotto sempre in agguato, non sempre triggherata dal proprio livello di paranoia sufficiente e necessario. Paranoia che e’ diventata assolutamente eccessiva quando qualcuno ha identificato un fantomatico insieme di persone che scrivono su un blog… per farne un fenomeno di costume. Come e’ accaduto anche “ai grillini” e a tanti altri fenomeni invece sfumati (senza contorni, non categorizzabili). Conta i “partiti di internet”… ad esempio. Nati sulla falsa riga della Dichiarazione di Indipendenza del Cyberspazio del 1996. Cerchi nell’Io.
Chi e’ arrivato nel 2001, ha iniziato un libro dall’8o capitolo (cfr. Cassandra su un PI di qualche mese fa); e’ arrivato al 12esimo; e ora che non ci sta capendo piu’ nulla o ritrova continuamente pensieri preesistenti a cui e’ approdato di recente… si chiede se ci siano soffitti, pavimenti, solai: no, tranquilli, fate il vostro percorso… noi vi guardiamo, ridiamo, sfottiamo anche… ed e’ cosi’ bello vedervi evolvere insieme a noi. Continuate… arriverete presto a cercare Winston Smith.
Buon proseguimento Mante… buon proseguimento…
Gennaio 10th, 2010 at 15:02
c’e’ anche un commento interessante di Malvino qui ( http://malvino.ilcannocchiale.it/post/2415461.html)
Gennaio 10th, 2010 at 17:20
Ti spiace se commento qui che… Il Cannocchiale non mi piace?
Dunque il problema anche secondo Malvino sembrerebbero essere i markettari… quei personaggi istituzionali che danno un calcio al pallone con il solo fine di apparire al centro del campo insieme al campione professionista che attende il fischio di inizio della partita “vera”, e acquisire cosi’ una parte del cuore dei tifosi del professionista. E chi e’ il professionista? Quello che calcia per se. Quello che scrive per se, non per il brand.
http://www.youtube.com/watch?v=WVv0HbQdidY
Ma tanto oramai se ne sono accorti; qualcuno sta andando in giro a fare presentazioni sulle azioni che, in rete, ti seguono finche’ morte non ti separa da noi… dando ovviamente per scontato che se accade, e’ perche’ muori prima tu… tie’… eheh… nei passati 3 anni mi davano del pazzo quando SqReg-giavo di Grande Verbale… a breve diventera’ una RegExp. Fino al 2008 ci sono stati “bloggher” che andavano a Dubai… altri che andavano ad Arcore… altri che venivano ricevuti nientepopodimenoche l’illustrissimo Pres. Bush… poi, come in tutti gli Schema Ponzi, quando finisce il flusso di denaro in ingresso non si riesce piu’ a mantenere il flusso di briciole in uscita e la black box diventa trasparente per quel poco tempo sufficiente ad intravedere il fallimento del sistema. E allora rimangono solo i Nino, le loro paure, e i loro calci di rigore. A me questa uscita di Galatea appare solo come un momento di Incertezza… forse qualcosa che dipende piu’ dalla sua crescita, eventi della sua vita, che il blog di per se…
Gennaio 10th, 2010 at 23:16
ottimi i commenti di mfp, soprattutto parlando di cosa e quando è stato fatto in rete, in generale, e quando realmente è diventato di massa, per molti era passato prossimo..un pò come masterizzare i giochi craccati con un 2x2x6x (chi non ricorda i twilight degli anni 90?) e vedere oggi i marocchini che te li rifilano per strada (e qualcuno ci chiede anche la garanzia che funzioni e si veda bene…ma baf..)
giustamente viene interpellata anche la creative commons che si occupa squisitamente del contenzioso legale, ma che non supporta in alcun modo la persona..ritengo comunque che la condivisione di idee, progetti, ragazze, sia da disarticolare brevemente: a scuola chi copiava veniva punito, perché sanguisugava voracemente il lavoro degli altri per apparire migliore. oggi, realmente, a chi piacerebbe che qualcuno gli soffiasse una brillante idea, non da diventar ricchi, per carità, ma per soddisfazione personale e che ci possa campare sopra, rischiando tanto, troppo, con una bella stupidaggine “creative commons”? un conto è fare pensieri da crocerossina o da farmaci senza frontiere, un altro è discutere su quello che ogni persone vuole fare della propria vita. un pò la storia delle licenze, che nessuno è mai riuscito ad affrontare e che, quindi, alcuni hanno deciso di elidere volontariamente trincerandosi dietro queste cose ed inserendo personaggi che fanno “il lavoro sporco” per incrementare senza spese il proprio status/prodotto (open source)
Gennaio 11th, 2010 at 06:03
[…] Frammenti di vita nei cortili – manteblog […]
Gennaio 11th, 2010 at 11:13
NetFlier, non ho continuato a scrivere perche’ mi sembrava troppo presuntuoso “dire a tutti” che erano stupidi a pagare la Valtur per sterilizzarsi le vacanze esotiche; e cose del genere.
Gennaio 11th, 2010 at 13:37
durante le feste di natale, in relatà in un pomeriggio e una notte delle mie feste di natale, ho letto “Il mondo deve sapere”, ossia la versione libro del blog che un paio di anni fa mi pare Michela Murgia ha scirtto sulla sua esperieza al call center della Kirby.
A questo libro Virzì si è ispirato per il suo film “Tutta la vita davanti”.
Conoscevo personalmente Michela, non benissimo, ma abbastanza bene da saper che non è un’amica persinale di Virzì, di nessun produttore e nessun regista.
Allora forse il tetto di cristallo non c’è per tutti, ma solo per chi, per sua stessa ammissione, non sa scrivere
Gennaio 11th, 2010 at 15:00
Naaaaa….
Bardo: anche quella e’ roba da “radici cristiane”… si tratta soltanto di convenienza. Perche’ fino al 2002-2003 i politici si lamentavano che non avevano carne fresca da macellare nei loro circoli giovanili e ora invece le file davanti ai partiti si sono allungate? Perche’ anche in facolta’ dove i concorsi di tanto in tanto andavano deserti (es: giurisprudenza) dato che le carriere offerte fuori apparivano piu’ remunerative (es: avvocato), o piu’ affidabili (es: giudice/notaio, lo stato paga sempre)… oggi sono estremamente affollate? Convenienza. Non paura di confrontarsi; quello e’ il vizio della cristianita’, che e’ sempre stata paranoica (parte fondamentale della politica clericale nei confronti del gregge e’ raccontare balle per garantire il bipolo inferno/paradiso). I fanciulli che si son dati a facolta’ inutili e oggi pretendono di fare la propria professione avrebbero fatto bene a pensarci prima. Io, quando ho capito che l’ingegner informatico era un abominio… mi son studiato la matematica – che e’ l’unica cosa sostanziale di ingegneria informatica – e me ne sono andato per la mia strada senza prendere The Piece Of Paper (che “guarda caso” oggi appare inutile; vai sul blog di Quintarelli, cerca un post di un paio di mesi fa dove ci sono i dati demografici di ingegneria che ha prodotto Decina a Torino mi pare, e scorri i commenti; c’e’ un pinocchietto che rosicava perche’ io oltre a studiare e lavorare trovavo anche il tempo di giocare a D&D mentre lui faceva il soricicchio tra Mamma Universita’ e Papa’ Stato). Resistance is futile, you’ll be assimilated.
Onestamente, questi commenti da Saggio Cristiano mi fanno irrigidire; e non si fa; siamo nel periodo della benevolenza post-Apocalisse (Morbida diceva un comico… ma e’ stata morbida solo per chi non ha ben chiaro come essere Uomo; e quindi adesso bisogna bastonare un po’ di gengive per rinforzarle). Teneteveli. Che al Mante basto io per insozzargli il blog.
p.s.: “soricicchio” -> http://www.meganetwork.org/video/20100101_dirittodautore.mp4
Gennaio 13th, 2010 at 13:18
ma se il termometro per capire se c’è comunicazione tra Internet e resto della realtà è se mi pubblicano o no il blog, oggettivamente, o hai sbagliato termometro o non hai la febbre, visto che ad altri, tra l’altro molto poco dodati artisticamente e molto sfigati socialmente, come MIchela Murgia, il blog glielo pubblicano e come.
Traducendo: o il discorso è tutto impostato male, come sugggerisce mantellini, o sei ancora più incapace a scrivere di una che ha fatto il call center alla kirby.
Ad ognuno la soluzione preferita.
Gennaio 13th, 2010 at 13:21
mfp, ti avrei anche rispoto più nel merito, se avessi capito una parola di quello che hai scritto.
Tu e Galatea allo stesso corso di comunicazione?