16
Ago
scritto da: massimo mantellini

Ci sono partite che si possono vincere altre che si possono perdere. Poi ci sono quelle che non ha senso giocare. Questa e’ una di quelle. Sara’ noioso ma a questo punto dopo aver tanto ironizzato comincio a credere sia giunto il momento di preoccuparsi. Alludo al rapporto fra blog e informazione di cui tanto abbiamo discusso in questo ultimo anno; alludo, per essere piu’ preciso, al gioco al massacro che la stampa italiana ha intrapreso nei confronti della editoria personale in rete. Prima di chiedersi perche’ cio’ accade e’ giusto chiedersi se effettivamente accada o se invece siamo noi blogger, noiosi e autoreferenziali, ad avere le traveggole, a parlarci addosso convinti di veleggiare altrove.

Alcune delle citazioni che troverete in questo pezzo sono gia’ state esposte nel mio intervento al convegno del 26 giugno scorso all’Universita’ di Viterbo, mi perdonera’ chi c’era. Allora l’argomento e’ questo: da un annetto a questa parte una larga parte della stampa italiana tecnologica e non ha concentrato la sua attenzione sui weblog. Da questa attenzione sono nati decine di articoli su quotidiani, settimanali, mensili e giornali femminili. Divulgazione: tecnologia spiegata alle masse. Un lavoro certamente difficilissmo.

Prima annotazione che salta immediatamente agli occhi a chi come me abitualmente legga i giornalisti tecnologici italiani. I pezzi sui weblog sono pieni di opinioni. Wow! Si tratta di una vera novita’. Se c’e’ una categoria giornalistica italiana abituata a non esprimere il minimo convincimento e’ quella di chi scrive di tecnologia. Ce ne sarebbe in effetti un gran bisogno e non da oggi. Peccato che nessuno lo faccia. Le ragioni di questa sospensione del giudizio sono di facile comprensione, probabilmente assai istruttive: parlarne oggi ci porterebbe troppo lontano. Prendiamolo come un dato di fatto in attesa di improbabile smentita. I giornalisti che scrivono di tecnologia sui principali quotidiani italiani (con qualche eccezione luminosa) in genere non posseggono giudizi. Hanno solo informazioni da allungarci, caratteristiche tecniche da esporre, fenomeni sociali legati alle nuove tecnologie da raccontare. Un stampa di opinione sulla tecnologia in Italia non e’ praticamente mai (o ancora) esistita.Bene, escono i primi articoli sui blog ed ecco che assistiamo quasi increduli alla rivoluzione dei senza giudizio. Non esiste articoletto sui blog fra le decine che abbiamo letto, che non contenga un convincimento dell’autore, un insegnamento morale per il lettore, un punto di vista sull’impatto futuro di questa forma di comunicazione. Un passo in avanti? Una presa di coscienza improvvisa della propria capacita’ di esseri pensanti oltre che scriventi? Magari.

Seconda annotazione: il merito dei giudizi espressi con leggerezza e convinzione sull’essenza dei blog e sulle loro prospettive future e’ sempre il medesimo. Anche questo, ammetterete, e’ assai strano. Improvvisamente tutti pensano e pensano alla stessa maniera. Per chi non ci credesse ecco i tre pareri di tre noti giornalisti tecnologici italiani. Nulla di personale, ho preso semplicemente i pareri di quelli che scrivono regolarmente sui tre piu’ venduti quotidiani italiani:Riccardo Stagliano’ di Repubblica nel suo libro Giornalismo 2.0:

“Niente piu’ scuse quindi: chi ha qualcosa da dire puo’ farlo, comportandosi, di fatto, da giornalista, senza bisogno di giornali che accettino i suoi pezzi o di Ordini che ne certifichino l’abilitazione professionale. E’ anche chiaro che l’abbattimento di questo ultimo steccato provochera’ una valanga di pensierini narcisisti, infiniti sbrodolamenti sulle materie piu’ microscopiche e tanta roba di cui a nessuno – eccezion fatta, forse per amici intimi e familiari – freghera’ un bel niente.”

Carlo Formenti del Corriere della Sera in una intervista a l’Espresso

“e poi una scrematura fisiologica (oggi circa il 60 per cento dei blog è costituito da diari personali) che eliminerà  la fuffa e premierà  i weblog più utili, quelli di servizio, consolidandoli su livelli di alta professionalità”

Anna Masera de La Stampa in un articolo sull’inserto Tutto Libri.

Proliferano i diari online, sono diventati uno status symbol, ma di fatto esprimono solo un inutile e noioso trionfo dell’io

Un passo indietro. Torniamo all’era pre-blog. In Italia nel 2001 e’ stata approvata dal governo di centro sinistra con l’appoggio inconsueto di tutta l’opposizione e la sola astensione dei verdi la legge 62 nota come legge per l’editoria. Il provvedimento nato originariamente per consentire i finanziamenti statali anche agli editori decisi ad investire sul web ha invece totalmente stravolto il concetto di prodotto editoriale equiparando sostanzialmente qualsiasi pagina web con un aggiornamento regolare ad un quotidiano. Secondo le applicazioni letterali di questo sciagurato provvedimento oggi qualsiasi blog dovrebbe avere un direttore responsabile per non incorrere nel reato di stampa clandestina. Bello no? Per stessa ammissione degli interessanti questo disegno di legge e’ stato voluto dalla federazione della stampa e dagli editori tutti. Le ragioni sono ovvie e intuitive. Basti dire che non e’ bastata la piu’ grande petizione che la rete Internet italiana abbia conosciuto fino ad oggi per risolvere questa ambiguita’ legislativa. Quasi 60000 firme che se ne stanno chiuse in un cassetto in Parlamento ignorate per ovvie ragioni di opportunita’ politica. Come se non bastasse oggi i medesimi soggetti stanno lavorando per rendere questa limitazione della nostra liberta’ di comunicazione ancora piu’ stringenti. Questo e’ il panorama nel quale si muovono oggi i blog italiani, queste le premesse dalle quali muoversi per comprendere cio’ che sta accadendo.

Ho iniziato dicendo che sono stanco di scherzarci sopra e inizio ad essere preoccupato. E’ cosi’. Siamo ancora alla fase del se. Cerchiamo di capire se queste valutazioni di inconsistenza dei blog espresse con convinzione sui grandi media da giornalisti che hanno miracolosamente riacquistato la parola abbiano un senso.

La mia idea e’ – lo avrete capito – che si tratti di posizioni pretestuose che nascondono qualcosa. Ma sara’ davvero cosi’? Molte delle critiche che si rivolgono ai blog italiani fanno riferimento a difetti congeniti ai quali i blogger sembrerebbero non volersi sottrarre. Il primo, spessissimo citato, e’ quello della autoreferenzialita’. Si tratta – a dire il vero – di una critica fondata, almeno quando se ne parla in maniera generica. Molti blogger fra i tanti che hanno iniziato a frequentare i weblog negli ultimi mesi denunciano una insopportabile tendenza dei soliti noti alla citazione reciproca, al continuo rimando delle medesime fonti, all’utilizzo di un linguaggio per iniziati che renderebbero la navigazione nella blogosfera spesso noiosa e poco fruttuosa. Personalmente trovo che cio’ sia vero ed anche da correggere, cosi’ come credo che sia in realta’ anche parte della rappresentazione esteriore della architettura della blogosfera, vale a dire di quella rete di rapporti reciproci che legano fra loro decine di blog molto differenti. Ogni blogger vive una forma di autoreferenzialita’ piu’ o meno spinta che lo collega ad altri, ogni blogger sceglie per sè una rete di punti di riferimento ai quali preferenzialmente si collega. Resta da capire se sia piu’ innaturale pensare che un simile ambiente di riferimento debba attrezzarsi per accogliere chiunque capiti da quelle parti o se invece non sarebbe il caso che ognuno di noi basi sui contenuti che e’ in grado di proporre agli altri la propria eleggibilita’. Se ci si riferisce a questo non esistono davvero chiusure assolute nei confronti di nessuno. Scrive a proposito B.Georg in un post di pochi giorni fa che condivido interamente:

Il meccanismo è semplice, quasi infantile: se scrivi o segnali cose che a qualcuno paiono interessanti, prima o poi sarai letto, apprezzato e segnalato a tua volta (non “da tutti”, ma da chi ti apprezza. “Tutti” non esiste). E’ così che le informazioni prendono le loro strane e imprevedibili vie. Se invece cominci a ragionare di centri, di periferie, di consorterie e mafie, di bello e di brutto, se sbrachi e navighi nella merda, ti ritrovi giornalista senza nemmeno sapere il perché (o magari persino scrittore, non sia mai).

Se cio’ non bastasse qualcuno denuncia una sorta di impermeabilita’ a nuovi contributi ed una divisione fra blog di serie A, blog che per qualche ragione hanno saputo attirare l’attenzione su sè stessi e la grande marea dei blog non noti. I primi che godono di una visibilita’ anche sui media, che sono citati da decine di altri blog, che sono in grado di scatenare polemiche e dibattiti, i secondi che per qualche ragione nessuno sembra apprezzare al di fuori della cerchia ristretta di parenti e amici.La mia impressione di blogger di serie A (definizione non mia per carita’ e per me completamente senza senso) e’ che semplicemente la blogosfera sia tutt’altro che un ambiente chiuso e che semmai la selezione fra weblog molto letti e molto citati e weblog ignorati sia legata in buona misura ai contenuti che simili siti offrono ai lettori. E sebbene non sia un ambiente chiuso non la si puo’ certamente definire nemmeno un ambito aperto, ricordo che in definitiva stiamo parlando nella grande maggioranza dei casi di pagine web personali seppur spesso dotate di commenti. Si potrebbe forse interrogarsi sulle ragioni per cui alcuni weblog raggiungono un ascolto molto alto quasi improvvisamente (vedesi per esempio il caso di Brontolo) ma e’ indubbio che la circolazione e il passaparola dell’esistenza di blog con contenuti interessanti avviene nella blogosfera molto rapidamente. Molto piu’ rapidamente che altrove in rete. Si tratta in definitiva di una selezione qualitativa: quello che magari ad alcuni commentatori non piace e’ che il concetto di qualita’ applicato correntemente ai blog da chi i blog frequenta, spesso non coincida con quanto, per antica abitudine, si vorrebbe imporre ai lettori.

A tale proposito Stefano Porro di Quinto Stato, giornalista che insieme a Carlo Formenti e Walter Molino si e’ reso responsabile almeno in parte del dibattito su come dovrebbero essere i blog (e su come invece non sono) in una recente intervista a L’Espresso dice:

“basterebbe poco per per migliorare la blogosfera italiana in termini di pubblica utilita’:basterebbe che la cosidetta elite abbassasse un po’ la cresta e si rendesse conto di far parte di un processo di comunicazione globale a cui potrebbe contribuire in modo piu’ fruttuoso”

Si tratta in realta’ di un miglioramento del quale in tanti non sentono alcun bisogno. Quanto alle creste da abbassare e’ assai evidente che basterebbe non leggerli certi blog d’elite e simili creste si abbasserebbero spontaneamente. Cosi’ invece sembra non essere e la blogosfera e’ piena di blog molto letti e molto apprezzati che sfuggono completamente all’ideale che Quinto Stato rumorosamente va affermando da tempo.

Perche’ allora i giornalisti odiano i blog?

Credo che le ragioni siano molte. La prima e’ certamente una ragione competitiva. Nel momento in cui l’informazione, il rimando a notizie raccolte in rete, il parere di esperti delle materie piu’ varie che hanno un blog, salta il filtro solito dell’editoria professionale i suoi rappresentati vivono questo affronto giustamente come una pericolosa invasione di campo. Oggi per molti utenti evoluti dell’informazione i blog sono diventati una fonte quotidiana di spunti, collegamenti commenti e quant’altro e lo sono diventati a scapito di altre fonti, prime fra tutti quelle autorevoli e dotate di direttore responsabile. Si cerca cosi’ di contestare questa evidenza (in Italia ancora non accade ma in USA per esempio il potere di indirizzo di certi blogger molto letti e’ ormai simile a quello di un quotidiano) nella maniera piu’ semplice fra le tante disponibili: denigrando cio’ che spessisimo non si ha la possibilita’ di essere.

Liberi, velocissimi, ascoltati. Il sogno infranto di gran parte dei professionisti dell’informazione del belpaese. Oppure con qualche quarto di raffinatezza in piu’, sottolineando ogni volta possibile gli aspetti negativi certamente esistenti anche nei blog ( ma connaturati al mezzo elettronico e certamente non specifici del media stesso) quali il rumore di fondo, l’inconsistenza e la caratterizzazione personale di moltissimi weblog. Come se per spiegare che cosa e’ un libro si decidesse di sfogliare un testo di Alberoni o un romanzo di Bevilacqua o un saggio critico di Vittorio Sgarbi. Per rendere l’idea. Liberi, velocissimi e ascoltati. I blogger talvolta lo sono e lo saranno sempre di piu’, hanno la possibilita’ di esserlo ed anche solo questa potenzialita’ sembra un affronto da lavare nel sangue. Liberi velocissimi e ascoltati sia che scrivano o discutano di politica, di musica, di sport, di tecnologia. Un flusso di pensieri che si disinteressa della autorevolezza certificata di chi scrive e che invece basta a sè stesso. Da quando esistono i sistemi di personal publishing, da quando abbiamo tecnologie per aggregare simili contenuti e per tenerne traccia, il cammino del lettore dalle 4 fonti sul web che era solito leggere ad una moltitudine di siti informativi articolata e varia (siti di news, weblog, e-zine, mailing list ecc) da consultare ogni giorno e’ iniziato. Se si vuole fare la figura dei fessi si puo’ provare ad opporsi. Cosi’ accade curiosamente che per i giornalisti i blog non siano informazione mentre per gli scrittori non sono letteratura, per i poeti probabilmente i blog non saranno nemmeno poesia.

Io che non capisco nulla ma rivendico la mia unicita’ di lettore: leggo giornalisti come Paolo Valdemarin, leggo scrittori come Massaia, leggo poeti come Arsenio Bravuomo. E devo dire che nella mia ingenuita’, disinteressandomi alle etichette, trovo queste letture interessanti almeno quanto quelle di un testo che acquisto in libreria o di un quotidiano raccattato in edicola. E continuo a non leggere Alberoni ne’ Bevilacqua e nemmeno Sgarbi. Da parecchio tempo a questa parte un manipolo di giornalisti che scrivono su quotidiani con centinaia di migliaia di lettori mi stanno continuando a ripetere che tutto cio’ non e’ possibile, che cio’ che a me pare giornalismo/letteratura/poesia e’ solo diarismo autobiografico, sfogo dell’io di persone senza ne’ arte ne parte, innamorate della propria immagine specchiata in un fetido stagno. Per me, semplicemente, non e’ cosi’.

Esistono altre ragioni meno importanti per cui i giornalisti odiano i blog. Intanto i blog sono diventati in tutto il mondo un centro di filtro del loro lavoro. Tu scrivi una stupidaggine e nel giro di poche ore troverai decine di blog che la riportano, la analizzano e la sbeffeggiano. E’ una forma di giudizio popolare (spesso piuttosto primitivo e grossolano) al quale la stampa non e’ abituata. Usa, come se non bastasse, i suoi stessi linguaggi e le sue stesse modalita’ espressive. La rubrica lettere al direttore, una volta unico spiraglio di un feedback edulcorato e benevolo oggi ha occupato spazi inimmaginabili, fino ad assediare i giornali stessi.Cosi’ il re e’ nudo e lo e’ in mille pose differenti. I giornalisti – tocca dirlo – come noi, spessissimo, copiano. Prendono un articolo dalla stampa internazionale lo traducono alla bellemeglio e lo spacciano come farina del loro sacco. Da quando esiste Internet e tutti hanno accesso alle fonti che una volta erano riserva di caccia dei professionisti dell’informazione il giochetto e’ diventato molto piu’ pericoloso. Ecco un’altra ottima ragione per odiare i blogger, i cani da guardia dell’informazione. Non basta?

Attorno ai blog, alle formidabili innovazioni tecnologiche ad essi legati si stanno coagulando energie ed intelligenze. Persone che comprendono potenzialita’ e freschezza di simili forme di comunicazione e che decidono di studiarle e seguirle, che provengono esse stesse dal mondo del giornalismo e della cultura (penso a Telco di Franco Carlini, al Barbiere della Sera a Nazione Indiana), liberati dal giogo di mendicare una collaborazione saltuaria che non arrivera’, un editore che il tuo libro non distribuira’ a dovere, uno spazi minimo e malpagato su un quotidiano che vende a malapena 3000 copie. Un castello di piccoli e grandi privilegi che inizia a crollare perche’ nasce una alternativa certamente non economicamente significativa ma almeno soddisfacente dal punto di vista personale. E allora per finire magari un po’ scherzando.

I giornalisti (non tutti i giornalisti per carita’) odiano i blog perche’ talvolta pensano che il foglio di carta che hanno faticosamente raccimolato, l’iscrizione all’ordine professionale li debba in qualche maniera garantire dalla marea di “fancazzisti” che si affacciano oggi in rete ad imitarne le gesta. I giornalisti (certi giornalisti per carita’) odiano i blog perche’ il mondo editoriale italiano ha in questi anni selezionato spesso per clientele (come tutti gli ambiti professionali con un qualche peso) e insomma del cognome che portano si dovra’ pur tenerne conto. I giornalisti (solo alcuni, i peggiori) odiano i blog perche’ vogliono ancora continuare a scrivere che c’e’ gente in giro che fa crescere i gatti in bottiglia e gli scoccia che qualcuno gli faccia notare che si tratta di una balla (e loro, poveri che ci hanno creduto). I giornalisti odiano i blog perche’ non sanno cosa siano e non hanno nessuna voglia di informarsi. I giornalisti (solo alcuni i piu’ zucconi) odiano i blog perché pensano che per comunicare con gli altri si debba frequentare una scuola apposita se no poi gli altri (che sono zucconi) non ti capiscono. I giornalisti (molti, non tutti, ma molti si’) odiano i blog perche’ odiavano Internet prima e gran parte del lavoro era gia’ fatto e allora fatto 30 facciamo 31. I giornalisti odiano i blog perche’ e’ come in quel gioco nel quale ad ogni stop della musica si toglie una sedia. E insomma, loro, con rispetto parlando, hanno paura alla fine di rimanere in piedi. A guardarsi la punta delle scarpe pensando a tutta la fatica sprecata per non essere poi proprietari di un bel niente. Esattamente come un blogger.

(10 luglio 2003)