03
Mag




Pensavo che Silvio Berlusconi in relazione alla sua malattia avesse deciso di dimettersi da senatore. Poi invece era la solita questione delle persone che lavorano con le parole che non conoscono le parole.

Il gatto ha vomitato i fiori del terrazzo sul tavolo del terrazzo. Questo che vedete è il risultato. Il tavolo è in acacia (questo per la precisione). C’è in ascolto qualche ebanista anche amatoriale in grado di darmi qualche consiglio? Grazie.

Le ragioni per cui la destra italiana sostituisce la parola liberazione con la parola libertà, una parola simile ma molto differente, sono due, entrambe interessanti.

La prima è che dal punto di vista della comprensione del testo le due parole hanno implicazioni molto differenti. La libertà è un concetto astratto, buono per ogni stagione, la libertà è ottima, va bene sempre e non richiede ulteriori approfondimenti. Vuoi essere libero? Sì, lo voglio. Eccoti allora la tua festa della libertà.
Liberazione invece è un termine interlocutorio, rimanda a successivi inevitabili approfondimenti. È così per chiunque la ascolti, anche per chi in quel momento è distratto o abbia fatto la terza media. Liberazione? Quindi prima eravamo prigionieri e a un certo punto siamo stati liberati? Da chi? La parola liberazione impone una successiva specificazione: siamo stati liberati dai fascisti, siamo stati liberati dai nazisti. Un simile approfondimento fattuale, tra l’altro un dato storico incontrovertibile, che non può essere certo combattuto con le assonanze fra parole differenti, è un confine oltre il quale buona parte della destra al governo non intende spingersi. Ed è curioso che si offendano quando poi inevitabilmente li si accusa di derive neofasciste. Magari fanno finta di offendersi e nel silenzio delle loro camerette gongolano.

La seconda ragione è che sostituire libertà con liberazione è anche un tentativo più generico di confondere e di non spiegare. Si usano parole simil convinti che una parte dell’elettorato, quello culturalmente più debole, non se ne accorga. L’utilizzo di strumenti del genere è un altro piccolo pezzetto del meccanismo di controllo dei regimi. Il cittadino come suddito stupido al quale dettare un’agenda quotidiana di cose irrilevanti, tacendogli quelle importanti.




Fra tutti i giochetti semantici che la destra adotta da anni in occasione del 25 aprile quello di sostituire la parola liberazione con la parola libertà è uno dei più miserabili e uno dei più patetici. Che il Corriere della Sera ci faccia il titolo di testa (dietro il piccolo ridicolo alibi del virgolettato) è abbastanza disgustoso. Il carro dei vincitori è ogni volta molto affollato, pieno di gente che sgomita per farsi notare.


(via annalisa camilli su Twitter)

La macchina del fango è ormai un metodo giornalistico consolidato ovunque. Così i due principali giornali di “centro sinistra” trasformano in notizia un pettegolezzo su un giornalista di destra che anni fa avrebbe confessato ad un tizio di essere omosessuale. Tutti infamano tutti ovunque.



20
Apr

Il problema principale del governo di Giorgia Meloni è un problema olfattivo. Come certi olii al tartufo che vendono all’autogrill, la politica di FDI si è in questi anni molto concentrata sul profumo delle cose che diceva. Molto meno sul concreto significato e sulle conseguenze che simili affermazioni comportavano. “Non siamo fascisti”, ripetono sottovoce e con qualche cautela nelle situazioni di imbarazzo che ogni tanto capitano. Contemporaneamente profumare di fascismo non sembra dispiacergli per nulla. “Il profumo di” è, da sempre, una delle chiavi interpretative, se non l’unica, che Meloni, La Russa e compagnia propongono ai loro potenziali elettori. Profumiamo dei bei tempi andati, dei treni in orario, del razzismo naturale dei tempi delle colonie? Ci votate? La risposta l’abbiamo vista.

Così chi avrà orecchie per intendere le allusioni, i vezzi del linguaggio, le citazioni nascoste, capirà. Se non capirà ci penseranno i media a sottolineare i “boia chi molla” dei nostri attuali governanti. Per quelli che non capiranno perché non sono interessati a faticosi distinguo, per gli elettori di Meloni con la testa ben salda nel novecento delle italiche meraviglie, quelle frasi suoneranno come pura ragionevolezza.

La discussione sul presunto infortunio di Lollobrigida sulla “sostituzione etnica”, è una discussione senza senso: Fratelli d’Italia è un partito semplice, ripete le stesse quattro cose da anni, non è nemmeno troppo importante che i vari esponenti che le urlano dai palchi (Meloni compresa) le abbiano capite (come Lollobrigida ha confermato ieri), l’importante è che suonino bene, che profumino del profumo giusto. La razza, la patria, la purezza della lingua, i figli quelli veri, e tutto il florilegio di imbarazzanti luoghi comuni che rimandano al ventennio senza citarlo direttamente, sfiorandolo appena. Ogni frase di Meloni e compagnia profuma di fascismo: molto volte solo in un accenno, altre volte, come in questo caso, con grande potenza e con grande, indicibile senso di (nostro) soffocamento.

Trovo abbastanza stucchevole continuare ad osservare i numeri declinati delle vendite dei quotidiani in Italia (stucchevole prima di tutto per me, che li ho osservati per così tanti anni immaginando che quelle informazioni sarebbero state importanti per tutti). I quotidiani da noi non sono più, da tempo, scritti per i lettori e tanto meno finanziati da chi li acquista. Sono centri di potere e la loro esistenza si giustifica al di fuori di qualsiasi logica di pluralismo e democrazia informativa. L’assenza di lettori (o il loro calo verticale) è così una variabile accessoria sulla quale non è così utile soffermarsi (abbiamo del resto molti piccoli esempi illuminanti di giornali senza lettori di cui si parla di continuo, piccole bombette informative nelle mani dei loro padroni che in alcuni casi acrobatici riescono perfino a farsele pagare dal contribuente). Molto più importante sarebbe sottolineare l’assoluta penuria di una idea di giornalismo al servizio della comunità, quella per davvero in rapida estinzione; idea vecchia quanto volete ma che in altri Paesi con grandi difficoltà è ancora in piedi mentre da noi è da tempo ridotta ai minimi termini e affidata a piccole realtà coraggiose e marginali. La scommessa e la diffusione di simili progetti dipende dalla comunità che li circonda: in questi anni la comunità che li circonda ha continuato a ripetere che per lei è sufficiente il pastone che il potere assembla per loro ogni giorno.

08
Apr

Se il cretino si rendesse conto delle cretinate che dice, specie se ha la sventura di ricoprire un ruolo pubblico e quindi almeno in qualche occasione costretto dalla sua posizione a dare segno di sé, sarebbe un po’ meno cretino. Esistono cretini un po’ meno cretini, di una cretineria più sotterranea e repressa, persone che intuiscono, a tratti e vagamente, qualcosa della propria condizione e tentano, a tratti e vagamente, di porvi rimedio. La loro cretineria condiziona ugualmente le scelte politiche e dell’amministrazione ma la loro reputazione resta in qualche maniera mimetizzata. Sono cretini noti solo ai loro contatti più intimi. Mi sembra di poter dire che questa categoria in un Paese in cui storicamente il cretino ha maggiori chance di emergere di molti altri, è oggi meno frequente di un tempo. Prevale il cretino a tutto tondo, quello senza dubbi, quello che quando dal più profondo della sua mente sale un minimo refolo di dubbio, sa come ricacciarlo indietro con decisione. Il cretino senza dubbi è l’ultimo stadio della selezione politica. Oltre di lui c’è il nulla, la fine della società, la morte del senso comune. E nessuna possibile resurrezione.

L’Italia non è solo il Paese delle mille norme e dei mille regolamenti, talvolta in contrasto uno con l’altro, ma è soprattutto il Paese delle dotte interpretazioni di quelle norme e di quei regolamenti da parte di strutture decisionali ogni volta differenti, ognuna delle quali comunque dotata del proprio diritto di veto. Mille piccoli poteri dentro mille piccoli campanili che si affrontano quotidianamente. Simili norme e simili regolamenti vivono così una vita propria che prescinde spesso da ogni valutazione di costi e benefici per la collettività.

In Italia il burocrate e il potere sono saldamente al centro della scena: parlano continuamente del popolo ma si occupano del popolo solo in termini astratti ed ideologici. Dissertazioni perfette per i testi giuridici ed i convegni (specie in quelli internazionali dove simili vaste coperture suscitano l’ammirazione di tutti) nei quali al cittadino è offerto il maggior grado di protezione possibile dentro teorie affascinanti.

In pratica la fitta rete di norme ed interpretazioni che il potere fa germogliare attorno a sé ha due effetti immediati: non migliora la vita dei cittadini e blocca sul nascere, più o meno intenzionalmente, qualsiasi innovazione che non provenga da quel medesimo potere. Se l’innovazione è contigua al potere, un esempio per tutti il telemarketing che ha distrutto le reti di telefonia fissa e intossicato quelle mobili, il potere sceglierà lei e ignorerà il cittadino.