Il ruolo dei media nel processo di graduale imbarbarimento della società italiana è molto potente e molto spesso misconosciuto. Ciò accade, come purtroppo è normale che sia, quando tutta la società – tutta – ha smarrito ogni spinta etica e si occupa esclusivamente della propria sopravvivenza fisica.
Sui casi che riguardano la salute dei cittadini, un tema molto sentito da tutti per ovvie ragioni, la cautela dovrebbe essere obbligatoria, mentre da noi accade l’esatto contrario. I media si buttano sulla preda con la maggior velocità possibile perché il boccone è particolarmente prelibato. Eppure essere cauti in casi del genere sarebbe importante per almeno due ragioni: per una forma di rispetto nei confronti delle vittime e di un mestiere complicato che ogni giorno salva la vita silenziosamente a migliaia di persone e perché, molto spesso, l’esperienza ci indica che le cose raramente sono come appaiono ad un primo sguardo.
Quando Repubblica, il più letto sito informativo italiano, pubblica un titolo del genere applica una cinica strategia per attirare a sé i lettori, opponendosi alla verità (della quale sapremo forse qualcosa più avanti) e ad ogni principio di cautela e terzietà. Nessuno ovviamente cura un infarto con un antidolorifico, ma una simile frase, assieme alla foto della giovane vittima uccisa dai medici incompetenti, è ormai diventato un classico della spazzatura giornalistica italiana.
Ai giornali italiani in fondo la verità non interessa, non gli interessa la reputazione dei soggetti in campo, meno che meno uno sguardo generale sul mondo, tutti elementi che consiglierebbero cautele ulteriori da applicare quando ci si occupa di eventi dolorosi. A Repubblica interessa la propria sopravvivenza ed il proprio ruolo di potere nello scenario pubblico, anche al prezzo di una informazione ormai destituita di ogni reputazione. È un tentativo di affermazione di sé sopra la vita degli altri: quale sia il prezzo da pagare a Repubblica non interessa.