A me pare che una quota crescente del giornalismo italiano, soprattutto nei suoi formati digitali, potrebbe oggi essere riconosciuto dentro questa definizione: giornalismo sentimentale.
Potrebbe sembrare – almeno dal nome – una deriva romantica del mondo dell’informazione, invece il giornalismo dei sentimenti, è tutt’altro. È – al contrario – una forma di rinnovato cinismo, un calcolo: è la conseguenza di una fredda analisi di scenario.
I lettori scarseggiano, quelli che ancora resistono portano pochi soldi all’industria editoriale, sempre meno ogni anno. E benché i giornali, in Italia come altrove, non siano ormai da molti anni un prodotto scritto per i lettori, se non in terza o quarta battuta, perché prima vengono gli azionisti, poi i padrini politici e poi i sempre più sparuti inserzionisti, in tempi del genere far leva sui sentimenti è una forma di invasione autorizzata nell’animo (e nell’attenzione) dei lettori
Le due forme principali di giornalismo sentimentale, le due maggiormente frequentate, quelle più semplici da cavalcare, riguardano l’informazione politica e la cronaca.
Nell’informazione politica siamo ormai parecchio avanti. Quasi tutto si è già compiuto. Tutti, a destra e a sinistra, nelle redazioni dei giornali così come fra i comunicatori politici, hanno sostituito all’enunciazione dei fatti e al confronto delle opinioni un unico sentimento comune: l’indignazione.
La conseguenza dell’utilizzo dell’indignazione come chiavistello per guadagnare l’attenzione del lettori (vale per le linee editoriali dei quotidiani così come per le strategie degli spin doctor dei politici di vertice) ha reso la discussione politica pubblica un deserto di incompiuti. È impossibile informare ed essere informati dentro il giornalismo sentimentale dell’indignazione, perché l’indignazione, quando funziona, è un sentimento che ci assorbirà interamente e renderà marginale e priva di importanza ogni altra caratteristica del nostro essere animali dialoganti. Il lettore indignato sarò un lettore fidelizzato, infinitamente più cretino del precedente ma, finalmente, nostro. Poi come questo possa salvare i nostri conti è ancora da capire ma per l’intanto lo abbiamo strappato agli avversari.
Il giornalismo sentimentale applicato alla cronaca è forse meno rilevante in termini di clima generale, contribuisce forse meno alla separazione finale fra buoni e cattivi, ladri e onesti, simpatici ed antipatici, colti e ignoranti, ma nella sua torbida inutilità informativa nasconde motivazioni e tic perfino peggiori.
Intanto si nutre di tragedie. Ci mostra e ci racconta le tragedie. Le quali esistono, hanno ovviamente un proprio spazio di interesse informativo che ne esce oggi enormemente amplificato. Il giornalismo sentimentale ci tiene ad informarci con puntiglio da archivista di qualcosa che dovremmo sapere già. E cioé che le tragedia – tutte – hanno sempre un’ampia coda di cometa. Chi muore lascia figli, genitori, amici. Chi muore lo fa talvolta in maniera inconsueta, per esempio mentre sta recandosi in auto alla messa di Natale. Se poi chi muore è un adolescente, o un bambino, o una ragazza bellissima, la notizia salirà di grado fino ad occupare la prima pagina nazionale. Anche se la piana brutalità dei fatti ci dice che si tratta di un normale incidente stradale, occorso in provincia di Frosinone ad una giovane donna che purtroppo ne è morta. Una persona che ora noi siamo qui ad osservare morbosamente. Muoiono in incidenti stradali poco meno di 10 persone ogni giorno in Italia: ci sarà spazio per molti titoli, e foto di giovani vite sorridenti spezzate, e terribili coincidenze da raccontare.
Il giornalismo sentimentale ha un solo punto di debolezza molto consistente. Che non può essere mantenuto costante. È un compromesso che tende all’instabilità. Come tutte le tossicosi richiede dosi crescenti per garantire i medesimi effetti. E una volta assunto come standard di normalità non prevede ripensamenti.
Tendi la corda del violino, tendila sempre di più e quella alla fine si spezzerà nelle mani del povero musicista.
Dicembre 28th, 2019 at 21:05
Ho smesso da un pezzo di leggere la monnezza italica. Butto un’occhiata un giorno sì e uno no ai titoli de Il Fatto e di HuffPo e ne ho più che a sufficienza.
Dicembre 28th, 2019 at 21:15
I giornali sono accerchiati da un pezzo, dal feed di Google come da quello di Facebook, oltre al rumore assordante e continuo degli altri social, e da tutti gli innumerevoli siti web di notizie flash, live, à la une. Che fare per sopravvivere? Polarizzare la prima pagina (destra/sinistra, gnocca/orrore quotidiano, bella vita/quarto stato), spararle grosse che più grosse non si può, e via con questo andazzo, che oramai non ha più nessun senso del ridicolo. Cerchiamo almeno noi di conservare il nostro senso dell’umorismo.
Gennaio 8th, 2020 at 13:08
Ottima analisi, anche se forse sentimento e` inteso piu` all’americana (la sentiment analysis). Forse in italiano rende meglio giornalismo umorale.
Gennaio 8th, 2020 at 13:48
Ma monnezza non è una versione di mondezza, che significa pulizia e purezza?