Il 4 agosto 1969, pochi mesi prima di morire a 37 anni, Domenico Gnoli scrive alla madre:
“Purtroppo noi non abbiamo potuto partecipare, non avendo televisione, alla spedizione sulla luna, come avremmo voluto. Pur sempre i giornali che ricevo mi hanno dato un’idea e ti ringrazio per quello che mi hai spedito. Deve senz’altro fare grande effetto, in televisione, mentre invece quando non si può vedere niente, le cose sembrano troppo lontane ed estranee. (…) Certo che quando uno passa il fiore del proprio tempo in un torrido studio a dipingere mettiamo un bottone, come faccio io, allora il dubbio sorge d’essere una mummia, un uomo delle caverne, alienato dal proprio tempo. Ma è solo un dubbio, perché guardandosi in giro le cose ci rassicurano: all’uomo di oggi, all’uomo col quale mi intrattengo con la mia pittura, l’avventura spaziale è ancora profondamente estranea mentre il bottone, eh, il bottone è cucito solidamente al tessuto dell’esperienza d’ognuno.”
tratto da Bassa Risoluzione.
Luglio 19th, 2019 at 22:35
Invito a cercare in rete le immagini delle opere di Gnoli – che, per esempio, ingrandiva a dismisura bottoni, appunto, e asole (con un certo interesse tematico proprio per l’indumento). Iperrealismo non credo. Troppo metaforico.
Luglio 19th, 2019 at 22:58
E gli alberi son alberi, le case
sono case, le donne
che passano son donne, e tutto è quello
che è, soltanto quello che è.
(Camillo Sbarbaro)
Luglio 19th, 2019 at 23:03
…e “a rose is a rose is a rose is a rose”… Sì, forse Gnoli era fissato con l’eterno e perciò salvava il dettaglio.
Luglio 20th, 2019 at 10:01
Non è mai troppo tardi per apprezzare, o tornare ad apprezzare, qualcuno. E, nel caso di Gnoli, rammaricarsi della sua prematura scomparsa. Anche se, Camilleri insegna, quando è che si è “maturi” per morire?