Sono perfettamente d’accordo per tre quarti con il bel post che Luca Sofri ha scritto sulla fine dei libri (dopo i blog pure i libri sono andati) e sono d’accordo anche con il comma aggiunto sul Post da Gianluca Briguglia. Aggiungo due integrazioni che mi sono venute in mente leggendoli.
La prima: il discorso di Sofri sulla permanenza delle tracce nel tempo andrebbe meglio specificato in relazione al tipo di libro di cui si parla. È molto vero per i saggi. Meno per i romanzi. La narrativa talvolta percorre – mi sembra – traiettorie strane: un romanzo può ritornare improvvisamente (magari perché citato in un altro, oppure quando viene preso ad ispirazione per un film), se è un romanzo fortunato può essere tradotto in altre lingue per altri pubblici (cosa che con i contenuti in rete accade in misura molto minore). Insomma per i saggi molto è perduto per la narrativa mi pare un po’ meno.
La seconda cosa che Luca dimentica nel suo post è che in moltissimi casi scrivere un libro, un saggio qualsiasi, qualcosa che a malapena arriverà negli scaffali e che venderà forse qualche centinaia di copie per scomparire dopo pochi mesi, è una forma di accreditamento indispensabile in un numero molto ampio di ambienti culturali e professionali. Moltissimi oggi scrivono libri con questo unico pensiero e tutto sommato fanno benissimo a farlo. C’è un provincialismo formidabile in questo, non tanto dello scrittore in sé ma dei moltissimi che ti accreditano in società in quanto scrittore pubblicato. Con un tomo. Di carta. Nessuna pagina digitale, nessun ebook anche magnifico ti darà accesso ai piani bassi (e talvolta a quelli medi e perfino in qualche caso a quelli alti) del palcoscenico culturale nostrano. Se poi sei uno di quei pazzi che si autopubblicano in formato digitale allora passi direttamente nel girone degli sfigati per definizione. La targhetta scrittore (anche se il tuo libro non l’ha mai letto nessuno), quella di una volta, la mano che regge il mento nella terza di copertina e lo sguardo pensoso, sono il bagaglio minimo per essere accettato in società. Forse anche questo non durerà per molto ma per ora di sicuro un po’ funziona.
update: si aggiunge anche il parere di Antonio Tombolini.
Gennaio 9th, 2014 at 21:18
io il libro cartaceo me lo sono anche visto pubblicare, ma in società non ci sono comunque entrato. Dove ho sbagliato?
Gennaio 9th, 2014 at 21:19
@.mau. avrai scritto una di quelle robe di matematica, insomma hai sbagliato argomento
Gennaio 9th, 2014 at 21:53
ma nessuno me l’aveva detto!
Gennaio 9th, 2014 at 22:05
.mau., massimo io vi accetto in società perchè pubblicate sul blog.
Gennaio 9th, 2014 at 22:54
la maggior parte dei libri sono scritti, e sono stati scritti, da accademici per diffondere i risultati delle loro ricerche e per fare, in tal modo, carriera. fin tanto che la pubblicazione di un libro sarà necessaria a tal fine si continuerà a scrivere libri — non a leggerli, ovviamente — ed i dati riportati in qualche commento al post di sofri stanno a dimostrarlo.
la stampa di questi libri avviene con i fondi di ricerca — al di fuori, quindi, di ogni logica di mercato — e, infatti, io ricevo quasi quotidianamente messaggi di editori che mi chiedono di pubblicare con loro, previo pagamento delle spese. costoro non spariranno dall’orizzonte tanto presto (chiunque abbia qualche contezza di ciò che va sotto il nome di “abilitazione scientifica nazionale” sa di cosa vado cianciando).
Gennaio 9th, 2014 at 23:17
[…] in un suo post dimostra di essere avanti in un argomento che l’editoria non ha ancora […]
Gennaio 10th, 2014 at 09:04
Condivido tutto, anche che l’accreditamento del libro cartaceo non durerà.
Nel mio infinitesimale ho autopubblicato un ebook che ha raggiunto 3.000 lettori: altamente improbabile raggiungerli con un libro di carta.
Gennaio 10th, 2014 at 09:45
Andrea: pur leggermente OT, quel tipo di accreditamento forse vale per alcuni settori tra quelli detti non bibliometrici. In ambito scientifico ormai è quasi tutto online, anche perché il paper su rivista è ampiamente privilegiato rispetto al libro.
Gennaio 10th, 2014 at 11:07
Hai ragione su entrambe le cose. So che la cosa che ho scritto aveva soprattutto in testa i saggi: ma credo che valga, in misura minore e diversa, anche per la fiction. Per quanto la fiction letteraria abbia destini più legati alla nostra necessità di ascoltare storie, come il cinema, per esempio.
La seconda cosa che aggiungi è vera ma, mi pare lo spieghi anche tu, sta dentro nicchie da panda a loro volta figlie di contesti in dissoluzione o sovversione. Insomma, è un inciso interessante per capire il contesto, ma conferma la tesi, secondo me. Cose di margini.
Gennaio 10th, 2014 at 13:01
Concordo pienamente con Massimo sul concetto dei libri come fonte di accreditamento. L’Italia, in questo senso, è tanto arretrata (sul formato carta) quanto provinciale (sul self-publishing “sfigato”).
Gennaio 10th, 2014 at 13:18
[…] su cui Luca Sofri basa la sua sentenza sulla Fine dei libri (già cautamente ridimensionato dalle osservazioni di Massimo Mantellini) hanno un grosso difetto: non contengono un numero che sia uno. Vizio (questo […]
Gennaio 10th, 2014 at 17:19
Mante, basta scrivere cose marginali. Prova anche tu a scriverne di centrali.
Gennaio 10th, 2014 at 18:20
[…] Massimo Mantellini si inserisce nel dibattito “aggiungendo due integrazioni”, come scriv… La prima sottolinea che “se per i saggi molto è perduto, per la narrativa mi pare un […]
Gennaio 11th, 2014 at 00:59
A me fa ridere una cosa.
Sofri pubblicò nel 2008 “una guida in un nuovo mondo di canzoni”, perché “è venuto il momento di cominciare a raccontare la musica di cui è fatta la vita […] raccontando la cosa vera: le canzoni”.
Ci ricasca nel 2011, con un testo che a chi legge il suo blog spesso e da tanto saranno risultate familiari.
Ora ha cambiato idea, ma anziché scusarsi per le sue recenti, inutili e anacronistiche imprese, preferisce rappresentare la sua resistenza agli inviti a pubblicare un libro per “dare un senso e concretizzare le molte cose che scrive online” come una generosa e lungimirante rinuncia.
Gennaio 14th, 2014 at 10:51
[…] bases his statement on the End of books (already cautiously downsized by Massimo Mantellini's comments) have a serious defect: they don't contain any real numbers. A habit (this non-documentation) […]
Gennaio 16th, 2014 at 14:01
[…] stesso piano sono le critiche di Massimo Mantellini, anch’egli sul Post e dal suo blog, che evidenzia come il libro cartaceo sia ancora fondamentale in determinati settori: «moltissimi […]
Gennaio 21st, 2014 at 16:09
[…] tipo di libri (e in questo mi ricollego alle precisazioni espresse anche da Massimo Mantellini sul suo blog) che costituiscono un sistema letterario che ancora non è propriamente intaccato dalle dinamiche […]
Febbraio 14th, 2014 at 07:20
[…] su cui Luca Sofri basa la sua sentenza sulla Fine dei libri (già cautamente ridimensionato dalle osservazioni di Massimo Mantellini) hanno un grosso difetto: non contengono un numero che sia uno. Vizio (questo […]