Quando leggo di una sentenza che condanna qualcuno per aver messo un link su Internet ormai non mi meraviglio più. Mi deprimo, magari mi arrabbio, ma non mi meraviglio. La trovo una sciocchezza del tutto conseguente, adeguata, per così dire, al clima generale. Quando poi simili sentenze si sommano e vanno a fare giurisprudenza, è normale attendersi un futuro cupo. E cupo potrebbe significare per esempio che un giudice imponga a qualcuno non solo il divieto di link (che in senso più ampio significa banalmente il divieto di esistenza della rete Internet) ma anche il divieto di semplice citazione.
La Internet attuale è ancora, in buona parte, testo e collegamenti ipertestuali: parole e fili tirati fra le persone; tuttavia niente di tutto questo sembra essere abbastanza importante da meritare il rispetto necessario. Così Il Post, scrive nella sua sentenza il giudice del Tribunale Civile di Roma Paolo Catallozzi, deve essere inibito dal “fornire, in qualsiasi modo e con qualunque mezzo, espresse indicazioni sulla denominazione e la raggiungibilità dei portali telematici che, direttamente o indirettamente, consentono di accedere illegalmente ai prodotti audiovisivi delle Reti Televisive Italiane S.p.A.”
Traduco in un italiano meglio comprensibile: se esistono, come esistono, luoghi di rete che consentono di accedere a contenuti audio video protetti dal diritto d’autore della società RTI, questi luoghi non potranno mai più essere linkati e nemmeno nominati.
L’enormità di una simile imposizione è di quelle che fanno tremare i polsi. E non si tratta nemmeno di applicarsi in inutili distinguo fra testate registrate, deontologie professionali o diritti dei semplici cittadini, ma di realizzare come sia improvvisamente diventato possibile che se esistono siti web che aggregano informazioni e link per vedere partite di calcio (forse) illegalmente, qualcuno possa piombare su Internet e censurare (perché questa è la parola giusta) non i link che diffondono, non quei siti, al limite, ma la sola citazione testuale altrui della loro esistenza.
In altri tempi la risposta adeguata ad una simile sentenza sarebbe stata quella di produrre centinaia di mirror che diffondessero in rete quelle stesse informazioni che la legge intendeva così stolidamente oscurare. Sarebbe stata la risposta sbagliata, magari liberatoria ma sbagliata, ad un sentenza altrettanto sbagliata: ribellione telematica verso un dispositivo che non si cura degli effetti generali causati dalle parole che esprime ma resta concentrato sul piccolo mondo dei piccoli diritti di una piccola società di un piccolo paese. Tutto il resto intorno è come se non esistesse. Del resto applicarsi ad una visione d’insieme che comprenda rischi e benefici complessivi di una simile scelta porterebbe lontano e racconterebbe quanto una sentenza del genere sia pericolosa e sproporzionata: meglio allora occuparsi delle proprie scartoffie fingendo che il mondo attorno non ne esca condizionato. Il mondo intorno, nel frattempo, ne uscirà condizionato.
La scorciatoia di chiudere la bocca o biasimare le persone che citano il mostro (magari certo anche per proprio discutibile interesse spicciolo) invece di affrontarlo direttamente, quel vizio ormai decennale di stendere un velo di opacità digitale che distolga gli occhi dei sudditi, tutelandoli bonariamente senza perseguire giustizia ed equità, è ormai diventata prassi consolidata. Internet per colpa di questi signori, si trasforma oggi nel luogo del paternalismo peloso, della piccola punizione esemplare ad ammonire i curiosi intorno, e poco importa se la autorità del giudice sovente esca malconcia dagli interessi particolari così accuratamente tutelati anche a prezzo di mettere a rischio quelli della comunità.
È mortalmente curioso osservare che l’unica Autorità dello Stato che dovrebbe tutelare gli interessi di “tutti” i cittadini alle prese con il complicato mondo della rete, da domani si affiancherà al giudice del Tribunale di Roma nella tutela degli interessi commerciali violati, nell’oscuramento di altre pagine, nella minaccia di ulteriori serie punizioni.
È la favola di Cappuccetto Rosso senza il suo sanguinoso epilogo a lieto fine. Busseremo alla porta della nonnina Internet e ci aprirà il lupo travestito e sazio. E la favola per una volta finirà lì.
Settembre 18th, 2013 at 22:58
io credo che qui si dimentichi che ilpost è un’impresa commerciale che sfruttava l’altrui violazione del diritto d’autiore per incrementare il proprio traffico e, quindi, il proprio fatturato.
confondere l’ambito commerciale con quello privo di interessi patrimoniali non giova alla causa delle libertà digitali. e mi spiace doverlo ricordare.
Settembre 18th, 2013 at 23:17
[…] della società RTI, questi luoghi non potranno mai più essere linkati e nemmeno nominati [Massimo Mantellini, da leggere […]
Settembre 18th, 2013 at 23:21
non è poi così intuitivo, ma pensandoci bene hai ragione: può diventare una valanga e una caccia alle streghe, una stagione oscurantista
in effetti le cose che possono esser vietate sono mille e poi ancora mille, e quasi infinite. All’inizio non avevo colto le potenzialità e la proiezione: può diventare un fenomeno pericoloso
la questione civile e penale deve riguardare l’oggetto, non può riguardare il riferimento. La distorsione sta nell’equiparare un riferimento ipertestuale del web ad una costruzione diffamatoria e che arreca grave danno alla persona offesa: l’oggetto è lo scritto diffamatorio
Un altro giornale inoltre può far riferimento al quel testo gravemente diffamatorio, all’oggetto del reato: sarebbe assurdo condannare l’altro giornale che pubblica il riferimento al reato
l’ipertestualità non può essere in alcun caso vietata, qualsiasi sia il contenuto, è un semplice reindirizzamento: non è l’oggetto in questione
Settembre 18th, 2013 at 23:30
se l’ipertestualità non può essere in alcun caso condannata, la pubblicazione di riferimenti a contenuti illegali riguarda la deontologia giornalistica
però Massimo ti faccio un appunto e riprendo il primo commento di @andrea: se ilPost lucra sui link non è lo stesso marketing?
http://www.mantellini.it/2013/06/13/il-web-marketing-di-beppe-grilllo/
anche qui, il senso della misura
Settembre 19th, 2013 at 00:00
@frank
Io non ho ancora un’idea precisa a riguardo e tendenzialmente sono d’accordo che almeno dal punto di vista morale il Post abbia sbagliato.
Però tu stai mischiando le pere con le mele. Il Post è un’azienda e come tale ha lo scopo di fare utili. Il blog di Grillo, come dice il non statuto, è la sede di un partito (o movimento, chiamatelo come vi pare).
Settembre 19th, 2013 at 01:23
Ma chi contesta la sentenza non potrebbe almeno ammettere che al Post sono stati fessi? Hanno pure fornito argomenti a chi considera deleterie le possibilità messe a disposizione dalla rete.
O forse no. Adesso la rete si mobilita: tutti sulle barricate! Ché Francesco Costa vuole vedersi a sbafo Roma-Sassuolo.
Settembre 19th, 2013 at 02:58
amen
Settembre 19th, 2013 at 07:32
@tutti
Come certi film e telefilm che fanno leva sull’esibizione di atti criminali per vendere. Tutti i film e telefilm gialli, horror &C. dovrebbero essere vietati. Se poi il cattivo vince, ancora peggio. Doppia punizione.
Ah, ma anche la cronaca nera spesso viene usata per vendere. Potremmo censurare quella. Potremmo essere invogliati a delinquere. E’ pericolosa!
@mante
Leggevo non so dove che la favola di cappuccetto rosso, nell’originale, non finiva affatto bene. Quindi direi che ci siamo.
Settembre 19th, 2013 at 07:47
Ma via,non sprechiamo le cose e le parole serie per battaglie che non hanno alcun legame con i principi fondamentali di una società,qui la censura e libertà non c’entrano nulla, fermare un atto illecito non è censura ma far rispettare le regole e basta. Ed ha ragione Andrea, siamo in un mero ambito commerciale, ciò che è stato fatto non ha alcun fondamento nei principi di libertà. Gridare al lupo, al lupo quando il lupo non c’è sappiamo tutti a quali conseguenze porta.
Settembre 19th, 2013 at 08:52
@daniel0
“Il Post è un’azienda e come tale ha lo scopo di fare utili.”
il Post non è una testata giornalistica? “per fare utili” a livello commerciale dovresti comunque avere licenze e permessi in base a quel che vendi
“Il blog di Grillo, come dice il non statuto, è la sede di un partito”
è un blog, non è propriamente una “sede di partito” come affermato anche a Report di Milena Gabanelli
e come blog ha tutto il diritto di finanziarsi come crede. Ma anche qui è un problema deontologico e di trasparenza.
siamo sul WEB: il punto del post di Massimo è proprio questo, cioè il voler a tutti i costi ragionare come se il WEB fosse altro
qualcuno ha addirittura paragonato i link pubblicati dal Post come uno spaccio di droga
ci rendiamo conto?
Settembre 19th, 2013 at 10:48
Guardate che il post non linkava la diretta di mediaset o di sky, ma le dirette di altre tv canali stranieri che mandano il segnale in chiaro. E questo non è reato, al post non gli si contesta nessun reato penale. Solo la violazione del vecchio e caro copyright.
Settembre 19th, 2013 at 11:14
Non penso che questa sentenza sia un attentato alla natura del web, semplicemente dice che non si posso promuovere attivita’ protette da copyright per fini di profitto. Perche’ il post ha pubblicato questo articolo? Probabilmente perche’ pensavano che avrebbe attirato l’attenzione sul sito creando traffico – come e’ avvenuto.
Penso che la liberta’ di espressione nel web si difenda anche con un minimo di auto-regolamentazione da parte degli editori online.
Settembre 19th, 2013 at 11:45
il segnale in chiaro ma in un altro paese. La TV svizzera ad esempio trasmette in streaming solo in svizzera
“non gli si contesta nessun reato penale”
no, appunto, ci manca poco. Per ora una sentenza che comunque è un precedente.
Credo invece che questa sentenza sia rilevante per il contenuto e rispetto al contesto.
e riprendo una vicenda completamente ignorata (e badate: una tassa che esiste ancora, nessuno l’ha abrogata)
decreto Bondi: equo compenso alla SIAE
Il decreto Bondi estende il compenso per la copia privata a telefonini, decoder e computer. La Siae: “Non è una tassa”.
http://www.zeusnews.it/n.php?c=11661
e poi ancora: il decreto Romani
Ogni Web Tv dovrà disporre di autorizzazione ministeriale e i provider saranno responsabili dei contenuti. YouTube a rischio sopravvivenza.
http://www.zeusnews.it/n.php?c=11662
Settembre 19th, 2013 at 14:02
@gergor
Non so a quale intervallo temporale tu ti riferisca, ma fino a ottobre 2012 il Post lincava Rojadirecta (sito che non trasmette, ma ospita link che trasmettono).
Curiosamente anche la ricostruzione del Post è ambigua (l’articolo sembra scritto da Sofri, a giudicare dai tic linguistici). Prima si ammettono velatamente i link a Rojadirecta:
“i siti che ospitavano gli streaming […] linkati a loro volta su alcuni indici che il Post citava”
In realtà Rojadirecta non era solo citata, ma lincata (difficile parlare di questioni di principio quando non si ha nemmeno l’onestà di chiamare un link con il suo nome).
Poi nel corso dell’articolo si ribadisce “per colmo di chiarezza: i link sul Post non rimandarono mai a siti che trasmettevano le partite, né a pagine che ne ospitavano i link relativi, ma solo alle generiche homepage di motori di ricerca che raccoglievano tra le altre cose indicazioni su quei siti”.
“i link sul Post non rimandarono mai…” vuol dire “non l’abbiamo mai fatto”. Ma questo è falso.
Settembre 19th, 2013 at 14:22
@quasitutti
Provate a cambiare prospettiva: il problema non è IlPost (furbetto o non furbetto, collaborativo o non collaborativo, lecito o illecito) il problema è il giudice.
Non si possono vietare i link e tantomeno le citazioni. Mai. Perché sono un fatto costitutivo dell’internet come le ruote lo sono dell’automobile o le ali dell’aereo.
Settembre 19th, 2013 at 15:08
@Al
Provo a seguirti, vediamo se ho capito: non si possono vietare le parole e tantomeno le citazioni. Mai. Perché sono un fatto costitutivo dell’espressione del pensiero come le ruote lo sono dell’automobile o le ali dell’aereo.
Però le parole usate in un certo modo sono vietate (calunnia, diffamazione, istigazione a delinquere…).
Settembre 19th, 2013 at 16:43
@buz
Non è così: non viene condannata la Stampa se fa riferimento alla diffamazione del Giornale diretto da Sallusti, nemmeno se la riporta integralmente
con internet sarebbe ancora più assurdo: condannare tutti i link
inter-net è un link continuo
Settembre 19th, 2013 at 17:58
@frank
Mi pare tu mi stia dando ragione. Sallusti è stato condannato per diffamazione a causa di un articolo, ma questo non si traduce in un divieto universale all’uso di quell’articolo.
Perché la sentenza contro Luca Sofri si tradurrebbe nel “condannare tutti i link”? Non ti pare un filino eccessiva come generalizzazione?
Settembre 19th, 2013 at 18:02
Io la vedo ancora più alla lontana… Il problema non è il post, non è il link, o il sito che fa streaming.
Il problema è che viviamo nel 2013, internet ha rivoluzionato il mondo e unito i popoli, e ancora si stipulano licenze con restrizioni territoriali.
Viviamo in un mondo in cui posso starmene in spiaggia e in pochi secondi fare 2 chiacchiere (con tanto di video) con un amico in Australia a costo praticamente nullo, posso comprare un cavetto da 4 euro in Cina e farmelo recapitare a casa in pochi giorni, come fanno ad esistere ancora queste barriere?
Settembre 19th, 2013 at 18:40
@buz
certo, tutti i link che fanno riferimento all’oggetto in questione. Vuol essere un’intimidazione: tutti avvisati..
però è anche vero che c’è un altro discorso: politico. Decreto dopo decreto. Ci si sveglia sempre tardi caro Sofri?
Settembre 19th, 2013 at 19:29
una cosa è certa: Sofri si dovrà dimettere da senatore e dalla guida del PDL, interrompendo anzitempo il compromesso storico e il progetto politico con l’alleato PD
Settembre 19th, 2013 at 20:19
Si tratta di un errore e di un eccesso giudiziario, ritenere che la lotta allo streaming illegale si faccia con la censura totale ad un articolo, è un caso in cui il magistrato viene caricato della necessità di mondare il mondo e salvare l’Italia e la sua industria principale cioè il calcio da avvocati molto bravi e finisce con il crederci davvero, che così salverà l’economia italiana…
Settembre 19th, 2013 at 21:19
@Pier Luigi Tolardo
“ritenere che la lotta allo streaming illegale si faccia con la censura totale ad un articolo”
Come ama dire Luca Sofri: stroumèn.
Poi l’articolo è soggetto a “censura totale” nella ricostruzione del Post, ma di quell’articolo non si fa menzione nell’ordinanza sullincata da Mantellini. La parte più criticata dell’ordinanza non è dunque documentata.
Ma anche se davvero tale censura sussistesse, con che coraggio la si può definire “totale”? L’articolo è accessibile via Google search. Cioè è accessibile esattamente in quella modalità che è stata giudicata illecita (perché equiparata a un link diretto) e che i difensori del Post valutano invece essere legittima (come del resto il link diretto, che anch’essi considerano equivalente).
C’è ridicolo per tutti.
Settembre 22nd, 2013 at 09:14
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