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Fino a un po’ di anni fa la stampa giocava un ruolo etico che le era ampiamente riconosciuto dai lettori; da questo discendevano prassi e comportamenti. Un tempo la copertina di Rolling Stone che vedete qui sopra non sarebbe stata pubblicata da nessuno.

Da allora mi pare siano cambiate almeno un paio di cose. La prima: l’autorevolezza morale dei media si è andata riducendo sempre di più. I lettori hanno smesso di essere l’oggetto principale del pensiero giornalistico mentre gli editori sono diventati soggetti plurali, spesso con scarse relazioni con gli aspetti ideali del giornalismo. Non è che improvvisamente i giornalisti abbiano ridotto le proprie aspirazioni etiche (al contrario anche oggi ne parlano spessissimo, talvolta a sproposito), è che le aziende che li stipendiano hanno cessato di occuparsene in maniera prevalente.

La seconda: il modello informativo con la nascita di Internet si è appiattito ed è diventato – come si dice sempre – molto più orizzontale. Con esso è cambiato il modello di fruizione dei lettori: la reputazione degli emettitori, in parte per propria oggettiva decadenza, in parte perché ognuno ha iniziato ad essere meno fedele ed a dividere la propria attenzione fra decine di fonti differenti, si è segmentata molto.

Entrambi questi aspetti hanno concorso ad un medesimo risultato: etica e giornalismo percorrono ormai percorsi differenti che solo raramente si intersecano.

Quanti oggi criticano e si indignano per la copertina dove l’assassino diventa rockstar si stanno riferendo ad un mondo che non c’è più.

In Italia questa levata di scudi ha un’ulteriore peculiarità. La notorietà dell’impresentabile è già da anni un canone mediatico consolidato che non si consuma nei sottoscala notturni dell’offerta informativa, ma emerge e ottiene spazi anche sui media più stimati ed autorevoli, anche nei programmi di prima serata, nelle prime pagine dei giornali. Il ciarlatano di successo (di cui il delinquente di successo è la versione più estrema) è una costante del panorama informativo e televisivo nostrano, un modello saldamente ancorato a certi tratti di rimozione collettiva di cui siamo campioni mondiali.

La copertina di Rolling Stone può essere considerata una copertina molto Internet. Ipotizza e scommette (e un po’ provoca e paraculeggia) su un pubblico di lettori con forti tratti di autonomia intellettuale che leggendo una inchiesta giornalistica, siano in grado di farsi da soli un’idea. Poteva essere fatto senza quella copertina? Certamente sì. Anche le conseguenze Internet di un simile gesto sono abbastanza da manuale. Chi si indigna per la copertina fa due errori in uno, applica una legge morale in un luogo in cui di morale non se ne respira più da molto tempo e la applica a prescindere, senza percorrere la traiettoria culturale stimolata da una foto provocatoria messa lì ad invogliare la lettura. Esiste insomma una generazione Internet che utilizza stimoli forti per approfondire la propria conoscenza, esiste poi una generazione altra di indignati dalla copertina e di ragazzine che scrivono al giovane terrorista lettere d’amore, che rappresentano due facce complementari dello stesso fenomeno. Quella copertina insomma racconta una idea di informazione adulta e personale e le difficoltà che trova ad essere accettata.


Altri due aspetti interessanti per finire: la foto di Dzhokhar Tsarnaev usata da Rolling Stone è stata presa dal suo profilo Facebook, sarebbe interessante capire chi ne possegga i diritti e se un utilizzo mediatico tanto esteso sia compatibile col diritto di cronaca.

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Un’altra foto del terrorista presa al momento dell’arresto sta girando molto in questi giorni, anche questa foto ha una storia interessante. Per esempio l’autore dello scatto è stato licenziato per averla diffusa. Le ragioni per cui l’ha diffusa sono che era offeso dall’immagine patinata e ammiccante di Rolling Stone. Anche questa è una foto Internet, per le medesime ragioni della precedente. Anche questa racconta un frammento di una storia più grande e più complicata. Che è poi la scommessa per una informazione migliore che, a questo punto e per il futuro, non potrà fare a meno di niente.

10 commenti a “Storie di foto interessanti”

  1. Padre Giacobbo da Voyager dice:

    la foto fa molto jim morrison, ecco perché l’hanno pubblicata

  2. simone dice:

    Cat Stevens! Ma che ha fatto??

  3. daniel0 dice:

    Se non esiste nessun “popolo del web” (ed effettivamente non esiste), allora non esiste nessuna “copertina molto Internet” e non esiste nessuna “generazione Internet” (almeno nei termini che si vuole intendere in questo post).

    Internet è solo uno strumento e questa copertina, a mio avviso, è soltanto una pessima scelta editoriale.

  4. massimo mantellini dice:

    @daniel0 il popolo del web non esiste ma il web in quanto “apparecchio liberatorio” esiste eccome, poi certo chi vuole puo’ non utilizzarlo come tale.

  5. Giovanni dice:

    Ma se fossi il papà del ragazzino morto perché quel demente ha messo una bomba dentro una pentola a pressione mi fumerebbero le palle e sputerei in faccia al direttore di Rolling Stone.

  6. Francesco dice:

    Sono perplesso. Mi sembra che il tuo post voglia dire che ha poco senso criticare questa copertina, perchè tanto il mondo è cambiato, che dare la patina di rockstar all’attentatore è parte del gioco. Mi sembra che tu stia dicendo che il problema è l’interpretazione della copertina, e non la copertina di per sé. “Quella copertina insomma racconta una idea di informazione adulta e personale e le difficoltà che trova ad essere accettata.”: ovvero, in brevissimo, la copertina è ok, e il pubblico non è abbastanza maturo da accettarla. Se è cosí, se la mia interpretazione di quello che hai scritto è corretta, sono in totale disaccordo. Il cambiamento dei tempi non è sempre una giustificazione o una ragione valida per doversi rassegnare ad accettare cose che non ci piacciono. Se il mondo, tutto in generale e del giornalismo in particolare, è cambiato ed il risultato e`questo, allora forse ha senso criticarlo, e chiedersi se per lo meno il tempo che passa ci ha portato in una direzione che ci piace, o se vogliamo cercare di cambiare rotta. Questa copertina, secondo me, non ha niente di adulto o di “molto internet”: è semplicemente un modo semplice semplice banale banale di far parlare tanto di Rolling Stone. Se la domanda è se vale la pena. Vale la pena pagare il ritorno di marketing scendendo un gradino in piú nella scala delle cose in cui si crede? Per me, no. Per gli editori di Rolling Stone si. Il tuo post, e concludo, da l’impressione di voler inserire anche questo fatto nella categoria “il mondo -internet- è cosí, e non serve criticarlo, bisogna capirlo e accettarlo”. Dissento completamente: internet c’entra poco, e smettere di criticare è il modo piú semplice per lasciarsi trascinare in una direzione in cui l’etica è un vezzo demodé per pochi eccentrici.

  7. massimo mantellini dice:

    @Francesco hai capito bene, abbiamo semplicemente punti di vista differenti

  8. Larry dice:

    A parte che questi ragionamenti sul relativismo etico mi aspetterei di sentirli dal papa o da qualche altro simile personaggio retrogrado, comunque sono sbagliati i presupposti su cui si basano: “Un tempo la copertina di Rolling Stone che vedete qui sopra non sarebbe stata pubblicata da nessuno”. Rolling Stone ha messo persino Charles Manson in copertina, e nel 1970, non l’altroieri.

  9. massimo mantellini dice:

    Larry, la copertina con Mason non ha troppe analogie con questa, uscì quasi un anno dopo gli omicidi quando Mason era già stato condannato a morte

  10. Vanamonde dice:

    Io sono stupito che qualcuno abbia potuto pensare che la seconda foto costituisse un antidoto alla prima.
    La foto dell’eroe caduto è un altro tassello nella costruzione del suo mito, come la foto del cadavere del Che steso su un tavolo.
    Come forza simbolica e potenzialità di emulazione, la seconda foto è anche più potente della prima, secondo me.