Mi sbaglierò ma a me sembra stia succedendo questo. Per parecchio tempo Internet sulla stampa italiana è stata raccontata come il demonio, un luogo oscuro e pericoloso eccetera eccetera. I racconti erano un mix di inconsapevole ignoranza, aprioristiche prevenzioni e timori di usurpazioni professionali. Lo abbiamo detto, raccontato e scritto fino allo sfinimento per anni. Poi questa costruzione non ha retto all’evidenza dei fatti, i professionisti dell’al-lupo-al-lupo sono rientrati nei ranghi ed ora sembravamo essere in un periodo di rasserenata normalità.

Mi viene invece il dubbio che non sia così: sempre più spesso nei commenti e nelle opinioni editoriali italiane (e solo italiane) sullo sviluppo della rete è sorta l’alba di una nuova mediazione. Un numero molto alto di articoli tenta un bilanciamento culturale del tipo “signore e signori, vi presento Internet: questi sono i pro, questi sono i contro”. Potrebbe sembrare un atteggiamento saggio e razionale, in realtà è una nuova forma di strisciante delegittimazione. Pochi paesi al mondo vantano nella loro critica alla ragion internet un così ampio numero di citazioni dai soliti quattro commentatori antitecnologici americani. I nomi sono sempre gli stessi: Jaron Lanier (un quasi signor nessuno che ha scritto un libro che tutti citano ma che probabilmente pochi hanno letto dal titolo “Tu non sei un gadget”) il Nicholas Carr di “Google ci rende stupidi?”, il Clifford Stoll antesignano di quanti hanno compreso che parlare male della rete nel tempo in cui la rete esplodeva poteva essere un business, magari leggermente deprecabile e un po’ clownesco ma pur sempre un business) e un paio di altri signori scarsamente presentabili come Andrew Keen.

Così la stampa italiana da qualche tempo è piena di citazioni da questi maître à penser de noantri che tutti sembrano prendere molto sul serio. Le loro posizioni, mediamente considerate nel restante globo terracqueo, sono da noi ampiamente citate ogni giorno in numerosi articoli costruiti tutti con il medesimo schema ideologico. Se prima Internet era il male ora Internet è diventata il luogo della cauta attesa. Attenzione ragazzi – ci raccontano – su Internet c’è di tutto, occorre stare accorti e valutare i pro e i contro. Noi leggiamo, ci sentiamo anche leggermente stupidi per colpa di Google e tutta questa cautela ci sembra molto giusta e intelligente.

Curiosamente tutti citano a pappagallo Nicholas Carr e nessuno si occupa per esempio di Cory Doctorow. Le idee del primo sono più interessanti di quelle del secondo? Tutt’altro, non è questo il punto: Carr e la piccola schiera dei nuovi fieri critici che hanno molto ascolto qua da noi, contestano la rete in una sorta di aspirazione conservatrice; ci dicono, occhio ragazzi che Internet vi fotte, promette meraviglie e vi restitusce alienazione. Non fatevi fregare. Sottotitolo (vergato con l’inchiostro simpatico): forse era meglio prima.

Con buona pace di Gianni Riotta, uno dei più accesi fautori di questa medietà fra rischi ed occasioni, il tema se la rete sia o non sia una opportunità, se vada sposata o ripudiata, se vada avvicinata con i guanti d’amianto o a mani nude, non è all’ordine del giorno da nessuna parte nel resto del mondo. La discussione nostrana fra costi e benefici è una sottile adulterazione del reale, un arzigogolo dialettico un po’ provinciale, ad uso e consumo dei professionisti del “Sì ma…”. Il metodo utilizzato è quello di citare sempre e farsi ispirare solo da quelle posizioni utile alla propria causa. Carr è perfetto, Doctorow nemmeno un po’, visto che si occupa di analizzare rischi e automatismi dei monopoli intellettuali, luoghi sacri dai quali incidentalmente molti di questi opinionisti provengono. Serve invece gente come Evgeny Morozov, altro campione di citazioni sugli articoli di critica Internet italiani che negli ultimi mesi ci ha raggiunto con le sue opinioni tradotte in italiano con la stessa frequenza con cui Laura Pausini viene canticchiata in Sud America. Oggi Morozov, dalle pagine dell’inserto culturale del Corriere della Sera, ci informa della sua utile recente pensata per calmierare le pericolose bufale in rete: un bel bollino rosso messo da Google che spieghi all’incauto avventore quali siti contengano informazioni attendibili e quali no.

È un peccato: ci sarebbe bastato il Carlo Formenti di un decennio fa e invece siamo dovuti andare a recuperare il colto giovane sociologo bielorusso a chiudere un cerchio vecchio e polveroso sull’approccio conservatore alle dinamiche di rete. Siamo partiti dai vecchi giornalisti italiani che volevano mettere i bollini di qualità ai siti editoriali e siamo arrivati a Google nominato nostro supremo mentore intellettuale da non si sa bene chi. Viene il dubbio che molte delle cose che ci sembravano cambiate in questi anni non lo siano poi troppo.

5 commenti a “Internet e conservazione”

  1. Conservatori e riottosi: come delegittimare culturalmente la Rete « I media-mondo. La mutazione che vedo attorno a me. dice:

    […] ragione Massimo Mantellini: è in atto una strategia culturale di delegittimazione della Rete e della sua evoluzione in Italia […]

  2. Vincos dice:

    Concordo e aggiungo la tecnica di Riotta che quando usa la categoria del pessimismo/ottimismo contrappone i cyber ottimisti ai cyber realisti (guardandosi bene dal dire pessimisti).

  3. Yossarian dice:

    Si può discutere di tutto, ma Jaron Lanier non è esattamente un signor nessuno e soprattutto non è un tecnofobo, è il suo oppposto, è un nerd alla n-esima potenza, se vogliamo. (e ho letto il suo libro, tutto, che è incredibilmente problematico, e che volendo sintetizzare in tre parole postula la necessità di un neoumanesimo digitale, rimettere l’uomo al centro, mezzo e fine, di una realtà interamente digitalizzata)

  4. Santiago dice:

    d’accordo in gran parte. Ma non per quanto riguarda Morozov. Non ho letto l’inserto del Corriere, ma ho letto altre cose e devo dire che il tipo è tutto fuorché un conservatore, o uno che odia la rete. Trovo che spesso abbia ragione. Le sue critiche – almeno quelle di The Net Delusion – sono utilissime, altrimenti si cade nel solito ottimismo della rete degli “attivisti digitali”, che sinceramente mi fa venire la nausea.

  5. Who owns the future? – Jaron Lanier | 2000battute dice:

    […] malamente quello che vedono che gli altri hanno fatto, ma guardandoli da lontano. Spiace leggere commenti di una superficialità sconfortante, i critici conservatori provinciali Vs. i tecnomani illuminati e internazionali, anche da uno […]