Devo una risposta ad Alessandro Gilioli che qualche giorno fa sul suo blog commentava una cosa che ho scritto su Il Post sulla faccenda annosa dell’obbligo di rettifica per i siti web. Sostiene Alessandro:


Secondo Massimo, se ho capito bene, vaneggiamenti della politica e reazioni pavloviane finiscono quasi per tenersi insieme, in un teatrino che nulla di buono porta allo sviluppo, alla diffusione alla qualità e alla libertà del web italiano.
In punta di logica e in senso specifico – voglio dire ignorando il resto del contesto culturale e politico che sta attorno a tutto questo, in Italia – Massimo ha ragione.
Però appunto siamo in Italia: nell’unico Paese al mondo dove il capo del governo è proprietario di gran parte del sistema televisivo; quindi nell’unico Paese al mondo in cui la Rete è vista dal premier come un pericoloso strumento di erosione del consenso creato con le tivù ma anche come un temibile avversario in termini di investimenti pubblicitari; nell’unico Paese al mondo in cui la classe politica al servizio di quel premier nella sua stragrande maggioranza considera lo sviluppo delle pluralità in Rete un avversario a cui tarpare le ali in ogni modo, dalla mancanza di investimenti (siamo anche l’unico Paese del G8 che non ha un piano digitale) alla burocratizzazione disincentivante, visto che i divieti cinesi o birmani qui non si possono usare.
E il comma 29 dell’articolo 1 è solo un pezzetto di questo disegno, o se preferite di questa oggettiva scelta politica. La politica per la quale meno Rete c’è in giro meglio è.
Ecco appunto: Massimo ha sicuramente ragione quando dice che al cosiddetto ammazzablog ci sono state anche reazioni un po’ meccaniche e manicheiste, e che da solo questo articoletto non uccide la rete italiana.
Ma è sbagliato secondo me non alzare un attimo lo sguardo. Non vedere che quell’articoletto è appunto solo un pezzetto di una cultura politica che fa di questo Paese uno dei più arretrati digitalmente del primo mondo.
Battersi contro quell’articoletto – e reagire ad esso in modo magari anche naif ma comunque deciso e immediato – vuol dire combattere tutta quella cultura politica.
Quindi, a mio avviso ben vengano quelle reazioni. Ben venga l’esistenza di un’opinione pubblica. Minoritaria e maldestra finché volete, ma capace appunto di reagire.



Io ho il massimo rispetto per qualsiasi iniziativa civica dei cittadini in rete, ne sono stato osservatore e partecipante attivo da molto tempo ormai. Per anni ho sognato che in Italia nascessero forme di aggregazione in rete capaci di rappresentare almeno le istanze ed i temi provenienti dalla rete stessa se non addirittura quelle generali della politica del Paese. Ho visto associazioni internet gestite da persone intelligenti e appassionate (Alcei per esempio) naufragare nel disinteresse più assoluto di quegli stessi utenti che poi si lamentavano sui newsgroup e sui forum di come la Internet italiana non avesse voce, ho visto finte Associazioni gestite da avvocatucoli arrivisti millantare decine di migliaia di iscritti entusiasti e deleganti in bianco, ho visto la meteora populista Beppe Grillo sprecare nel giro di pochissimo il credito rapidamente raccolto in rete, ed ora non posso non notare la vacuità di gran parte delle istanze numericamente rilevanti che utilizzano Facebook ed i suoi grandi numeri come cassa di risonanza.

Io credo Alessandro che i distinguo sull’anomalia del Paese di Berlusconi (il contesto al quale accenni) non siano sufficienti per accontentarsi della quantità. Fare grandi numeri insignificanti nella Internet italiana odierna non è così complicato (pensa alla parabola di SpiderTruman) e non esistono nemmeno sostanziali barriere di accesso alla informazione mainstream, anche a causa della sua forte polarizzazione: anche il comma 29 di un articolo che deve ancora essere discusso che si occupa di un diritto esteso a tutti i cittadini (quello di chiedere di rettificare una notizia anche sul web) è ottima carne da macello per la propaganda antiberlusconiana. Molti hanno ancora le energie per eccitarsi per tutto questo, talvolta accade che simili narrazioni di protesta abbiano anche un peso (in genere molto modesto) sulle decisioni prese, molto più spesso sono semplice focklore. Ma nel momento in cui raggruppano la firma elettronica di un certo numero di cittadini sottolinearne l’inconsistenza sembra sempre una mancanza di rispetto verso le regole della rappresentanza. Il pezzo sul Post sosteneva questo ed ovviamente ha scatenato qualche rimbrotto fra gli attivisti più convinti e, per ragioni di attesa simmetria, è stato utilizzato da chi invece intende in qualche modo giustificare le ipotesi censorie del governo. Del resto virgolettare solo le frasi che interessano, mettere la mia foto di “storico blogger che getta acqua sul fuoco” non è poi così difficile.

Io penso semplicemente che se davvero siamo stanchi e se davvero siamo in tanti, sia il tempo di chiudere a chiave gli aizzapopolo digitali da qualche parte ed utilizzare la rete per piccole pratiche personali di protesta. Per esempio in Parlamento ci sono oggi un discreto numero di politici illuminati sulle questioni dei diritti digitali, scrivere una mail a Cassinelli o a Palmieri o ai tanti parlamentari del centro sinistra sensibili ai temi della rete penso sia oggi più proficuo, nel momento in cui si discute di un progetto di legge come il DDL Intercettazioni, dell’affidare le proprie istanze di cambiamento al massimalismo interessato di Repubblica o de Il Giornale.
Dobbiamo stimolare la responsabilità personale, che in rete può essere efficaciemente rappresentata, oppure inventarci qualcosa di differente ma che ci liberi per quanto possibile dall’attivismo da click. Personalmente il passaparola su Facebook o sul web, al costo di un colpo di mouse una tantum mi ha, come sai e già da qualche tempo, un po’ rotto le palle. Inizio a sospettare che faccia più danni che altro. Un abbraccio.

2 commenti a “Una risposta ad Alessandro”

  1. Claudio dice:

    Sono perfettamente in linea con il pensiero espresso. Ci metterei pure il fatto che mi sono rotto le palle dell’anonimato in rete. Ho un piccolo giornale on line su Milano e molte volte mi arrivano commenti che non è possibile pubblicare per la loro vorgarità e per il rischio – diffamazione mezzo stampa – relativo. Quando non pubblico quei commenti gli utenti, sempre molto anonimi, ci insultano e bla bla bla. Quando a loro dico:” benissimo pubblico e metto l’ip così vengono a prendere lei…”… Risposta? Tutti zitti.

    In rete c’è troppo casino ma se è vero che da un lato ci vogliono delle regole è vero che dall’altro le regole non le farei fare ad un governo che ha nelle mani del presidente del consiglio decine di media. Si rischia di peggiorare la situazione.

    Insomma c’è molta confusione, aspetterei qualche anno prima di metterci le mani e per il momento andiamo avanti a topparci il naso.

  2. Daniele Minotti dice:

    Per Gilioli, oramai, e’ sempre colpa (anche futura) di AGCOM e cd. *ammazzablog*
    http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2011/10/03/voglio-una-rete-spericolata/