Ho letto con tutta la circospezione possibile e con tutta la leggerezza d’animo che mi è consentita dagli eventi, il discorso di Carlo De Benedetti al Festival del Giornalismo di Perugia. Contiene per conto mio molte cose condivisibili, avvolte in una marea montante di continue citazioni che a me è parsa forse un po’ difensiva. Per il resto ho solo un paio di microscopici appunti da fare al discorso del Presidente del Gruppo Espresso (o al suo ghost writer):
1) Sono passati gli anni e ancora continuate a scrivere I-phone e I-pad.
2) Questa frase – mi spiace molto – ma non ha senso:
Il dibattito pubblico, avvertiva Dahrendorf, “ha bisogno di luoghi in cui venga condotto in maniera organizzata e meditata”. Eccolo allora il ruolo fondamentale di quei giornali, di quelle grandi imprese editoriali, che gli entusiasti dell’open source hanno condannato alla scomparsa prima del tempo.
Aprile 16th, 2011 at 21:54
Sì, troppe citazioni
Sì, molte cose condivisibili
No, sulla crisi dell’editoria credo fosse doveroso citare il caso tutto italiano de “Il Fatto Quotidiano”
No, i-phone e i-pad non sono un problema di cui parlare
Sì, la frase che hai citato sulle imprese editoriali quali “organizzatori dei dibattiti pubblici” è a ben vedere un po’ da ripensare nei concetti. Sarebbe stato più calzante, ma non risolvente, parlare di “moderatori”, come in un forum online, e poi darsi un ruolo di conseguenza… già, ma quale? e chi dovrebbe pagare per questo?
Aprile 16th, 2011 at 22:06
Sul punto 2: io ci vedo una traballante associazione di idee, il concetto di “open source” _frainteso_ nel senso di “tutto gratis” combinato alle notizie fruibili gratuitamente dalla Rete:
mappa logica del debenedettipensiero:
l’opensource è gratis (errato!) +
le notizie in rete sono gratis =
le notizie in rete sono opensource.
il giornale dell’editore si paga +
le notizie in rete sono opensource =
————————————————-
l’opensource per l’editore è MALE.
Aprile 16th, 2011 at 22:38
il punto 2 sembra una sineddoche.
Aprile 16th, 2011 at 22:50
Una sineddo… che???
Aprile 16th, 2011 at 23:53
Sineddoche [si-néd-do-che] è un sostantivo femminie e una figura retorica che consiste nell’uso figurato di un termine attribuendogli un significato più o meno esteso. La sostituzione del significato della parola in questione può riguardare:
la parte per il tutto (“la due ruote” al posto di “la moto”, “i cervelli” per “gli intellettuali”);
il tutto per la parte (“la famiglia” per “il nucleo famigliare”)
il materiale per l’oggetto (“ferri” al posto di “armi da fuoco” o “strumenti”)
il genere per la specie e viceversa (“il felino” per “il gatto”, “i mortali” per “gli esseri umani”)
il singolare per il plurale e viceversa (“aveva la palpebra calante” per “aveva le palpebre calanti”)
non vedo cosa c’entri con il punto 2
Aprile 16th, 2011 at 23:54
Esempio classico di sineddoche:
“una bella f…”
per indicare una bella donna…….
Aprile 17th, 2011 at 06:11
Un senso ce l’ha, ma è quello che conviene a loro che presumibilmente organizzano e indirizzano la meditazione.
Aprile 17th, 2011 at 06:54
acclarato che debenedetti è di sinistra, si deponga lo sdegno e la rabbia, si proceda al salvataggio della fesseria
Aprile 17th, 2011 at 07:32
@pietro, Grazie!
Il tuo secondo esempio mi ha illuminato!!!!
(ci sono delle belle sineddoche in giro :-) )
Aprile 17th, 2011 at 11:02
A tutti quelli che ritengono che I-phone e I-pad non siano un problema vorrei dire di farla finita una volta per tutte. Sono un problema eccome. Le parole sono o non sono importanti, se sei un giornalista? Tralasciando la Morettiana convinzione secondo cui “chi parla male vive male”, da quel modo di scrivere i nomi di due strumenti che, fra le tante altre cose, hanno cambiato anche il giornalismo, c’è tutta la pochezza (la sufficienza? l’ignoranza?) tecnologica del giornalismo italiano. La tecnologia (si prenda per buono il significato più ampio del termine) è tutt’ora trattata come un argomento secondario, da affibbiare ai redattori che non sai dove piazzare, come quando a calcetto metti l’amico impedito in attacco perché almeno fa meno danni possibili. Ecco, quell’I-phone e quell’I-pad sono l’epitome del modo in cui i grandi gruppi giornalistici italiani hanno affrontato e continuano ad affrontare la rivoluzione che li sta travolgendo. Un ipotetico articolo di De Benedetti sul lancio dell’iPad me lo immagino composto da una sola parola: “Rien”.
Aprile 17th, 2011 at 17:20
Quoto Camillo. Insomma sono anni che esistono questi oggetti tecnologici e ancora sbagliano. Sarebbe come chiamare la Volkswagen con il nome di “Wolswagen” senza che nessuno dica nulla. Suona strano per le auto vero? E allora perché non dovrebbe suonare strano anche per la tecnologia?
Aprile 17th, 2011 at 21:07
Non ho cuore di leggere l’intero discorso, mi limito a commentare la frase riportata, che se sbaglio non posso comunque fare danno. Mi sembra gravata dal tipico difetto dei dibattiti italiani, di rispondere con teorie a teorie. Che De Benedetti apra una polemica con gli entusiasti dell’opensource (chiunque essi siano) fa passare la voglia di leggere il resto di quanto ha detto. Non saranno gli entusiasti dell’opensource a decidere sul futuro dei giornali, ma i lettori. Così come saranno i lettori, e non Dahrendorf o DeBenedetti, a decidere se i giornali avranno un “ruolo fondamentale”. Sarebbe stato più interessante se avesse detto:
“Il dibattito pubblico, avvertiva Dahrendorf, “ha bisogno di luoghi in cui venga condotto in maniera organizzata e meditata”. Negli ultimi anni i giornali sono stati sempre meno capaci di convincere i lettori di essere i luogo giusto e questo perché…, quindi rimbocchiamoci le maniche e facciamo …”.
Aprile 18th, 2011 at 08:03
Come si diceva sopra, secondo me “open source” è stato usato come sinonimo di “gratis” (ma che suona più moderno), fraintendendo completamente il vero significato.