Valentina nei commenti di un paio di post fa.
Io vivo a Londra da 2 anni – un neuroncino scappato di casa.
Lavoro circa il 30% in meno che a milano (9 ore al giorno 5 giorni alla settimana, invece di 12 al giorno se non 14 quando c’è una deadline e poi un paio di documenti da finire nel weekend così lunedì mattina sono pronti per review), e prendo oltre il 100% in piu all’anno di stipendio lordo.
Qui nessuno mi ha mai rifiutato le ferie o fatto storie per un permesso, non ho mai presentato un certificato per dimostrare la malattia, ho lavorato da casa ogni volta che ne ho avuto la necessità.
L’azienda inglese (80 persone, non migliaia) supporta iniziative formative gratuite come consulenze indipendenti sui piani pensione, opportunità di formazione gratuita del settore e via dicendo.
La banca, dopo che ero cliente da 6 mesi e senza che io me lo aspettassi, mi ha suggerito la miglior combinazione di bank account, saving account con promotional rates, ISA etc, tutto con accesso immediato ai miei soldi e zero spese. E mi chiama anche periodicamente per sapere come mi trovo. E no, non stiamo parlando di grandi cifre :)
Nella mia banca italiana, il mio conto scende perchè gli interessi non coprono le spese.I biglietti dei mezzi pubblici costano come fossero in scaglie d’oro, ma i mezzi funzionano. Meravigliosamente. Da Brighton a Edimburgo, tutta l’Inghilterra è raggiungibile in treno in tempi decenti. Se poi si è in 4, diventa gruppo, si applicano sconti massicci e i prezzi diventano più che accessibili.
Sono felice di vivere a Londra? No. Mi manca la mia famiglia, il sole, il cibo buono, vivere in casa mia invece che in affitto, vedere i miei amici nel weekend, prendere l’aperitivo a Milano, andare al mare in macchina.
Odio la birra, la pioggia, trovo gli inglesi mediamente noiosi, poco efficienti ed estremamente piagnucolosi, e trovo Londra sovrappopolata da freaks che ci fanno troppo dentro.Nel mentre, in Italia le mie amiche prendono 1,200€ al mese, si sono sposate, i genitori hanno messo la caparra per il mutuo della casa, hanno Suv e BMW e Audi che verranno pagati in rate mensili da qui all’eternità, la borsa di YSL, aspettano la 13sima e la 14sima perchè cosi possono pagarsi la vacanza o i regali di Natale.
I mariti hanno le scarpe di Gucci, vanno allo stadio ogni domenica e in generale, un po’ tutti, mi fanno pensare che il baratro non sia ancora profondo abbastanza.E che per quanto mi manchi ogni giorno, non tornerò.
Novembre 24th, 2010 at 09:34
Sai che scoperta. Io ho amici che prendono meno di 1.200 euro al mese, comprano da filiere corte, mangiano meno ma meglio, hanno sostituito per interno la tv col web, trovano spazio – nella precarietà – per il volontariato. Usano la bici il più possibile. Non seguono il calcio, sacrificano una birra per un numero di Internazionale, raccattano un pasto ogni tanto a casa dei genitori, perché è inutile girarci intorno: con mille euro al mese, qualche volta, raramente, fa comodo. Continuano a pensare che questo è il loro paese e che qui, non senza momenti di sconforto e costantemente sotto la minaccia di una coperta troppo corta, qualcuno deve pur rimanere. Pensa, c’è anche chi ha trovato la forza e il coraggio di fare un figlio.
Novembre 24th, 2010 at 09:49
e magari devi ascoltare in silenzio quelli più grandi di te che dicono che le nuove generazioni sono pigre, viziate, e non hanno voglia di fare una mazza
Novembre 24th, 2010 at 09:52
Grazie per la provocazione, Massimo (e grazie anche a Valentina per la condivisione dei suoi pensieri). Se posso permettermi, vorrei dire una mia opinione, per quanto scontata.
Ho avuto la fortuna di viaggiare molto, nella mia vita. Come molti ragazzi, a 18 anni sono uscito di casa, e sono partito alla ricerca di me stesso. Ho vissuto all’estero e in diverse zone dell’Italia, dal nord al sud. E durante le mie peregrinazioni, ho scoperto sulla mia pelle che ogni luogo abitato da esseri umani presenta i suoi pro e i suoi contro, esattamente come le persone che lo popolano. Bene, credo fermamente che non tutti hanno la fortuna di nascere nel posto giusto, e molti di noi devono cercarselo per allontanare quel fastidioso senso di insoddisfazione.
Dopo 10 anni da quel giorno in cui dissi ciao alla mamma, ho trovato l’amore e il luogo giusto in cui stare.
Valentina, se a Londra non sei felice e l’Italia non la sopporti (in realtà non sopporti Milano, e nemmeno io!), forse non hai ancora trovato il tuo luogo, o forse non hai trovato il tuo amore. Ed è tuo dovere verso te stessa cercarli.
Novembre 24th, 2010 at 09:59
Mah, io non ho vissuto a Londra, ci sono stato qualche anno fa, per ragioni di studio, una quarantina di giorni. Arrivo, devo accedere a una biblioteca ad accesso ristretto, presento le mie credenziali al direttore della biblioteca (non all’ultimo galoppino), che mi riceve e molto cordialmente, sempre sorridendo, ascolta le mie ragioni e accoglie la mia lettera di presentazione. Il mattino seguente, ripeto, il mattino seguente, trovo al recapito indicato una lettera in cui mi vengono fatte le congratulazioni: la biblioteca mi aveva concesso una “membership” per 6 mesi. Stessa mattina arrivo in biblioteca e in un attimo ho la mia tessera magnetica, con la quale ho accesso ai libri per i quali sono andato a Londra. Esempio banale, ma la dice lunga su come vi sia il rispetto e l’attenzione per le regole che rendono la vita più semplice.
Novembre 24th, 2010 at 10:22
Io non ho capito, nei commenti, se Luca intende dire che chi resta in Italia lo fa per salvare la Patria. Quest’ immagine, francamente, è assai ridicola, visto che l’ Italia la cambiano, volenti o nolenti, le persone che prendono molto più di 1000€ al mese. Non certo chi lotta per campà. Io, per dire, avendo la possibilità di scegliere come Valentina, ho optato per l’ Italia perchè, semplicemente, mi piace la lingua, il cibo, i posti in cui abito, il mare. Non mi sento un eroe, anzi a volte un fesso, vedendo come sono le cose in Italia, e ogni tanto invidio un po’ quelli come Valentina. Ma trovo spesso -non sempre- in quelle cose elencate prima qualcosa di più che non il doppio del mio stipendio.
Novembre 24th, 2010 at 10:45
Io invece vi racconto due storie:
Ero a Barcellona, in un piccolo bar fuori dalle vie turistiche e parliamo italiano. Un signore di quarant’anni si avvicina, un italiano che si è trasferito per lavoro, sentiamo nelle sue parole e vediamo nei suoi occhi una grande nostalgia dell’Italia, anche se la Spagna è certo più accogliente dell’Inghilterra, non fa il ricercatore, l’account manager o chissà che, fa solo l’operaio in una ditta di trasporti, guadgna 900 euro al mese, vive fuori città perché gli affitti sono altissimi, il cibo italiano costa più caro che in Italia, dico la pasta ad esempio. Una grande tristezza.
Altra storia:
quella di Peter, trentenne che decide di trasferirsi a Brescia, apre un agriturismo in Italia, mangia italiano, usa la bicicletta e se non puo’ la macchina e afferma che con quello che la sua famiglia spendeva in trasporti pubblici (treni, bus ecc) in inghilterra ha cresciuto una figlia qui in Italia.
Novembre 24th, 2010 at 10:49
“c’è anche chi ha trovato la forza e il coraggio di fare un figlio”
possono anche rimanere, ma non credo che il paese sarà popolato dai loro eredi.
Novembre 24th, 2010 at 10:58
Posso dire una cosa? Anche basta, con questa retorica dell’emigrare a tutti i costi, o del restare a tutti i costi, o dell’andare e poi tornare a tutti i costi. Qui tutti pensano a come stanno, a coltivare il proprio cortile (la stessa visione individualista e contigente senza nessuna apertura verso il futuro di chi questo paese lo ha rovinato): io rispetto tantissimo la posizione di Valentina, ma trovo che sia molto più ‘provocatorio’ (in senso buono e mite) il primo commento di Luca, che contenga molti più spunti il suo punto di vista, di chi invece migliora la sua esistenza grazie a situazioni che piovono dall’alto (banche migliori, stato più efficiente, stipendi migliori). Fa benissimo Valentina e chiunque altro ad approfittarne, ma veramente, cosa mi trasmette un’esperienza del genere, a me che invece resto? Quali stimoli mi dà? Quali esempi mi fornisce? Nulla, veramente nulla. La applaudo, la invidio, la stimo per il coraggio di partire e rifarsi una vita altrove. Ma poi? Non c’è mai nessuno che voglia pensare al “ma poi”? Quanto deve andare avanti questo clamoroso tafazzismo? L’individualismo sfrenato, a Londra come in Italia, non risolverà mai nulla. La forza e il coraggio nemmeno, lo so, ma almeno non sanno di retorica ma di sporcarsi le mani.
Novembre 24th, 2010 at 11:08
Non era né una lode per chi resta, né una critica nei confronti di chi parte (in altre parole: perché rovinarsi l’esistenza? :-).
Non credo nei salvatori della patria (con la minuscola e senza squilli di tromba, perché mi piace identificarla più che altro con un idea di comunità), e penso che la sensazione di essere un po’ fessi nel restare qui sia largamente condivisa. Chi resta probabilmente lo fa per i tuoi stessi motivi, qualcuno aggiunge un briciolo d’orgoglio e un barlume d’amore nei confronti del poproprio paese. Più che amore, che suona forte e sproporzionato, parliamo di un approccio privo di cinismo.
Ti rispondo, se è una risposta che cerchi, con quello che mi son sentito dire da un ricercatore universitario: «Io me ne potrei andare. Ma se da qui ce ne andiamo tutti quanti, cosa rimane?». Detto questo aggiungo che – forse ti sembrare una visione romantica – il cambiamento è da sempre alimentato da spinte che arrivano dal basso. Quindi anche, ma non solo, da chi tira a campare.
Novembre 24th, 2010 at 11:20
L’Italia è un paese che in proporzione alle sue scarse risorse sul territorio ha fatto i miracoli. Stiamo sempre a lamentarci. Everything is wonderful and nobody is happy.
Novembre 24th, 2010 at 11:24
A me sembra solo di capire che Valentina sia semplicemente infelice.
@ Luca: ti prego presentami il tuo amico che rinuncia a una birra per Internazionale (potrebbe essere il titolo di una sit-com).
Novembre 24th, 2010 at 11:42
@Luca messa in questi termini certo, però rimane a mio avviso una piacevole posizione romantica poco concreta. E’ più facile convogliare gli sforzi dove possono trovar vita e sviluppo, anzichè insistere su una terra arida.In questo senso, penso che dovrebbe essere un governo a dare gli stimoli per rimanere in una terra per provare a cambiare. quando vedo chi ci governa, però, mi viene da piangere. E mi viene da piangere anche quando vedo i sindacati, che dovrebbero aiutare la base a cambiare e capire che il mondo cambia e invece fanno ostruzionismo oltranzista senza comprendere che il mondo è cambiato, e vogliono le garanzie d’un tempo senza sforzi in più.
In questo senso, mi sembra una posizione di stallo. In questo senso, faccio il mio, e magari con del buon cibo ogni tanto scaccio le frustrazioni di questa empasse.
Però, se anzichè comprare Internazionale ci si beve una birra assieme e si parla di cambiare, io ci sono, se volete.
Novembre 24th, 2010 at 12:11
Vedo che Internazionale ha lasciato il segno su più lettori del mio commento. Era solo un modo, ma ne potrei trovare molti altri (anche perché io amo sia la birra che Internazionale a dire il vero), per spiegare l’evidenza: e cioè che – con tutto il rispetto – non tutti hanno gli amici di Valentina, che pagano rate per assicurarsi un SUV o si svenano per borse firmate.
Mi sembra di svilire tutto impostando la questione come una lotta fra “illuminati che partono” vs. “lobotomizzati cresciuti a pane & tv che restano”. O fra “neuroni in fuga con nostalgia di casa” vs. “illusi con le radici piantate in Italia”
Non capisco il sarcasmo di altri: a 900 euro al mese anche spese minime come l’abbonamento a una rivista, il biglietto di un concerto o il costo di un libro influiscono.
Che venga da piangere guardando al nostro quadro politico – senza entrare nel merito di quanto i sindacati pensano o fanno, la discussione ci porterebbe altrove – è evidente almeno quanto lo è il fatto che in Inghilterra la mia mente e il mio borsello starebbero di certo meglio :-)
Trentasei, non capisco bene: prima mi parli come se nulla potesse dipendere da noi e dalle nostre scelte di tutti i giorni, come se tutto rispondese solo a un quadro superiore, calato dall’alto e sul quale noi non abbiamo la minima possibilità di incidere. Dall’altro lasci la rivista in edicola, la metti da parte e ordini due birre per cambiare di cambiamento.
Novembre 24th, 2010 at 12:13
Luca, i tuoi amici mi sembrano un po’ noiosi ;-)
E poi non capisco perché seguire il calcio sia così disdicevole, mah. Per non parlare della birra. Eppure guadagno 1.200 euro al mese pure io e sono precario da 10 anni.
Novembre 24th, 2010 at 12:15
Tolti il cibo, la pizza, il vino, le città d’arte e alcune belle zone, resta ben poco di bello nel “Bel Paese”.
Sono stato in mezza Europa e l’unico stato “evoluto” che ho trovato essere messo peggio dell’Italia è stata la Spagna, non sto qui a spiegare per quali motivi.
Il problema è nella società, nella testa di chi la governa e di chi si fa governare, mi dispiace doverlo dire ma grossa parte delle tradizioni e di ciò che mi fa ricordare la mia “piacevole infanzia” si è perso, in parte anche a causa della massiccia immigrazione che l’Italia non poteva sopportare (non sono nè leghista nè xenofobo, è semplicemente una constatazione) e che è andata a peggiorare, con l’incremento della popolazione, servizi che tutto sommato non funzionavano malaccio fino ai primi anni 90. Vi è mai capitato di dover andare al pronto soccorso? O magari in questura? Se si, forse capite cosa intendo.
Manca il rispetto tra le persone, la sicurezza, qui il cliente non solo non ha sempre ragione ma è un potenziale rompiscatole che deve pagare e possibilmente stare zitto.
La criminalità dilaga e la preoccupazione maggiore è quella di battere cassa con autovelox, posti di blocco, etilometri e quant’altro.
Si costruiscono centrali nucleari con tecnologie sorpassate da anni, si trascurano le cause e si cerca di tamponare gli effetti, spendendo una marea di soldi pubblici senza risultati, appaltando sempre ai soliti noti.
Potrei continuare all’infinito…
Sono deluso da questo paese. Tolgo il cappello di fronte ai bianchi e congelati Svedesi, ammiro l’organizzazione dei tristi e beoni inglesi, rimango perplesso osservando l’efficienza dei wurstel-crauti tedeschi.
Un po’ meno abbronzati, un po’ meno pizza-mandolino, un po’ più lontani dalle spiagge sarde, vero…. ma mi pare che per il resto se la cavino parecchio meglio di noi.
Ps: a chi sostiene che si possa vivere sempre sul filo del rasoio con 1200€ e tanti compromessi, invito a provare… specialmente come ci si sente al minimo imprevisto (ops… si è rotta la caldaia, bisogna chiamare l’idraulico…)
Novembre 24th, 2010 at 12:21
Mi son soffermato su questa frase scritta da Valentina: “Sono felice di vivere a Londra? No.”. Si tratta quindi di scegliere la facilità alla felicità? Nel caso mi dispiacerebbe molto per lei. La facilità è un discorso prettamente personale ed individualista mentre la felicità è collettivo, è contagiante.
Per il resto penso che l’uomo in quanto animale sia sempre stanto spinto dall’istinto di sopravvivenza verso il più facile, il più vivibile e questo dipende solo dai punti di vista che per fortuna sono molteplici; chi preferisce l’Inghilterra e chi l’Italia.
Storie di gente che cerca fortuna e che la trova ce ne sono sempre state e sempre ce ne saranno ma quello che importa è capire se siamo più felici nel vivere le leggende o a leggerle al nostro bimbo mentre si addormenta.
Novembre 24th, 2010 at 12:28
@Luca hai ragione, è una lotta continua fra disillusione e voglia di cambiare.In questo senso, se guardo a chi ha il compito di aiutare i cambiamenti, in alto (governo) e alla base (sindacato), vedo tanti parolai senza concretezza. Mi piacerebbe trovare persone con la voglia di cambiare, ma senza piangere al governo ladro e senza aspettarsi i privilegi d’ un tempo gratis.faccio un esempio provocatorio: l’articolo 18 della giusta causa, è una sacra tutela, ma anche l’incudine su cui si infrangono molte palle:un imprenditore, prima di assumere, ci pensa duemila volte, visto che non sta assumendo, sta prendendosi un figlio a carico fino al fallimento, nella pratica. da cui i mezzi infami escogitati degli stage, contratti determniati, co.co.co. e minchiacazzo. all’estero, invece, va avanti chi si impegna, chi no a casa, e nel frattempo, a fronte di un maggior rischio, è pagato di più, assunto con più facilità ed è in una realtà più snella, lavorativamente.conciliare mamma Stato con un po’ di facilità rinnovamento, in Italia, sarebbe già un buono spunto a fare con chi ha voglia di fare. per dire, tu mi sembri uno con cui si potrebbe fare, a naso. da qui nasce lo stimolo a bersi una birra assieme.
Novembre 24th, 2010 at 12:54
solo per un ulteriore spunto: esistono ovviamente italie diverse.
ho vissuto anni a milano da studente. e l’ho detestata.
sono tornato a vivere in provincia e penso che farei molta fatica a rinunciare al ventre caldo degli affetti e dei molti conoscenti che compongono il quadro dei miei luoghi.
quando la provincia smette di esserti stretta diventa una risorsa di umanità che mette il sale alla vita.
Novembre 24th, 2010 at 13:24
Potrei scrivere esattamente le stesse parole di Valentina, cambiando solo “Inghilterra” con “Svizzera”, per adattarlo alla mia personale esperienza di italiano residente all’estero. Capisco ogni riga, ogni passaggio, ogni sentimento che descrive Valentina, per averlo provato sulla mia pelle.
Il punto è che potrei sostituire Inghilterra con Svizzera, Danimarca, Germania, Belgio, Francia o anche Spagna, questo solo per restare in ambito europeo: cambierebbe ben poco.
Di sicuro resterebbe l’imbarazzante costante “Italia” in questa equazione che non torna.
L’Italia dove ci si vede offrire stipendi ridicoli e nel contempo ci si sente dare dei “mammoni” perché a 30 anni si vive ancora con i genitori.
Quando si dice che l’Italia è ferma al palo da almeno dieci anni, che da quando è stato introdotto l’Euro poco o nulla è stato fatto a sostegno del potere d’acquisto, si intende questa roba qua: aver bruciato una generazione, averle tolto ogni entusiasmo nel momento cruciale dell’accesso al mondo adulto, averla condannata all’idea che avere una vita dignitosa e aperta alle opportunità, semplicemente una vita “normale”, non sia un diritto universale, ma un lusso concesso a pochi.
Novembre 24th, 2010 at 13:27
…dai Valentina ammettilo, sei troppo triste, non vedi l’ora di tornare.
Novembre 24th, 2010 at 14:03
C’è come al solito troppo disprezzo per chi è diverso da noi e la pensa in modo non omogeneo. Che c’è di male ad esempio nel comprarsi un suv o un audi? O nell’andare allo stadio la domenica? O nell’aspettare la tredicesima per fare qualche spesa extra. O nell’avere piccoli innocui desideri? O semplicemente nell’amare il vivere in questo paese nonostante tutti i suoi difetti (troppo sopravvalutati)? Insomma va bene condividere piacevolmente le proprie esperienze, molto meno bene star sempre lì il giudicare gli altri sentendosi per questo migliori.
Novembre 24th, 2010 at 14:11
Fabrizio, i tuoi interventi sono sintomo di invidia o di ignoranza?
Novembre 24th, 2010 at 14:30
Io non sopporto più questo paese e se avevo 20 anni di meno me ne andavo di corsa. Quando mia figlia avrà 18 anni le consiglierò di scappare da questo paese per vecchi e morti.
Novembre 24th, 2010 at 14:57
ho un buon curriculum, ma anche 45 anni, e l’azienda per cui lavoravo è fallita. Ho mandato in giro il cv. Niente. Ho provato a gonfiarlo un po’. Niente. Poi l’ho sgonfiato, per tentare con profili più bassi. Niente. Due head hunter mi hanno detto in tutta franchezza: sei troppo vecchia. Ho mandato il cv all’estero: Svizzera e Olanda. Ho tre proposte concrete in mano, e vari contatti che potrebbero dare frutti. Non ho scelta: DEVO andarmene. Che l’Italia mi piaccia o no. E devo dire che non mi piace proprio più.
Novembre 24th, 2010 at 15:57
Se metà del tempo che dedico a scrivere commenti nei blog, su facebook e leggere i giornali on line lo impiegassi per lavorare sarei ricco. Non so se è così anche per voi.
Novembre 24th, 2010 at 16:29
E come criticarti…..
Novembre 24th, 2010 at 17:00
@Attimo: “…grazie a situazioni che piovono dall’alto …”. detto senza nessuna acredine e con il massimo di spirito costruttivo: il problema è che quelle sono situazioni costruite dal basso grazie a un senso di cittadinanza che a noi è del tutto sconosciuto. le banche a Londra ti telefonano a casa perché gli inglesi non sono disposti a farsi imbrogliare; gli italiani (non tutti, ma quanti bastano perché le cose non cambino) si. ogni paese ha le sue magagne e il paradiso in terra non esiste. ma rimanere qui (quasi) solo perché si mangia bene, il clima è buono, ci son la famglia e gli amici diventerà sempre più riduttivo. con la sgradevole sensazione, fra l’altro, che facciamo molta fatica a immaginare quali sacrifici ci attenderanno nei prossimi anni.
Novembre 24th, 2010 at 17:41
Premessa: qualsiasi cosa dirò in questo commento sarà infarcita di luoghi comuni, ma è inevitabile visto che si parla di un argomento ampiamente al centro delle discussioni di questi ultimi tempi, specialmente in una certa parte (non geografica) del Paese. Perciò, please, portate pazienza :-)
Dopo lunghe riflessioni, ho dedotto che ciò che mi ha stancato dell’Italia sono gli italiani. L’ho detto.
Gli italiani, con la loro certezza di essere sempre più furbi degli altri, per cui, ad esempio:
• la coda si fa non in linea retta ma a cuneo (per infilarsi prima che giunga il proprio turno)
• i divieti sono consigli (io so meglio dell’autorità cosa è giusto fare); solo in Italia esiste il concetto di “assolutamente” vietato, in contrapposizione al “normalmente” vietato
• le cinture posteriori (i.e. per i bambini) non sono obbligatorie, anzi meglio, mi metto il bimbo sulle ginocchia, così posso usarlo come airbag (questo comportamento mi scatena istinti omicidi)
• l’assunzione per raccomandazione, lo stato di scuola e università, il pagamento a 360 giorni, i tabaccai che disattivano il controllo anagrafico ai distributori automatici di sigarette… (continuare a piacere con estratti di Report / Jene / Striscia / Mi manda Raitre / etc., secondo i vostri gusti)
Potrei continuare ad libitum ma tanto sappiamo tutti di cosa si tratta. Lo stato del Paese non è che il risultato di decenni in cui ognuno ha badato al proprio particulare, facendo perdere terreno all’Italia in termini di competitività, innovazione, ricerca. Gli infimi stipendi ne sono solo una misura più immediata.
Ho due bambini piccoli ma tra qualche anno probabilmente tenterò il grande passo, e non per migliorare il reddito ma per migliorare il loro (e anche il mio, checcazzo) futuro.
Scusate lo sfogo.
Novembre 24th, 2010 at 17:42
Certo che se tornare significa “tornare a Milano”, ce ne vuole di coraggio ;)
http://edue.wordpress.com/2010/03/24/adesso-piantala/
Novembre 24th, 2010 at 18:19
io son via da cinque mesi e sono completamente d’accordo con Valentina.
Novembre 24th, 2010 at 19:37
…Marino, PAROLE SANTE. IL POST PIU’ INTELLIGENTE CHE HO LETTO. E SE LA PIANTASSIMO?
CIAO
Novembre 24th, 2010 at 20:01
Capisco perfettamente Valentina. E Londra mi piacerebbe pure. Sono costretto a essere free-lance nel mondo della comunicazione (tra giornalismo, editoria e web) e sono stanco, sfinito, schiantato da questo Paese. Sfinito perché nonostante abbia un buon curriculum nessuno si sogna di prenderti; sfinito perché se fai uno stage e lavori bene e sono contenti di te e chiedi “allora continuiamo?”, ti rispondono “Se ti va, nel tempo libero”, perché non hanno intenzione di pagarti nemmeno un po’; sono sfinito perché per portarti a casa pezzetti di lavoro devi sempre conoscere qualcuno che te li faccia girare; sono sfinito perché devi inseguire per settimane, mesi quando non anni le persone per cui hai lavorato per farti pagare, e a volte finisce pure che non ti pagano e non puoi farci niente, te lo dice anche l’avvocato; sono sfinito perché quando arrivi a farti pagare magari ti propongono di darti i soldi in nero “perché va meglio anche a te, vero?”; sono sfinito perché anche se fatturi alla fine i soldi che ti metti in tasca sono talmente pochi che non ti bastano a niente; sono sfinito perché così non riesci nemmeno a costruirti un percorso professionale coerente, perché devi prendere su tutto, altrimenti non si lavora; sono sfinito perché così il tempo di lavoro è completamente spalmato sul tempo di vita e alla fine non riesci più a trovare il tempo per te stesso. E anche se vai in bici, risparmi, ti compri i libri usati, hai una comunità di amici che ti fa da famiglia allargata, non basta. “Uno è di dove si sente meglio”, scriveva Sepulveda. E io, oggi, in Italia, mi sento malissimo.
Novembre 24th, 2010 at 21:16
Io sinceramente mi sento molto vicino al pensiero di Valentina. Non per una questione di individualismo, di mero materialismo (i 2000 euro al posto dei 1000) o per mancanza di attaccamento nei confronti delle radici. Il problema è proprio quello della qualità della vita, al di fuori della professione, ma inevitabilmente legata a doppia mandata con essa. Personalmente ho maturato la convinzione che non vivrò mai per lavorare. La componente professionale deve rappresentare una parte importante della vita, non lo posso (nè voglio) negare. Ma c’è anche tanto d’altro e se non se ne può godere… meglio cominciare a farsi delle domande. Valentina se le è fatte. Si è data delle risposte. E ha scelto.
La vera fortuna, in fondo, è avere la possibilità di scegliere. Non tutti ce l’hanno. Non dimentichiamolo.
Novembre 24th, 2010 at 21:44
Da emigrante come Valentina (ecco… a dirla tutta… siamo amici qui a Londra), mi capita spesso di imbattermi in blog, forum e discussioni simili… e tutte le volte ritrovo piu’ o meno gli stessi discorsi: c’e’ chi condanna, chi ammira, chi accusa di cercare le vie facili e chi invece capisce che poi non e’ poi cosi’ tanto facile fare fagotto e partire per un’altra nazione.
Leggendo i commenti, questa volta, ho trovato quello di Guter molto vicino al mio pensiero… anche se con qualche aggiustamento.
Sono partito odiando l’Italia… ma dopo 3 anni ho imparato ad apprezzarne alcuni aspetti. Come Gustav credo che sia questione di trovare il posto giusto per ognuno di noi. La questione e’ che, secondo me, questo puo’ cambiare nel tempo.
Ho passato un’infanzia e un’adolescenza meravigliosa in Italia. Ma arrivato all’eta’ lavorativa e dopo aver speso alcuni anni in importanti agenzie italiane, mi sono reso conto di quanto il nostro sistema lavorativo sia stagnante, basato su preconcetti e vecchie abitudini. Evito i dettagli ma quello che posso dire e’ che arrivato a 27 anni ero stufo di quello che mi circondava, della poca competivita’, dell’assoluta assenza di meritocrazia. E in quel momento soddisfazione e carriera professionale erano le mie priorita’. Ho rischiato e deciso di provare Londra anche per via della lingua (il mio inglese terribile aveva decisamente bisogno di una scossa per migliorare).
Ora, dopo tre anni ho incominciato a tirare qualche somma, e devo dire che non rimpiango assolutamente la mia scelta, anzi… forse avrei dovuto partire prima. Ho trovato stimoli e un ambiente dove, se sei bravo, vieni premiato. Dove chi e’ sopra di te, lo e’ davvero sia come competenze che come esperienze: qualcuno da cui imparare (anche se poi scopri che e’ pure un paio di anni piu’ giovane di te) e non qualcuno che non riesci a capire come possa aver avuto quel posto e a cui devi insegnare a fare il suo lavoro. Ed e’ esattamente quello che cercavo… vengo apprezzato per il mio lavoro, vengo spinto a dare il meglio di me e se quando ci riesco me ne danno merito. Sono felice e mi sto realizzando.
Pero’ ho anche capito che qui non e’ dove vorrei crescere una famiglia e ho anche imparato ad apprezzare alcuni aspetti dell’Italia che ora mi mancano. Sinceramente non ci trovo nulla di strano, sbagliato o assurdo in tutto cio’. Significa semplicemente che arrivera’ il momento in cui la carriera e il lavoro non saranno piu’ una priorita’ e a quel punto saro’ pronto per tornare in patria o magari trasferirmi in un’altra nazione… Chissa’…
Mi spiace per Valentina, davvero… capisco i suoi punti anche se non li condivido completamente… o forse semplicemente perche’ non mi fermo a pensare agli aspetti negativi della vita in UK e massimizzo solo quelli positivi. Come qualcun’altro ha gia’ fatto, non posso far altro che augurarle di trovare il suo posto, prima o poi.
Intanto so gia’ che alla fine ci faremo cmq due risate sabato sera davanti ad un buon bicchiere di vino. Ciao!
Novembre 24th, 2010 at 22:10
Io sto bene, grazie.
Novembre 25th, 2010 at 01:31
Non credo che Valentina stia a Londra e vada a comprarei i vestiti a Portobello. Quindi la cosa sui SUV e YSL è sorprendentemente inutile. Il resto è stato piacevole da leggere.
Ma qui a Bolzano e anche a Trento c’è tutto e di più, i servizi e l’efficienza di questa regione non hanno nulla da invidiare rispetto a tutte le Londra, Vienna e via dicendo di questo mondo. Una regione ancora più efficiente del veneto e della Lombardia messe assieme.
Questo per dire che l’Italia non è tutta uguale e anche qua ci sono posti d’eccellenza. Abbiamo l’autonomia. Magari un giorno ci annetteremo all’austria e tanti saluti.
Novembre 25th, 2010 at 07:28
[…] Un neuroncino scappato di casa – manteblog […]
Novembre 25th, 2010 at 12:01
ai mille e due, senza straordinari non ci arrivo. Mia moglie come me.
35 anni in attesa del secondo figlio e con la macchina troppo piccola per 4 persone.
Si lotta su ogni pallone.
Novembre 25th, 2010 at 12:07
[…] caro Massimo Mantellini pubblica sul suo blog il commento di una certa Valentina, anche lei “fuggita” a Londra, e anche lei impietosa […]
Novembre 25th, 2010 at 12:15
A prescindere che sia giusto o sbagliato secondo me un’esperienza all’estero puo’ fare solo bene perche’ fare esperienze nuove non possono fare altro che arricchire una persona!
Come hanno gia’ scritto non e’ che all’estero sia sempre tutto rosa e fiori(anche se mi sa che a londra o a edimburgo io mi troverei da dio a viverci! :-D )… certo per quanto riguarda l’italia il mondo del lavoro non e’ che stia messo bene oddio esistono ancora aziende quasi serie che fanno contratti decenti ma non sono molte.
La verita’ e’ che c’e’ poco lavoro e ci sono troppi anziani al governo, alla fine i giovani spesso e volentieri se la prendono nel c… con contratti ridicoli e turni di lavoro degni del tempo degli schiavi! :-( E’ anche vero che molti giovani non si fanno sentire molto e’ come se non gliene importasse nulla e intanto lentamente affondiamo! :-|
Novembre 25th, 2010 at 17:16
Sono a Londra da 2 anni, faccio a tutti lo stesso esempio per spiegare la differenza con Milano:
A Londra, se sei ad un incrocio e devi dare la precedenza non e’ infrequente che la macchina con la precedenza ti faccia i fari, il significato e’: “ti ho visto, rallento cosi’ tu puoi passare”.
Quando sei passato e’ buona norma mettere per un paio di secondi le doppie frecce; il significato e’, banalmente, “grazie”.
Immaginate questo modo di essere comunita’ in tutti i dettagli della vita quotidiana e capite perche’ anch’io dico: mi manca la famiglia, mi manca la cucina e mi manca il sole ma non tornero’.
Beppe
PS Sono sicuro che il grande capo e-sticazzi potrebbe commentare la mia decisione da par suo, me ne rendo conto
Novembre 25th, 2010 at 18:04
Vivo da due anni in Germania.Non a Berlino perche’ le industrie ed il lavoro sono altrove.
La retorica de “i mezzi di trasporto funzionano” o “all’estero e’ meglio” non la reggo piu’ :(
Sono contenta di essere qui e riconosco che molte cose funzionano.
Ma non per questo mi vien da dire che l’Italia fa schifo o e’ solo schifo.
La realta’ non “qui tutto bello, la’ tutto uno schifo”
E, peraltro, lavorando nelle telco io col piffero che faccio quei meravigliosi orari.
Sulla parte “stipendio lordo” farei presente che hai pure da calcolare tasse, sanitaria e vedere se c’e’ il piano pensionistico. Questo in generale, ogni paese ha poi le sue correzioni.
Se devo fare la splendida posso scrivere una cosa simile, in realta’ la vedo come un esercizio di retorica su “all’estero e’ meglio”.
Sorgemi poi una domanda: com’e’ che nessuno va mai in un posto tipo Reading ma tutti a Londra ?
Voglio dire avete presente cosa siano Slough o Reading o Newbury ?
E, alla fine, visto che ogni emigrante fa storia a se, chissenefrega se la nostra amcia non amante di Gucci si trova bene a Londra ?
Novembre 25th, 2010 at 19:21
annarella = post del millennio.
e.
sti.
cazzi.
Novembre 25th, 2010 at 20:35
Innanzitutto grazie per aver sollevato questo argomento. Questo genere di post mi fanno sentire meno sola nella mia esperienza all’estero e più parte di un fenomeno comune.
All’estero non è tutto oro, non tutto è facile e dobbiamo sviluppare nuove competenze anche e soprattutto di relazione con altre persone che hanno culture diverse e lingue diverse. Suona facile? Non lo è.
All’estero non è tutto facile perché al momento l’Europa è in movimento turbolento, la recessione miete vittime e – contrariamente a quanto accade in Italia – qui in genere la risposta al cambiamento è pressocché immediata (nuove leggi, cambiamenti, nuovi assetti).
Quindi niente di conquistato per sempre, ma una scelta continua ogni giorno e ogni giorno è accompagnato da dubbi e domande.
La cosa che ho fatto mia però è che ora sento di avere più strumenti per affrontare il cambiamento. Ho meno paura di cambiare vita, di cambiare lavoro, di cambiare paese e cambiare il giro di persone che frequento.
Meno paura non significa che sto a posto.
E’ bello sentire che si impara ogni giorno e per questo motivo non mi sento di dare consigli a nessuno, non ho niente da insegnare, posso solo dire la mia esperienza e come sto messa al momento.
Posso dire che fuori dall’Italia ho imparato a rispettare di più gli altri, a vedere veramente la dignità dell’individuo e a sentire che siamo tutti uguali. Pare scontato. Non lo è.
Che l’importanza della libertà di pensiero e di parola è fondamentale, come è fondamentale avere lo spazio anche per sbagliare.
Ho imparato cosa significa essere rispettata sul lavoro e cosa sia la dignità.
Quanto influisce sulla tua vita il fatto di non essere rispettato, quotidianamente, costantemente, essere ridotto a limone da spremere? Quanto influisce sulla stima di te e sulla capacità di immaginare un altro trattamento?
Qui sto imparando a bilanciare la giusta distanza tra individui e l’affetto, tra la passionalità mediterranea e l’obiettività nord europea. Quella che permette di avere una società molto più meritocratica della nostra.
Sto imparando tanto e non ne avrei avuto la possibilità rimanendo in Italia.
In Italia ho preso tante cose buone, la qualità, l’approfondimento, il calore, la condivisione e mi manca soprattutto non poter seguire da vicino la quotidianità della vita delle persone care.
Ho avuto la fortuna di fare un percorso interiore, prima del mio trasferimento all’estero e questo mi ha dato la possibilità di superare tantissimi ostacoli, soprattutto interiori.
Sono venuta qui incompleta, incapace di parlare, solo con il fatto che sapevo fare il mio lavoro e da allora non ho fatto che crescere professionalmente e umanamente.
Quante parti di me non avrei incontrato se fossi rimasta in Italia?
Sembra che la quotidianità non influisca poi tanto sulla personalità.
Non è così.
Quante volte non cambiamo situazione perché quella attuale, seppure disastrosa, è quella che conosciamo?
Si paga un prezzo per il trasferimento fuori dalla propria comfort-zone, ma al momento non mi sono ancora pentita della scelta fatta.
Novembre 26th, 2010 at 09:28
<>
WHAT???? mi permetto di obbiettare…per anni ho usato i treni da pendolare e – nonostante il costo – venivano cancellati (per foglie sulle rotaie o per problemi coi segnali) o, nella migliore delle ipotesi, avevano ritardi di più di 20-30 o 40 minuti…e io lì a congelare alla stazione di Manchester Piccadilly alle 7 di sera!
…e non mi risulta che la situazione sia cambiata da allora…semmai peggiorata, in quanto i servizi continuano a non essere affidabili, ma i treni costeranno fino al 12% in più a partire da nuovo anno..per cui un abbonamento annuale per un pendolare costerà almeno 1000 sterline in più dal primo gennaio.
La situazione non è migliore con la metropolitana…questa è la situazione “as we speak”, cioè in UK sono le 8.30 ed è ora di punta:
Bakerloo Minor delays
Central Good service
Circle Minor delays
District Severe delays
uhm…non è tutto così ‘rosey’ !!!!
Novembre 26th, 2010 at 10:26
Io a Londra ci ho vissuto.Così come ho vissuto in Spagna e per un breve periodo in Grecia.Ho viaggiato tanto e poi sono sempre tornata qui.L’Italia mi delude ogni giorno,mi arrabbio per una meritocrazia che non esiste e per un lavoro che non dura mai abbastanza.Ma la mia differenza la fanno le persone.I miei genitori,le mie sorelle,i miei nonni ormai molto anziani,i miei zii.Non vorrei perdermi troppo della vita di chi amo.E quindi resto,combatto,e cerco di non dimenticare i valori che,nonostante tutto,questa terra mi ha trasmesso.Una visione romantica?Può essere.Ma non credo che potrei mai pentirmi di aver scelto seguendo il cuore.
Novembre 26th, 2010 at 14:32
…carissimi Andrea,Roberto,Roberto B.,Ste,Luisa ed altri,
Un post è un post non un romanzo.Senza rancore.
Novembre 26th, 2010 at 23:12
[…] Mantellini pubblica il racconto di una donna emigrata a Londra. […]
Novembre 27th, 2010 at 19:17
non lo so se è un off topic.
Ma a leggere quelli che invitano a rimanere, e magari a rimanere “in provincia” mi viene da chiedere: che lavoro fate?
E soprattutto: come lo avete trovato?
Lo avete trovato rispondendo ad un annuncio o tramite amici di amici?
Grossa curiosità.
Novembre 27th, 2010 at 20:10
Caro Fabrizio, la informo che su tutte le tastiere è presente un tasto PgDn, che può liberamente utilizzare; la autorizzo io, non si preoccupi. Con affetto.
Novembre 28th, 2010 at 22:35
Grazie per l’argomentazione Fabrizio, in effetti avevo bisogno di una lezione di posting.
Peccato che il bello di un blog sia proprio di poter scrivere ciò che pensi, se a te non interessa puoi passare oltre.. un po’ come farò io con il tuo suggerimento :)
Marzo 12th, 2011 at 01:08
[…] Mantellini pubblica il racconto di una donna emigrata a Londra. […]