Contrappunti su Punto Informatico di domani.
La parola d’ordine è contaminazione. Quello che mi pare stia accadendo intorno alla rete Internet negli ultimi anni potrebbe essere riassunto in questa tendenza che la rete ha avuto nel complicare le connessioni verso tutti. Da allora relazioni sociali e media hanno iniziato ad intersecarsi sempre più strettamente e messaggi diversi sono ormai indistinguibili l’uno dall’altro (tanto che è stato coniato e va molto di moda il termine “social media”): le parole delle persone, quelle dell’informazione, della politica e delle aziende sono andate a unirsi in una grande caotica babele il cui paradigma è l’unità di luogo e la strette vicinanza mediata dallo spazio di un link (o di un copia-incolla).
Orientarsi in un simile caos non è semplice ed i tentativi di sistematizzazione sono tanto ammirevoli quanto spesso incompleti. Per esempio Malcolm Gladwell, editorialista brillantissimo ed acuto, sul New Yorker della settimana scorsa si è cimentato sul tema complicato della forza delle relazioni sociali ai tempi della rete. Come capita un po’ a tutti, non ne è uscito completamente indenne.
La tesi di Gladwell, che riprende altri precedenti punti di vista ugualmente ragionevoli come la critica al cosiddetto clickactivism, è che le relazioni sociali mediate dalla rete siano legami deboli e come tali inadatte ad agire sullo status quo. Secondo l’autore i due punti di debolezza dei media sociali sono quello, noto, di proporre un effetto di sostituzione (vale a dire quello di far preferire ai cittadini l’impegno in rete a quelle nelle piazze) e quello di non avere una organizzazione gerarchica, elemento che secondo Gladwell è alla base del successo di ogni iniziativa di rivoluzione sociale.
Per riassumere: la rete, con il suo sviluppo orizzontale, potrà forse essere il mediatore di una miriade di piccoli eventi sociali emozionalmente significativi ma si rivelerebbe inadatta a supportare grandi cambiamenti epocali. Tuttavia il focus dell’analisi sembra disinteressarsi dei cittadini per discuterne le prassi sociali e questo indebolisce qualsiasi costruzione ideologica. O sosteniamo che Internet ci ha cambiati dentro, trasformandoci in “contestatori stanziali”, e come tali molto meno efficaci (e per farlo occorreranno valutazioni sociologiche sul campo e un bel numero di riconosciuti fallimenti a supporto) oppure, assai più probabilmente, gli strumenti di relazione in rete hanno fatto emergere comportamenti che prima non erano osservabili, come il coinvolgimento debole di fasce di persone che fino a ieri non sarebbero scese in piazza e che oggi invece danno segno di sé con un click. Qualcosa di simile all’effetto del microscopio su una superficie apparentemente linda.
Internet (forse) causa un effetto di contaminazione all’interno del quale il passaparola smuove (leggermente) un numero molto ampio di coscienze fino a ieri immobili e, contemporaneamente, offre alternative di disimpegno sociale ai meno convinti fra quanti fino a ieri scendevano in piazza. Dentro questi nuovi equilibri dinamici sarà interessante vedere domani quale sarà l’effetto complessivo.
Lo stesso effetto, la stessa confusione, riguarda altre forme di relazioni messe in crisi dalla rete. Fino a qualche anno fa sarebbe stato impensabile che il direttore di uno dei più grandi quotidiani italiani scegliesse di confrontarsi pubblicamente con la propria redazione sui temi della contaminazione del lavoro giornalistico verso Internet. Così quello che per Ferruccio de Bortoli, autore la settimana scorsa di una lettera aperta vibrante e molto critica, è un necessario cammino, dentro la rete, verso una nuova professione giornalistica, per il Comitato di Redazione del Corriere della Sera è un trucco, un uso strumentale di questa nuova contaminazione per spremere i giornalisti, facendoli lavorare di più, più in fretta e peggio. Ed anche la ragione delle due giornate di sciopero che hanno sancito il dissidio.
Anche qui, come nelle tesi di Gladwell, sono facilmente identificabili diversi punti di vista ed un mediatore ineludibile. Fuori dalle contrapposizioni azienda-sindacato per noi è interessante individuare, anche in questo caso, il cambiamento dentro la contaminazione. La nostra predisposizione di cittadini verso l’informazione è stata fortemente mutata da Internet. Le distanze fra produttori e consumatori delle notizie che fino a ieri erano la norma, oggi sono diffusamente percepite come inaccettabili: l’aura salvifica del mediatore informativo si è notevolmente affievolita, tanto che molti lettori ormai immaginano se stessi come soggetti naturalmente attivi nella circolazione dell’informazione.
Una buona parte del traffico di bit che attraversa ogni minuto le reti sociali è fatto di rimandi, commenti e sottolineature di messaggi informativi mutuati da varie fonti, tra le quali i mezzi di informazione fanno ovviamente la parte del leone: difficile immaginare che tutto questo lavoro di nuova post produzione non incida anche sul lavoro editoriale e sulle sue abitudini.
Anche in questo caso è arduo individuare in tutta questa confusione un segno univoco, positivo o negativo che sia. “Networks are messy” scrive Malcolm Gladwell nel pezzo citato all’inizio ed ha certamente ragione, tanta da far ritornare alla mente un saggio di David Weinberger di qualche anno fa, non a caso intitolato, nella sua edizione italiana, “Elogio del disordine”.
L’unico dato certo è che Internet ha cambiato tutto, ha sparecchiato senza curarsi di togliere prima i piatti, le posate ed i bicchieri dal tavolo. Abbiamo sentito un gran rumore ma è molto presto per fare l’inventario dei danni. Se ce ne saranno. Nel frattempo qualcuno doveva comunque sparecchiare.
Ottobre 3rd, 2010 at 14:10
Lei dimentica un punto messo in evidenza da Gladwell: online la discussione non si ferma mai ne’ può fermarsi e il momento dell’azione non arriva mai. La Rete fa sì che i gruppi d’opposizione discutano allo sfinimento di ciò che si dovrebbe fare o non fare e senza una struttura gerarchica non si arriva mai al momento in cui si possa dire ‘bene, facciamo così’ (e tutto sotto gli occhi delle autorità che possono prendere nota di chi ha detto cosa e quando…)
Se questo vale per i regimi autoritari, dove almeno c’è un nemico preciso e facilmente identificabile (‘via il tiranno!’), figuriamoci quel che succede in una società aperta in cui il ‘nemico’ sono dei sistemi in gran parte impersonali.
E’ per questo che tanta parte del ‘popolo del Web’ desidera (facendo finta di temerle) che il ‘potere’ si metta davvero a censurare la Rete, così da poter giustificare la propria inazione a base di click e lol…
Ottobre 3rd, 2010 at 20:47
“Network are messy”. Disordine apparente. In fondo se i social network dovessero avere proprio una capacità di influenza non gerarchica ma diffusa e indirizzata ai singoli comportamenti dei singoli individui la forza del cambiamento sarebbe diffusa e non gerarchicamente vincolata. La conseguenza principale sarebbe quella di un cambiamento lento, graduale, e quindi poco percettibile ma che rivaluta l’individuo singolo, le sue scelte, le sue azioni. L’aspetto sociologico che parte nella sua analisi dal gruppo o dai gruppi lascerebbe definitivamente il passo (almeno in un senso) a una sociologia che non può prescindere dall’individuo e dalle sue relazioni che in precedenza erano limitate anche dal luogo fisico. Se molte persone dovessero, per esempio, modificare il proprio intento di voto a causa di nuove informazioni che trovano in rete o attraverso un confronto “disordinato”, la causa sarebbe da dividere in molte micro cause. Nell’arco di anni ci sarebbe cambiamento (nel senso lato del termine, quindi anche mantenimento) ma non sarebbe associato a comizi o a strutture gerarchiche come quelle dei partiti e quindi sarebbe meno visibile. Ce lo troveremmo difronte quasi all’improvviso, tessuto negli anni punto su punto, intrecciato pazientemente, senza fretta da un media con struttura a rete, ma sopratutto da chi lo usa. Forse l’informazione potrebbe divenire ancora più credibile perché “agerarchica”. “Il media è il messaggio” sosteneva McLuhan. La domanda da porsi forse è questa: chi è più credibile del vicino che riconosco come mio simile e non attore di una gerarchia costituita? Una rivoluzione invisibile. Un ordine nascosto, spesso contro intuitivo, che aspetta solo che si rivaluti un po’ Achille Ardigò per comprenderne le dinamiche.
Una sfida anche in questo caso, proprio perché si tratta di dinamiche complesse con molti attori in gioco che fanno gruppo e si auto-organizzano. Non andranno in piazza ma ogni giorno scelgono.