Oggi Sandrone Dazieri ha scritto un lungo post dove spiega le ragioni per cui chiude il suo profilo su Facebook. Leggendolo mi è venuta in mente una sensazione che ho spesso quando incontro dal vivo persone che hanno un blog o usano molto un social network. Molti sopravvalutano gli impatti della (propria) comunicazione elettronica. Comunicare in rete significa occupare uno spazio piccolissimo dentro un luogo enorme. Tolte rare eccezioni quelle parole su una pagina web avranno una eco modesta e brevissima che consentirà di raggiungere, nella grande maggioranza dei casi, solo poche persone molto vicine.
L’analisi di Dazieri è una analisi interessante ma, secondo me, sbagliata. Complicata dal suo essere personaggio pubblico e come tale compresso dentro dinamiche di relazione che, da un certo punto di vista, ne rafforzano la crescita (divento amico su Facebook dello scrittore noto) e dall’altro ne indeboliscono la naturale sintonia sociale (sono suo amico su Facebook ma non sono come lui).
Dazieri capisce che i suoi rapporti di rete hanno la valenza della nicchia (se ne accorge dai risultati sociali deludenti quando esce dalla rete e dà appuntamento ai suoi “amici” in una piazza) ma considera la nicchia come la sconfitta che non è. Con un misto di umanità e delusione intravede una doppiezza nei suoi sottoscrittori dove invece abita una prassi di rete consolidata.
Nel momento in cui Internet è diventata grande e varia si è creato il problema del passaggio dal piccolo al grande. Prima non c’erano troppe discussioni, tutti i rapporti di rete erano piccoli rapporti. E se tali rapporti si spostavano fuori dalla rete generavano piccoli incontri. Oggi, in casi isolati, riferibili di solito a persone note, si pone la questione della riproposizione in rete dei rapporti di forza tipici del mainstream. Come curare la propria audience dentro un ambiente che, a dispetto di quello che sembra, predilige i legami punto a punto? E’ un problema serio e irrisolto che riguarda per esempio anche la comunicazione politica.
Ma anche superata questa domanda, molte o poche che siano, le persone in rete comunicano, si indignano, perdono tempo e si informano. Con maggior difficoltà comprano i libri che vorremmo o escono di casa per ritrovarsi in un posto dove li attendiamo. Oppure se accade, accade dentro la logica dei piccoli numeri. Anche se noi siamo stati generosi e autentici. Rimaniamo delusi ma non è, in genere, nulla di personale.
Aprile 13th, 2010 at 21:33
Faccio un esempio:
http://ilnuovomondodigalatea.wordpress.com/2010/04/12/ci-facciamo-una-pizza/
Aprile 13th, 2010 at 21:58
Dazieri aveva già espresso, per gli stessi motivi, perplessità su facebook a fine 2008.
Ne ragionai allora sul mio blog, facendo ragionamenti non così dissimili.
Aprile 13th, 2010 at 22:16
“dentro la logica dei piccoli numeri”.
io scrivo le cose sul tumblr e mi rimbalzano su facebook e mi faccio una solida base di lettori, e a un certo punto decido di pubblicare un libro autoprodotto.
anzi, coprodotto, nel senso che chiedo ai miei lettori di promettermi in anticipo i 10 euro del prezzo di copertina.
mi arrivano 130 mail in un mese e io con i miei 1300 euro virtuali stampo un libro che porto in giro in treno e spedisco col piego di libri e insomma in un altro mese ho venduto 150 libri e mi sono ripagato le spese e i biglietti del treno, senza una casa editrice e senza un distributore e con ancora un sacco di libri da vendere.
ma a me non mi conosce quasi nessuno.
per dire.
Aprile 14th, 2010 at 06:32
Da quanto ho capito il punto del post di Dazieri non è quantitativo ma qualitativo.
Se propongo qualcosa su Facebook e ottengo anche solo 50 adesioni entusiaste mi aspetto che 50 persone abbiano
letto, capito e valutato positivamente quello che ho scritto. E mi aspetto inoltre che abbiano consultato la propria agenda e valutato la possibilità spazio/temporale di partecipare.
Se la mia proposta va poi deserta è evidente che i tasti battuti sulla tastiera hanno valore pari quasi a zero, perché non ci sono dietro le azioni che pensavo ci fossero. Si clicca “parteciperò” perché non costa niente e in quel momento sembra che faccia figo. Dopodiché si passa immediatamente alle zucchine virtuali e nel tempo di un respiro si è del tutto dimenticato di che si stava parlando.
Allora il dubbio di Dazieri (che il tempo passato su facebook sia tempo perso) è legittimo, e secondo me ha tutte le ragioni.
Credo che il fenomeno della indignazione su facebook (che tutto appiattisce sul più superficiale dei livelli) dovrà essere studiato molto a fondo.
Aprile 14th, 2010 at 06:45
Facendo attivismo politico basato sulla rete mi capita continuamente di vedere eventi organizzati su Facebook con centinaia di presenze “dichiarate” andare poi semideserti. Ma mi capita anche di vederne con persino più gente di quelli che si erano dichiarati: dipende dall’evento e dalle relazioni che hai con le persone. Dipende se le persone pensano che tu sia il tipo che si offende se non rispondi almeno “forse verrò” oppure no, per esempio. Dipende da come usi Facebook, se hai dentro solo amici e conoscenti diretti o se hai un profilo pubblico collegato a migliaia di “amici” sconosciuti. Dipende da tante cose…
Anche a livello politico il risultato non è facilmente prevedibile, ho visto candidati iperattivi, che si vantavano “con un clic i miei interventi finiscono sulla bacheca di 100.000 persone”, che avevano un fan club di 500 sostenitori, prendere 150 preferenze. E ho visto persone come me che nel fan club avevano 200 conoscenti quasi tutti diretti e hanno preso 1400 preferenze.
Alla fine Internet è un amplificatore di ciò che fai, se fai stronzate (o anche solo banalità) la gente magari ti dà il contentino di un clic ma poi non si muove, se fai cose intelligenti e interessanti la gente spesso accorre in maniera assolutamente impossibile senza questi strumenti.
Aprile 14th, 2010 at 07:29
Una volta dei cari amici bresciani vennero a trovarmi a Roma. Al momento del commiato (allora quando ci vediamo di nuovo?), su due piedi dissi “magari per Pasqua mi faccio un giro da quelle parti”. Passa un anno, io ovviamente dimentico tutto, telefono a quegli amici proprio nei giorni pasquali e scopro che “ma non vieni? Abbiamo già preparato la stanza”. Sboing!
Episodi come questi mi sono capitati diverse volte quando ho vissuto al nord, da buon meridionale era normale per me dopo una bella serata, lanciare inviti, proposte, generici “assolutamente dobbiamo fare questa cosa”. Se tu che abiti in Val del Menga mi racconti di come si fanno bene le salsicce alla tua sagra è normale che sul momento io ti dica “mamma, che buone che devono essere”. Poi io lo dimentico, ma tra una settimana scopro che la tua famiglia sta preparando in mio onore un triliardo di salsicce e quindi sono atteso alle ore 12, e mi tocca fare 200km di tornanti da incubo sotto la neve.
In questo Facebook è molto terun, cioè la gratificazione non costa niente, quindi perchè essere di braccino corto? Al tuo evento non parteciperò mai, ma non ti nego un “parteciperò” se penso ti faccia piacere mostrare un ricco parterre di partecipanti. Se ti voglio bene e mi iscrivo al tuo gruppo “quelli che odiano le cacche dei cani”, poi non ti puoi illudere di telefonarmi il giorno dopo per andare nel parco armati di paletta.
Lo scrittore in questo mi sembra molto poco pratico della rete, sembra non capire la differenza che corre tra mandare un poke e farsi 200km per andare alla sua presentazione. E fraintende quando pensa che la rete sia falsa e mentitrice: quelle attestazioni di stima sono sincere, la gente in quel momento ha voluto dargli un gesto, una pacca sulla spalla. Cose che vanno apprezzate ma non trasfigurate. Nel 90% dei casi rimangono quello che sono: segni di stima quantificabili in un singolo sforzo-click, e lo sforzo-click è diverso dallo sforzo-prendomacchina-faccio200km-vengoavederti. Ma nel suo piccolo, anzi piccolissimo, è un segno vero non bisogna schifarlo.
Ci vuole pochissimo in rete a lanciare il gruppo “questa crosta di formaggio avrà più fan di Obama” e a raggiungere un triliardo di fan. Questo non significa che alle prossime elezioni voteremo una crosta di formaggio. Spero.
Aprile 14th, 2010 at 08:20
Marco Sgrunt ha scritto faccende molto molto vere. Le mentalità di una collettività si incrociano, nel senso che un “modo di fare” comune nel proprio contesto lo si trasla in rete, non accorgendosi con piena consapevolezza che dall’altra parte abbiamo persone che interpretano ciò in maniera più o meno letterale, più o meno puntuale. E i danni e gli equivoci sono dietro l’angolo.
Aprile 14th, 2010 at 08:47
Hanno già detto gli altri quello che volevo dire io, quindi evito :-)
Aprile 14th, 2010 at 09:45
Ho riflettuto sulle parole dell’articolo e sui commenti e ne ho tratto una considerazione: chi ha superato i trenta si illude di trovare nel mondo virtuale gli stessi riscontri del reale sociale, sopravvaluta i social network. I giovani di oggi non hanno illusioni e faticano a sognare, ma danno il giusto valore (superficiale) ai rapporti di “amicizia” in rete. Avere più di trecento amici e sentirsi soli è una realtà che conoscono bene. A quanti eventi promossi in rete partecipano gli invitati? Virtualmente sono centinaia, realmente meno di una decina. Dobbiamo adattarci alla nuova comunicazione e trovare un nuovo modo di interazione tra i due mondi.
Aprile 14th, 2010 at 10:33
Quello che non capisco è pensare che siccome in FB i contatti li chiamano “amici”, lì si debba mettere in piedi una propria comunità di veri amici, lì ci debba essere per forza roba privata.
In realtà lì c’è quello che scegli di metterci tu, e i contatti “AMICI” li scegli tu (costa tempo e fatica, ma li scegli tu).
Questi strumenti è vero, si sopravvalutano e, soprattutto per chi è già affermato (che è un merito, non una colpa) come Dazieri, c’è la difficoltà a comprenderne la natura “orizzontale” (o punto-punto) come dici tu, e non verticale.
Parlando di scrittori, ne esiste qualcuno tra quelli affermati che abbia una presenza significativa sul web (dove per significativa non intendo il sito gestito da altri, ma qualcosa di interattivo e frequentatissimo?). Carofiglio, Camilleri, De Cataldo, Carlotto, Saviano, Giordano e via con tutti gli scrittori che hanno fatto successo. Non ne conosco nessuno. Tranne Wu Ming (che però in rete fanno altro, si danno, si spendono, ci sono).Perchè? Non lo so. Ma credo che conti il modo di porsi e di considerare gli altri. Puoi essere chi vuoi, ma lì sei come tutti e conta la reciprocità. Può essere che non tutti siano abituati a questo. Può essere che i comportamenti virtuali non siano corretti o diversi da quelli reali. Ad oggi io non vedo risposta, per chi ha una audience significativa, come può essere Dazieri o altri, sul modo di gestire la propria audience, se non il modello Wu Ming. Che però costa sangue e fatica ( non dimentichiamo la scelta del copyleft e della possibilità di scaricare gratuitamente i loro libri, che è plus non da poco). Questo per gli affermati. Per gli emergenti la rete, e FB, è l’unico mezzo che hanno, ma se sposta un lettore al giorno, è grasso che cola.
Aprile 14th, 2010 at 10:35
sorry, avevo omesso il mio sito web (a proposito di autopromozione). ^_^
Aprile 14th, 2010 at 12:54
Per rispondere a Spritz Letterario, andando però off topic:
la considerazione sull’età degli internettiani è giusta, anche se io alzerei un pò l’asticella sui 45 anni piuttosto che i 30. Avendo gestito diverse communities ho capito molto tempo fa che si tende a fare un errore giudicando i ragazzini come potenziali disturbatori. In realtà sono i “vecchi” le peggiori persone da gestire in rete: attaccabrighe, permalosi, non sopportano di essere contraddetti, danno un valore assurdo a numeri di commenti e di approvazioni. Questo anche perchè spesso abbiamo a che fare con persone sole, senza gli strumenti di integrazione di un quindicenne, che caricano la rete di tutte le aspettative frustrate dal mondo esterno. Questi davvero si aspettano che un tuo “mi piace” sia l’anticamera di un invito a cena.
Aprile 14th, 2010 at 13:15
Mi piace, non mi piace piu’. M’ama o non m’ama.
Gia’ all’asilo c’era chi sfogliava i petali delle margherite.
Aprile 14th, 2010 at 14:29
Alla interessante riflessione di mante aggiungerei una banalità: tutto sta nella differenza, grande differenza, tra mondo virtuale e mondo reale, differenza esaltata da Facebook che “simula”, solo “simula”, una contaminazione. Vale per uno scrittore affermato e per ognuno di noi: in rete spesso si vivono “momenti”, ci si indigna per un post, si scrive la recensione di un libro, magari si fa un acquisto che fuori non si farebbe: da qui a essere presenti poi nel mondo reale ne passa…
Aprile 14th, 2010 at 14:51
L’altro giorno volevo farla finita sul serio, la prima cosa che ho pensato è stata quella di chiudere prima il profilo su Facebook, ovviamente senza annunci patetici, così come primo passo verso l’uscita da tutto, poi non l’ho fatto, per viltà, per speranza, per incapacità, ma ho pensato che, comunque, cancellarsi da FB era già un chiudere, un uscire….
Aprile 14th, 2010 at 15:11
@ Marco “Sgrunt”, sono d’accordo sullo spostare l’asticella, ma mi fermerei ai 40. Ho il polso dell’enorme spazio tra le due realtà nel Nordest. Concordo pienamente sull’interpretazione generazionale del “mi piace” che, appena approdata in FB, caricavo di significato ed entusiasmo. Ora ho ridimensionato, ma era un problema mio, di non adattamento al dialogo virtuale.
Andarsene e chiudere la porta preclude ogni dialogo, incentiva le differenze e le distanze, sfocia in un completo rifiuto.
Capisco la scelta di Dazieri ma non la condivido. Forse è solo una provocazione… che rischia la sterilità comunicativa.
Aprile 14th, 2010 at 16:59
Mah, non so se chiuderò il mio profilo su facebook, ma pensavo di vendere i pesci del mio acquario visto che un po’ mi pesa preoccuparmi di dar loro da mangiare ogni sera altrimenti muoiono.
Poi però ragiono sul fatto che non saprei cosa farmene di tutto il cibo regalato dai miei amici e a dove metterò quella conchiglia avuta allo stesso modo e quindi soprassiedo che non vorrei mai deludere chi ha pensato a me quando ha deciso di donare quella meravigliosa pianta da acquario….
Aprile 14th, 2010 at 17:06
@Sprits Letterario e Marco “Sgrunt”
Ma allora non è anche un problema “nostro” di cultura digitale e di comprensione di internet? Mi spiego: Dazieri conosce la rete, la frequenta da tempo (afferma di aver incominciato con le bbs) come mai allora anche lui, che dovrebbe essere esperto e conoscerne i meccanismi, si sente frustrato e non vede i risultati del tempo che lui ci dedica alla rete, a FB e via discorrendo? Anche chi in qualche modo è “esperto” non sta caricando troppe attese su una presenza online che giustamente Mantellini definisce comunque di nicchia?
Aprile 14th, 2010 at 17:23
Probabilmente Dazieri ha semplicemente sopravvalutato l’impatto della rete.
In quanto personaggio pubblico potrebbe aprirsi una pagina appunto come “personaggio pubblico” su cui dirottare le richieste delle persone che non conosce. Più facile di così…
Aprile 14th, 2010 at 17:49
Non so, c’è qualcosa che non mi torna nel post di Danzieri, anche se non capisco cosa esattamente. Certo che, se gli incontri sono andati sempre deserti, forse è andato storto anche qualcosa d’altro, oltre alla promozione su FB. MI pare strano che uno scrittore abbastanza noto come lui non riesca comunque a calamitare un po’ di pubblico indipendentemente da FB. O forse, semplicemente, non capisco perché, non essendo un personaggio pubblico, per me i piccoli numeri che riesco a mettere insieme (una quindicina di amici per una pizza, ad esempio) a me sembrano comunque enormi.
Aprile 14th, 2010 at 19:20
Il bello (o il brutto, dipende dai punti di vista) di Facebook è il suo essere diventato oramai un fenomeno nazional-popolare e come tale rispecchia piuttosto fedelmente i comportamenti, abitudini, vizi e debolezze dell’italiano medio. Che va su Facebook per vedere qualche chiappa seminuda qua e là, per commentare qualche video di Alvaro Vtali che socrreggia, per aderire (virtualmente) a qualche iniziativa benefica, per schierarsi pro o contro, per illudersi di avere un’idea su qualcosa o qualcuno. Un’altenativa alla con discussuione da bar cappuccino+cornetto. Il problema non è Facebook, purtroppo niente da fare, noi italiani siamo così, ed è un vero peccato che Dazieri non l’abbia ancora capito.
Aprile 14th, 2010 at 20:09
Ok, ho appurato che i miei problemi con FB derivano dal mio essere torinese (Sgrunt) e cinquantenne (Spritz/Sgrunt).
Però assumiamo di far riemergere le mie radici campane e l’eterna adolescente che mio malgrado mi abita dentro, e quindi ridimensioniamo drasticamente le aspettative verso i social network.
L’opinione quasi unanime dei commenti qui sopra è che il valore di un “mi piace” o di una entusiastica adesione a un appello o a un evento è praticamente nullo.
Qualcuno sa spiegare allora in che senso il tempo e le energie spese su facebook, a interagire con gli inutili “mi piace”, non sono tempo ed energia sprecata?
Attenzione: parlo solo di facebook e dei social network, e non della Rete in generale (tanto meno dei blog, che permettono un tipo di comunicazione molto diverso).