E’ interessante osservare quali siano state le scelte editoriali dei grandi quotidiani italiani di fronte ad una notizia importante come quella della sentenza Google-Vividown, una notizia che è finita su tutti i giornali del mondo dal NYT in giù. Come logica vorrebbe il commento della notizia è stato affidato a editorialisti noti ed autorevoli che si occupano spesso delle questioni riguardanti il futuro del giornalismo ma che hanno una modesta competenza (e – chissà come mai – una altrettanto modesta considerazione) della rete Internet. Così ieri si è verificata questa situazione paradossale per cui gli editoriali di punta su una notizia importante dei tre maggiori quotidiani italiani sono stati articoli molto simili uno all’altro. Tre pessimi articoli, pieni di preconcetti e luoghi comuni di cui potevamo tranquillamente fare a meno. Di contro gli articoli di cronaca e molte delle interviste fatte – per esempio questa di Alessio Balbi a Stefano Rodotà sono di tutt’altro livello):
Massimo Gaggi (Corriere della Sera)
Giovanni Valentini (Repubblica)
Vittorio Sabadin (La Stampa)
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Febbraio 26th, 2010 at 11:47
La mia modesta opinione è che in questo caso più che una competenza in tema di internet sia necessaria una competenza in tema di diritto penale. Capire cosa significa il dispositivo di una sentenza che a prima vista è intrinsecamente contraddittoria (assolvendo da un lato e condannando dall’altro), senza aver letto le motivazioni, è tutt’altro che facile; anzi credo impossibile per chi non sia un giurista; e credo quindi che molti svarioni siano stati presi, e molte corbellerie scritte in questi due giorni.
E -a scanso di equivoci- sono certo anche quanto ho scritto io in merito verrà buono per incartare il pesce virtuale, il giorno che le motivazioni saranno pubblicate.
Febbraio 26th, 2010 at 12:09
Un’ accozzaglia di banalità e luoghi comuni, mi verrebbe da pensare, e invece è molto probabile che si tratti di un nuovo Concilio di Trento, che, come quello aperto nel 1545 finirà per sancire una divisione netta tra coloro che rimarranno ancorati alla Controriforma e coloro che invece aderiranno alle novità. Ci sarà un’ altra separazione ancora più profonda che dividerà e lascerà alcuni nell’arretratezza. Proprio come quell’antica Controriforma contribuì a impedire che l’Italia di seguisse il nord europa nel processo di evoluzione culturale, politica e sociale, di cui percepiamo ancora oggi le conseguenze: pax, diritti, civiltà, democrazia. Nessuno in Inghilterra si è mai sognato di condannare i gestori dei parchi pubblici (lo Stato stesso) perché negli speakers corner chiunque può dire ciò che vuole. Cosa sono gli speakers corner? Contenitori? Editori? Forse questi valenti signori che scrivono editoriali grazie ai contribuiti pubblici pensano che siano degli editori (come tali da sottoporre a controllo) e non dei luoghi di espressione libera. Se si commettono dei reati ne risponde chi li ha commessi e non la possibilità d’espressione di tutti, questo è il ruolo di quei luoghi nati in un democrazia non poco superiore alla nostra. E sempre da quella cultura anglosassone ci arrivano le migliori idee di libertà, noi qui, ci limitiamo a censurare dal 1545.
Se questa sarà una data significativa allora ricordiamocela perché potrebbe trattarsi di un bivio dal quale, una volta imboccata una strada, difficilmente si potrà tornare indietro, se non al prezzo di enormi difficoltà. I ritardi si accumulano progressivamente e il digital divide diverrà una divisione culturale, sociale e forse un giorno, in futuro, addirittura antropologica.
Febbraio 26th, 2010 at 12:11
Mi sembra che l’intervista fatta a Rodotà enuclei i temi chiave del discorso con lucida serenità ed estrema semplicità, doti decisamente importanti per avvicinare i cittadini ad un tema così complesso ed affascinante.
Quindi, ottima segnalazione!
Febbraio 26th, 2010 at 12:21
“preconcetti e luoghi comuni”, una posizione interessante, ma poco costruttiva se non li indichi anche a noi!
bob
Febbraio 26th, 2010 at 12:49
Cosa non si fa per difendere la categoria…
Febbraio 26th, 2010 at 13:05
@ bob
credo si riferisse a concetti tipo: equilibrio dei diritti, le leggi non scritte della rete, la libertà, l’anarchia e la “lezione da terza media con cui si sostiene che la mia libertà finisce dove inizia la tua”.
Tutte queste cose divengono banali perché sono già previste dalla legge. Il problema non è questo. Il problema è che se io vado a Hyde Park e e dico che la regina è un p… probabilmente mi mettono dentro ma nessuno si sognerà mai di chiudere lo speakers corner o di affermare che sono pericolosi e di limitarli. Questo è il punto chiave della discussione che nessuno vuole toccare mi sembra. Ora i blog e la rete internet sono un po’ più vasti ma proprio per questo bisognerebbe mettere a punto metodi tecnici per colpire chi delinque con questi mezzi. Metodi che secondo me ci sono già visto che tutto è registrato sulla rete, ma comunque si può vedere di migliorarli.
http://en.wikipedia.org/wiki/Speakers%27_Corner
Febbraio 26th, 2010 at 16:55
Quoto bob. Mi piacerebbe capire un po’ di più la tua posizione sugli editoriali (che proprio pessimi a me non sembrano, imho)
Febbraio 26th, 2010 at 17:11
Poi magari sbaglio, eh. Sia l’articolo di Valentini che quello di Sabadin vedono in questa sentenza la volontà di “mettere in riga” l’eccessiva libertà della rete e insinuano un problema di business.
Leggendo però l’interessante intervista a Rodotà si capisce come già ci siano delle regole e come debbano essere applicate (e forse i sigg. di Google sono stati puniti perchè non hanno rimosso il video tempestivamente quando avvisati). Se così fosse non ci sarebbe nulla da eccepire, credo. Come sempre in queste discussioni si perde di vista il “cuore” del problema: la legislazione vigente e quella che Valentini chiama pomposemente “condendo” . Ovvio che quando arriviamo a questo punto, con i legislatori che abbiamo non ci resta che piangere.
Febbraio 26th, 2010 at 19:53
Ho letto quello di Sabadin (perchè avevo letto un suo bel libro sul futuro del giornalismo). Pessimo articolo. Ed è davvero incredibile leggere cose come “ad un” (Chiunque abbia un proprio website o possa accedere ad un service è in grado di mettere online un video). Molto dubbio anche il non uso del congiuntivo in: L’importante è che ci siano sistemi di controllo che intervengono. Mah.
Marzo 2nd, 2010 at 08:57
Trovo deliziosamente surreale che si stia qui a interpretare il pensiero di un autore vivente e contemporaneo senza che da lui ci venga, come sarebbe logico, un minimo chiarimento.
Il modello un poco spocchioso del giornalista che non si mischia con i lettori mi sembra molto usato dai blogger…
bob