Contrappunti su Punto Informatico di domani.

***

Qualche giorno fa Bret Taylor, uno dei fondatori di Friendfeed, ha pubblicato un grafico che illustra la censura subita dalla sua piattaforma in Iran. Friendfeed, ambito sociale fra i più evoluti ed in grande ascesa in tutto il mondo, in occasione delle contestazioni seguite al voto iraniano, ha fatto la medesima fine di altri più noti strumenti di relazione in rete come Facebook, anch’esso spento da giorni dalle autorità iraniane. Le reti cellulari funzionano con grandi difficoltà da giorni, i giornalisti occidentali sono maltollerati e spesso consegnati negli alberghi, perfino gli SMS, noto strumento di aggregazione istantanea molto utili in contesti del genere, sonostati “spenti”.

Ma per quanto le maglie della rete censoria imposta dal regime iraniano si stringano, le informazioni sulle proteste a Tehran continuano ugualmente a fluire al di fuori del paese, spesso transitando prima su Internet che non nei canali informativi abituali.

C’è quindi una prima importante novità: molte delle informazioni sugli eventi in corso sono contemporaneamente disponibili per i professionisti della informazione e per i cittadini che abbiano voglia di andarsele a cercare. Se si eccettuano forse i primi giorni la stragrande maggioranza dei contenuti video e fotografici sui sanguinosi scontri di piazza sono apparsi prima su Youtube e su Twitter (o meglio sugli spazi di upload fotografico collegati a Twitter) che non sulle pagine dei siti web delle grandi imprese editoriali.

Gli aspetti fondamentali che riguardano l’emersione dei contenuti informativi da dietro la cortina censoria iraniana è spiegata all’interno di un bel post che Antonio Sofi ha scritto qualche giorno fa sul suo blog. Fra gli altri emerge un aspetto interessante: non è oggi immaginabile bloccare interamente una popolazione giovane e tecnologicamente evoluta in un paese come l’Iran dove il 70% dei cittadini ha meno di 30 anni. La fervida gioventù iraniana è stata da sempre ampiamente sottovalutata in occidente dove i luoghi comuni sui paesi orientali includono anche una certa lontananza dall’orizzonte tecnologico.

Ma la crisi iraniana ha messo sul piatto anche questioni informativi che interessano quest’altro lato della barricata ed in particolare una sempre più necessaria integrazione fra ambiti informativi molto differenti. La logica recintata della comunicazione editoriale secondo la quale le informazioni sono patrimonio privato in quanto fonti di reddito aziendale, fatica a trovare una sua logica in situazioni come quella della copertura mediatica della crisi iraniana. Nel momento in cui le informazioni sono rese liberamente disponibili (sul twitter di Mousavi è nato lo slogan “one person=one bradcaster”) il processo noto di cannibalizzazione delle fonti sul web che gli editori online applicano da tempo mostra tutta i suoi limiti.

La grande maggioranza dei contribuiti video di questi giorni sono per esempio stati caricati direttamente su Youtube (e qui andrebbe aperta una parentesi su quale straordinario collettore di libera informazione sia youtube in situazioni simili) dai cellulari degli attivisti: che senso ha duplicare simili contenuti e incorporarli dentro i propri siti web con un bel marchio aziendale come fanno da sempre repubblica.it e corriere.it? Perchè invece non “santificare il link” come sempre si dovrebbe fare in rete ed utilizzare l’embed di Youtube (come invece fa correttamente il sito web de La Stampa)?

La stessa etica minima di rete andrebbe applicata alla citazione delle fonti, non foss’altro per il grande lavoro di riassunto informativo che, non solo i protagonisti degli eventi, ma anche semplici cittadini in tutto il mondo compiono da giorni a margine di migliaia di informazioni differenti che arrivano da Tehran.

La qualità dei contributi rielaborati in rete è ormai talmente alta che nella giornata di ieri su google era possibile consultare la mappa delle ambasciate occidentali disposte ad accogliere i feriti e quasi in tempo reale i luoghi degli scontri. E in questo diluvio informativo non è un caso che ai siti web dei grandi giornali come il New York Times non sia rimasto altro che dedicarsi alla analisi degli avvenimenti, abdicando al loro racconto che invece avveniva altrove in rete, su Twitter, su Friendfeed, su aggregatori di news come HuffingtonPost e DailyKos .

A pensarci bene si tratta di una inversione completa rispetto a ciò che è stato sempre sostenuto sui rapporti fra informazione e rete. Si è sempre dato per scontato il ruolo insostituibile del sistema giornalistico nel racconto delle notizie, riservando ai blog ed ai social network, il ruolo di ambiti di discussione, commento ed elaborazione delle notizie stesse. Quasi a creare un rapporto di insostituibile (e consolatoria) dipendenza dei secondi nei confronti dei primi. L’inversione iraniana è invece proprio questa: il racconto degli eventi, specie quando le maglie della censura si stringono, percorre altri sentieri in rete ed ai grandi media spetta il lavoro importantissimo di filtro, rielaborazione e commento. Si tratta in fondo di prove di civile convivenza fra ambiti informativi assai differenti la cui unione, appena si riuscirà ad evitare le insidie legate a vecchie abitudini ormai corrose, renderà l’informazione per i cittadini semplicemente migliore.

Un commento a “Anteprima Punto Informatico”

  1. Tooby dice:

    Un motivo per cui alcuni giornali riportano i video nei propri player c’è: la prima versione del video della ragazza uccisa a Teheran è stato segnalato come inappropriato e poi è sparito.

    In seguito è stato ricaricato, ma nel frattempo Repubblica e corriere avrebbero avuto una pagina vuota; ma se non fosse stato più ricaricato? O se YouTube l’avesse nuovamente cancellato?

    Ecco perché preferiscono mantenere il controllo dei contenuti. (A parte gli altri motivi commerciali)